«Libia, Almasri reclutò terroristi dell’Isis contro il governo di Tripoli»

Non solo violenze, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Nel curriculum del torturatore libico Osama Njeem Almasri si aggiungono nuove inquietanti accuse. Secondo quanto riferito dalla procura militare di Tripoli, il leader della milizia Rada scarcerato dal governo italiano – nonostante il mandato di cattura della Corte penale internazionale – avrebbe reclutato uomini di una cellula terroristica a cui capo c’era il leader dello Stato islamico attivo nella città di Derna. Almasri non è più solo quindi un trafficante di migranti ma anche di terroristi. Accuse pesanti, diffuse anche dai media libici, che arrivano nel giorno in cui invece la premier Giorgia Meloni promette battaglia ai trafficanti e promette di riportare la legalità. Intervenendo al 160esimo anniversario della fondazione della Guardia costiera, la premier ha detto che il traffico di esseri umani è «un’attività criminale tra le più redditizie al mondo, una intollerabile forma moderna di schiavitù che questo governo intende combattere con ogni mezzo». Parole che stridono se si guarda a come è stata gestita la vicenda Almasri che sta mettendo sempre più in difficoltà il governo: con due ministri (Carlo Nordio e Matteo Piantedosi) e un sottosegretario (Alfredo Mantovano) indagati per la scarcerazione del libico, che si è così sottratto alla Corte penale internazionale. Il blitz a Tripoli Ad arricchire il già lungo quadro di accuse contro Almasri sono state le confessioni di un uomo arrestato nell’ultima operazione delle forze speciali di Tripoli. Le forze di sicurezza hanno infatti annunciato di aver smantellato l’attività di una cellula armata attiva in un sobborgo a ovest della capitale. Secondo gli inquirenti, il gruppo aveva armi, munizioni ed esplosivi pronti per essere impiegati per «compiere atti ostili contro le forze governative e i funzionari residenti nella zona». Durante l’operazione c’è stato anche uno scontro a fuoco. Tre membri del gruppo armato sono stati uccisi, altri due sono stati arrestati e un terzo è rimasto ferito. Nel blitz hanno perso la vita anche due agenti del ministero dell’Interno e Mohammed Al-Farjani, un membro di spicco delle Rada, la milizia di Almasri antagonista del governo di Tripoli. La cellula armata – stando a quanto racconta la Procura tripolina – era composta da detenuti ed ex detenuti. Non è chiaro se alcuni di loro si trovassero nel centro di detenzione di Mitiga (gestito appunto da Almasri), ma uno di loro – e qui entra in gioco il torturatore libico – ha confessato di far parte di un’unità guidata da A. K., un leader dell’Isis a Derna (nella Libia orientale), i cui membri sarebbero stati reclutati proprio dall’ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli, lo stesso liberato dalle autorità italiane. La procura non specifica a quando risale il reclutamento. Nel 2014, infatti, a Derna e Sirte l’Isis poteva contare su diverse cellule terroristiche che con attentati e violenza avevano l’obiettivo di sradicare il potere del generale Khalifa Haftar. I silenzi sul libico Almasri. L’atto di accusa contro il governo Le nuove accuse però non stupiscono, dato che le Rada sono state considerate per anni una forza di polizia che in coordinamento con il ministero dell’Interno di Tripoli ha combattuto i miliziani dell’Isis nell’ovest del paese. E gli stessi servizi segreti italiani hanno detto pubblicamente di aver avuto una «proficua» collaborazione con il gruppo armato per contrastare, tra le altre cose, anche le attività terroristiche. Come si spiega allora la posizione di Almasri? Al di là del singolo caso, la vicenda è la dimostrazione delle enormi contraddizioni che governano il paese. Dalla caduta del raìs Muhammar Gheddafi, la Libia è diventata a tutti gli effetti un caos. Dove la geografia del potere cambia in poco tempo e a seconda di interessi e opportunità. E oggi, a Tripoli, il governo guidato da Abdel Hamid Dbeibeh sta accerchiando le Rada di Almasri per arrivare all’egemonia. La milizia controlla un quarto della capitale oltre al nodo strategico dell’aeroporto internazionale. Per difendersi Almasri avrebbe anche cercato di reclutare i migranti presenti nel suo centro di detenzione. E ora, secondo la procura, anche affiliati Isis. La propaganda di Meloni Nel lontano 14 novembre 2015, all’indomani degli attentati al Bataclan, in un video pubblicato sui suoi profili social, la premier Meloni annunciava: «Vogliamo dichiarare guerra all’Isis in Iraq, in Nigeria, in Siria, in Libia e ovunque il califfato abbia alzato le sue bandiere». E poi aggiungeva: «Sono parole forti, per carità, sono scelte determinate. Però fare finta di niente come è accaduto in questi anni, come si vede, non è stata la scelta giusta». Appunto, non si può fare finta di niente. Per questo ora i nuovi sospetti su Almasri di reclutare miliziani Isis crea ancora più imbarazzo all’esecutivo che ha rimpatriato il torturato ricercato dalla Corte penale internazionale con un volo di Stato. E mentre in Libia si accusa il trafficante di esseri umani di nuovi crimini, a Roma la premier alimenta la propaganda con il suo intervento all’evento della Guardia Costiera: ha lodato gli sforzi per aver ottenuto un drastico calo degli sbarchi in Italia, nonostante i dati del Viminale raccontano un aumento di quasi 3mila migranti in più rispetto all’11 settembre del 2024. Ma per Meloni «esiste un’alternativa concreta e realizzabile che mette al primo posto la legalità, combatte la mafia del mare e costruisce un modello di cooperazione e di sviluppo capace di affrontare le cause profonde della migrazione». E intanto preoccupa la ratifica avvenuta ieri dell’accordo sul trasferimento dei condannati libici in Italia nelle carceri in Libia. La notizia è stata accolta con favore dall’ambasciata libica a Roma. Ma alcuni membri delle opposizioni chiedono di non inviare i detenuti in un paese in cui non vengono rispettati i diritti umani. Pestaggi, guerre tra bande e propaganda, cosa c’è dietro il video shock di Almasri