Atomica, la rincorsa di Xi: gli spintoni trumpiani accelerano il riarmo

Donal Trump ha scelto l’ultimo incontro con Xi Jinping per lanciare la sua ennesima post-verità: «La Cina è molto indietro, ma sarà alla pari entro cinque anni. A causa dei programmi di sperimentazione di altri paesi, ho dato istruzione al dipartimento della Guerra di iniziare a testare le nostre armi nucleari su base paritaria. Questo processo inizierà immediatamente», ha annunciato via Truth il tycoon. Come spesso accade con Trump, una parte di verità c’è, ma distorta per giustificare decisioni controverse. Lo sviluppo dell’arsenale atomico di Pechino procede in effetti a tappe forzate. Secondo l’ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), la Cina dispone di circa 600 testate nucleari e, dal 2023, ne ha aggiunte un centinaio di nuove ogni anno (smantellando quelle vecchie): è la potenza nucleare che si rafforza più rapidamente. Tuttavia, il confronto con Stati Uniti e Russia resta impari: Washington possiede oltre 5100 testate (di cui 3700 operative), Mosca circa 5400 (4300 pronte all’uso). Trump agita l’atomica: «Ora nuovi test». Una strategia per distrarre dal flop con Xi Pechino resta in coda Anche se la Cina raggiungesse le mille testate entro il 2030 – come stimato dal dipartimento Usa – resterebbe comunque a un terzo dei livelli delle due superpotenze nucleari. Il quindicesimo piano quinquennale (2026-2030), recentemente discusso dal comitato centrale del Partito comunista, ha inserito per la prima volta in modo esplicito il rafforzamento della “deterrenza strategica” come obiettivo prioritario. Ciò vuol dire che la Cina nei prossimi anni modernizzerà qualitativamente e quantitativamente il suo arsenale nucleare, con due finalità: garantire una capacità credibile di “second strike”, cioè la possibilità di rispondere a un eventuale attacco atomico con una rappresaglia devastante; provare a mantenere l’equilibrio strategico globale, evitando che la sproporzione con Stati Uniti e Russia renda la Cina vulnerabile. Il piano di riarmo atomico di Pechino prevede lo sviluppo di nuovi sistemi di lancio, come i missili balistici intercontinentali DF-31BJ e DF-5C, i sottomarini armati con i JL-3, e l’integrazione di capacità ipersoniche. Così completerà la propria triade nucleare – terra, mare e aria – considerata essenziale per la credibilità della deterrenza. Il diritto di aumentare quantità e qualità dei suoi armamenti nucleari è stato rivendicato dalla Cina urbi et orbi con la parata del 3 settembre scorso, quando in piazza Tiananmen ha sfilato anche il nuovo Dongfeng 5C, capace, con la sua gittata di 20mila chilometri, di «colpire ovunque nel mondo», assicurano i media di stato. Soltanto in difesa Tuttavia, a differenza di Washington e Mosca, la Cina si attiene da decenni al “no-first-use”: si impegna cioè a non impiegare per prima l’arma atomica, ma solo in risposta a un attacco. Nel quadro di tale dottrina l’obiettivo non è la parità numerica con gli Stati Uniti, bensì la costruzione di un arsenale sufficiente per scoraggiare la tentazione altrui di un colpo preventivo. Come ha spiegato l’ex colonnello Zhou Bo, la logica è semplice: «Aumentare il numero di testate fino a un livello tale da rendere impensabile per chiunque l’idea di un primo attacco». In questo senso, la crescita cinese non rappresenta una corsa al riarmo illimitata, ma un adeguamento, per garantire la sicurezza del paese in un contesto di forte disparità. Infine, la strategia cinese non mira a proiezioni globali come quella americana, che prevede la difesa estesa agli alleati in Europa e Asia. Pechino si concentra esclusivamente sulla deterrenza nazionale, limitando il proprio arsenale a ciò che serve per proteggere il territorio e scoraggiare aggressioni. Chip e Ia, corsa all’autosufficienza: così l’embargo Usa ha aiutato Pechino Trump effetto domino L’annuncio di Trump contribuirà a innescare un effetto domino. Analisti come Tong Zhao avvertono che la minaccia di riprendere i test potrebbe spingere la Cina ad accelerare ulteriormente i propri programmi. Soprattutto suona piuttosto ipocrita accusare la Cina di voler superare la potenza atomica degli Stati Uniti, mentre proprio Trump quest’anno ha lanciato il progetto Golden Dome, che si inserisce come elemento di ulteriore squilibrio nello scenario descritto. Infatti, mentre la Cina punta a rafforzare la propria deterrenza nucleare per garantirsi la sopravvivenza in caso di attacco, lo scudo globale al quale sta lavorando Lockheed Martin mira a rendere inefficace proprio quella capacità di rappresaglia. Presentato personalmente da Trump il 20 maggio scorso, il Golden Dome è concepito come un sistema antimissile multilivello e multidominio, ispirato all’Iron Dome israeliano ma con ambizioni globali. L’architettura prevede intercettori terrestri, navali e spaziali, integrati con sensori orbitali e sistemi di allerta precoce. Il budget federale del 2026 gli ha messo a disposizione 25 miliardi di dollari, ma secondo il Center for Arms Control and Non-Proliferation per completarlo - Trump vorrebbe vederlo operativo entro la fine del suo mandato - ce ne vorrebbero oltre 500. Non solo, secondo la stessa istituzione Usa, «i (paesi) concorrenti potrebbero reagire ai progressi percepiti nelle difese statunitensi ampliando i propri arsenali offensivi, poiché i missili d’attacco restano molto meno costosi da produrre rispetto agli intercettori difensivi». Secondo il ministero degli Esteri cinese, un sistema del genere non è puramente difensivo, in quanto, se gli Stati Uniti diventassero “invulnerabili” a un attacco nucleare, potrebbero sentirsi liberi di esercitare pressioni o addirittura minacciare un primo colpo senza temere ritorsioni. L’eventuale dispiegamento del Golden Dome rischierebbe di neutralizzare la capacità di rappresaglia basata sul no-first-use e sulla second-strike capability, rendendo inefficace la deterrenza cinese. Il combinato disposto di Golden Dome e della minaccia della ripresa di imprecisati test stanno già spingendo la Cina a ingrossare i propri arsenali con armi atomiche sempre più sofisticate e distruttive. Il missile nucleare di Kim Jong-un “parla” a Donald Trump