Gli eventi delle ultime settimane – oltre 500 morti nel Mediterraneo, gli sbarchi che aumentano e molteplici, disperate richieste di soccorso in mare – ripropongono l’urgenza di avere finalmente, e al più presto, un sistema europeo di migrazione e asilo funzionante e condiviso.

L’Italia e gli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo stanno per affrontare mesi complessi. I governi, già impegnati nella risposta alla pandemia e alle sue conseguenze economiche e sociali, devono riuscire a gestire la complessa macchina dell’accoglienza contrastando i tentativi di strumentalizzazione politica. È urgente che l’Unione europea finalizzi con un accordo i negoziati in corso sul Patto sulla migrazione e l’asilo proposto dalla Commissione europea.

I pilastri

Quasi un anno fa, sulle pagine di questo giornale, sottolineavo come il Patto dovesse reggersi su tre pilastri fondamentali: un sistema coordinato di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, procedure rapide alle frontiere e un meccanismo di solidarietà automatico per la redistribuzione di chi arriva in tutti i paesi dell’Unione.

Si tratta di un mosaico sicuramente intricato, a cui devono aggiungersi alcune tessere importanti: il coordinamento e la cooperazione tra gli stati dell’Ue sui rimpatri di chi non ha bisogno di protezione (che devono essere più efficienti, ma anche rispettosi della dignità e dei diritti umani di chi viene riportato nel suo paese); e un piano di lungo periodo per stabilire canali legali e sicuri, che permettano a un maggior numero di rifugiati, soprattutto i più vulnerabili, di arrivare in Europa senza dovere mettere a rischio la propria vita. E naturalmente, è fondamentale che la migrazione economica – che si svolge in parallelo ai movimenti di rifugiati – venga regolamentata in modo più razionale ed efficace, in modo da ridurre la pressione sui sistemi d’asilo dei paesi europei, sovraccarichi e spesso abusati perché rimangono il canale quasi esclusivo per l’ingresso in Europa.

Basta respingimenti

Occorre poi che cessino i respingimenti brutali e violenti da parte di stati dell’Ue, che stanno avvenendo, in flagrante violazione del diritto internazionale, lungo tutta la frontiera esterna dell’Unione europea. Per prevenirli è necessario che gli stati stessi attivino al più presto meccanismi che consentano di monitorare e indagare episodi di questo genere.

Vista la complessità della questione è probabile che un accordo sul Patto europeo richieda ulteriori sforzi. Il tempo però stringe, e con l’approssimarsi dell’estate sarà necessario attuare almeno alcune misure temporanee, nella speranza che queste misure possano rappresentare un primo passo verso l’avvio di quella cooperazione che il Patto dovrebbe, infine, sancire.

A ognuno la sua parte

Ciascuno deve fare la sua parte. Da un lato, i paesi del Nord Europa devono mostrare maggiore solidarietà nei confronti di quelli che si affacciano sul Mediterraneo. Dall’altro, è possibile migliorare le procedure di identificazione al momento degli arrivi, mettendo in atto misure giuste e rapide di identificazione e verifica, che possano facilitare sia i ricollocamenti che l’eventuale accoglienza e integrazione nei paesi d’asilo.

E poi, non si può più tardare a ristabilire operazioni di ricerca e soccorso in mare che siano coordinate dagli stati, obbedendo senza ulteriori esitazioni, ipocrisie e manipolazioni all’imperativo legale e morale di salvare tutte le vite umane che sono in pericolo. A questo proposito, voglio ribadire ancora una volta che non esiste alcuna evidenza statistica o empirica – ripeto, nessuna evidenza – che un sistema efficiente di soccorso, a cui contribuiscono le ong, alimenti le partenze.

Vite in fuga

I rifugiati che giungono in Italia hanno iniziato il loro viaggio di sofferenza molto prima di approdare a Lampedusa. Sono in fuga a causa di molti fattori interconnessi, compreso (sempre di più) l’impatto dell’emergenza climatica. Non è un caso che molte fra le persone arrivate in Italia nelle ultime settimane provengano da paesi che devono affrontare conflitti complessi, legati anche ai cambiamenti climatici, nel Sahel o nel Corno d’Africa. Molti sono giovani, talvolta bambini.

Affrontare i molteplici “fattori di fuga” è dunque ovviamente una priorità fondamentale. Proprio per questo il Patto proposto dalla Commissione europea ha una dimensione esterna che è altrettanto importante dei meccanismi di accoglienza. È essenziale che l’Ue possa affermare più chiaramente il suo ruolo – spesso troppo timido ed esitante, e quasi sempre frammentato – nella risoluzione dei conflitti, soprattutto in Africa e in medio oriente, e fare in modo che nei settori in cui il suo contributo è molto significativo – assistenza umanitaria e cooperazione allo sviluppo – gli interventi della Commissione europea e quelli degli stati membri siano meglio coordinati e più strategici, in modo da aiutare più efficacemente i paesi extra europei che ospitano la grande maggioranza dei rifugiati, o sono paesi di transito per quelli in movimento.

La Libia

È in quest’ottica che guardo anche al ruolo che l’Europa può avere in Libia. In una fase in cui si è aperto uno spiraglio di stabilità, anche la gestione dei flussi migratori può finalmente essere migliorata, stabilendo finalmente un quadro di legalità e rispetto dei diritti umani. Il dibattito su Libia e migrazioni non può continuare a essere circoscritto al sostegno fornito alla Guardia costiera di quel paese. Occorre sostenere tutte le istituzioni libiche affinché cessino gli abusi, le violenze, la tratta di esseri umani, e si proceda alla chiusura dei centri di detenzione. È necessario rendere il paese sicuro per i suoi abitanti e per chi cerca migliori prospettive di vita.

Nella mia recente visita a Bruxelles ho anche applaudito alla decisione della Commissione europea di aumentare le iniziative perché vengano previsti più reinsediamenti e altri percorsi legali e sicuri per i rifugiati, come per esempio i corridoi umanitari e universitari, anch’essi un elemento importante inserito nella proposta di Patto europeo. Il 9 luglio la Commissione organizzerà un incontro internazionale su questi temi, al quale parteciperò, per chiedere agli stati di prendere impegni precisi e generosi.

Il Patto europeo su migrazione e asilo è dunque un’opportunità che va colta con coraggio in tutte le sue dimensioni – dalla risoluzione dei conflitti che sono all’origine dei movimenti di rifugiati, fino all’integrazione di coloro che vengono accolti in Europa, attraverso tutte le tappe intermedie di questi dolorosi percorsi.

E nessuno di questi elementi deve escludere gli altri. Ogni tentazione di “esportare” i procedimenti d’asilo fuori dall’Unione europea va respinta categoricamente. È tempo che l’Europa, dove 70 anni fa la Convenzione sui rifugiati ha visto la luce, torni a essere per il mondo intero un modello di gestione giusta, efficace e lungimirante dei flussi migratori.

 

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