Se c’è qualcuno che può risolvere lo stallo tra Unione europea e Turchia, è Angela Merkel. La presidenza tedesca sta da settimane cercando di mediare nello scontro diplomatico che coinvolge Grecia, Cipro e Turchia a causa delle esplorazioni alla ricerca di gas naturale che hanno creato una disputa sull’appartenenza di alcune zone del Mediterraneo orientale.

La speranza è che la situazione si sblocchi nel vertice del Consiglio europeo di oggi che riunisce i capi di governo. Tra le altre cose si discute delle sanzioni alla Bielorussia: misure su cui però potrebbe intervenire il veto di Cipro e Grecia, che, contemporaneamente a quelle dirette a Minsk vorrebbero veder partire reprimende anche in direzione di Ankara. Una situazione complicata, in cui alle richieste dirette dei paesi minacciati dalle mosse di Recep Tayyip Erdogan si aggiunge uno strappo tra Berlino e Parigi. Il presidente della Repubblica francese si è schierato a fianco di Atene e ha fatto sentire la propria presenza inviando una portaerei nel Mediterraneo orientale, zona in cui Emmanuel Macron vuole arrivare a esercitare un’influenza geopolitica. Alle esplorazioni per la ricerca del gas naturale, infatti, partecipa anche la francese Total.

Mentre si consuma dunque una divergenza di opinioni rilevante tra due dei membri più potenti dell’Unione europea, Merkel cerca di spuntare la manovra di Parigi continuando a spingere per un confronto diplomatico fra le parti, che però allontana le sanzioni, scontentando Grecia e Cipro. Una situazione attorcigliata, da cui però i due partner europei potrebbero uscire entrambi vincitori, presentando un potenziale accordo come il risultato di un gioco di squadra da poliziotto buono e poliziotto cattivo che ha messo prima Erdogan nell’angolo e poi lo ha portato a scendere a patti con Bruxelles.

Una prospettiva che dà per scontato che Berlino riesca a sfruttare a suo favore il rapporto peculiare che ha con Ankara. Un matrimonio di interesse che negli anni si è sviluppato lungo alti e bassi, ma non ha mai rischiato di infrangersi.

Merkel è attualmente la leader europea più rispettata dal presidente turco, e non solo per la presenza di circa tre milioni di turchi in Germania: se per il governo tedesco la Turchia è l’unico argine all’arrivo di fino ad oggi quattro milioni di profughi lungo la rotta balcanica, la contropartita per Erdogan è l’ampliamento dell’accesso all’economia europea, già consolidato grazie a un’unione doganale in vigore dagli anni Novanta.

Dietro le polemiche

I rapporti economici contano: soltanto ad agosto 2020 la Germania ha acquistato insieme a Spagna e Regno Unito il cinquanta per cento della produzione tessile del paese, per un valore di 1,27 miliardi di euro. Interessi che ridimensionano gli screzi che si sono consumati negli anni tra i due paesi. È stato questo il caso di una poesia satirica composta dal comico Jan Böhmermann nel 2016 in cui definiva Erdogan un «perverso, pidocchioso zoofilo»: la boutade gli costò un procedimento giudiziario (chiesto dal presidente turco), ma in contemporanea la cancelliera fece partire la macchina parlamentare per eliminare dalla Costituzione tedesca il paragrafo in cui viene vietato l’insulto dei capi di Stato stranieri. Stessa storia quando, pochi mesi dopo, il Bundestag approvò una risoluzione di condanna nei confronti del genocidio armeno: Erdogan si lamentò pubblicamente del fatto che la cancelliera non avesse imposto al suo partito di votare contro il testo e attaccò anche numerosi esponenti politici tedeschi di origine turca, come Cem Ödzemir dei Verdi, uno dei principali propugnatori della risoluzione.

Non sono state mai dimenticate anche le critiche da parte di Berlino e dell’Unione tutta alle dure misure di repressione messe in campo dal presidente dopo il tentato colpo di Stato dell’estate 2016, mal digerite da Ankara, che poi ebbe da ridire anche sulla decisione del governo tedesco di vietare la campagna elettorale in Germania di politici turchi durante la campagna elettorale del 2017, quando si votava per una riforma del sistema presidenziale che finì per attribuire poteri ancora maggiori a Erdogan. In quell’occasione, il presidente aveva accusato Merkel di «metodi nazisti».

Eppure, nonostante questi trascorsi tempestosi, a gennaio la cancelliera veniva accolta ad Ankara come «amica stimata». Forse perché Merkel aveva menzionato la possibilità di finanziare un sostegno umanitario per la ricollocazione dei rifugiati nella zona sicura collocata nella Siria settentrionale e di aumentare la portata dei fondi europei che fluiscono in direzione Turchia per sovvenzionare la gestione dei migranti.

A Berlino non è un segreto che con Erdogan non vanno superate certe linee rosse: la concordia serve sia per filtrare i rifugiati che alla fine raggiungono l’Europa e la Germania, sia per non compromettere definitivamente la situazione in Libia, l’altro paese che argina il flusso dei migranti.

Resta da vedere se Merkel riuscirà a trasformare in vantaggio il conflitto d’interessi e soprattutto a non scontentare chi, come Vienna, spera già che questo scontro scriva la parola fine sotto alle trattative per l’ingresso del paese nell’Ue. Anche i Popolari, il partito di Merkel, sostengono per bocca di Manfred Weber, presidente del gruppo, che deve essere chiaro che Germania e Unione europea «si collocano a fianco della Grecia».

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