Se qualcuno avesse ancora dubbi sull’impatto politico dell’attacco organizzato dai Servizi segreti dell’Ucraina (Sbu) agli asset della triade militare russa, le telefonate intercorse mercoledì scorso tra Washington, Mosca e la Santa Sede hanno dissipato qualsiasi incertezza.

Dall’inizio della guerra in Ucraina non si è mai raggiunto un livello di preoccupazione tale da attivare un immediato confronto ad alti livelli per scongiurare o «sondare» un’eventuale risposta «non convenzionale» da parte del Cremlino a un «attacco terroristico», così come è stato definito dal Comitato investigativo russo.

Successo tattico

Il successo tattico dell’operazione “ragnatela” dell’Ucraina costituisce una novità e un significativo precedente per qualsiasi Stato che non può contare su un arsenale nucleare, ma può colpire e umiliare (ancora una volta in Russia) l’apparato di intelligence di una superpotenza. Non è un caso che alcuni quotidiani americani abbiano riferito che lo stesso Donald Trump è rimasto colpito dalla modalità dell’attacco, ma sia anche preoccupato di una «risposta dura su larga scala» del Cremlino oltre al fatto che questo evento «non porterà ad una pace immediata».

La telefonata tra Trump e Vladimir Putin, durata più di un’ora, ha confermato le reazioni altamente prevedibili che il Cremlino metterà in atto dopo aver subito un danno di questa entità: la tregua si allontanerà e vi sarà una risposta della Russia. Ma il dato politico su cui non vi sono elementi di riscontro effettivo riguarda il coinvolgimento o meno dell’amministrazione presidenziale americana nell’organizzazione di questa iniziativa ucraina. Il Cremlino ritiene che i paesi occidentali, soprattutto gli inglesi, siano da tempo coinvolti nella implementazione di diversi atti che vanno dal sabotaggio del gasdotto tedesco Nord Stream nell’autunno del 2022 alla penetrazione dell’esercito ucraino nella regione russa di Kursk dell’estate 2024.

Ma sino a che punto credere alla versione di Trump che nega di essere stato messo al corrente dagli ucraini quando la settimana scorsa il capo della Casa Bianca aveva affermato che sarebbe potuto accadere «qualcosa di molto brutto a Putin o alla Russia»? Si tratta solamente di una coincidenza? Come è possibile che gli Stati Uniti non fossero al corrente di questa operazione che richiede l’utilizzo di satelliti per l’individuazione dell’obiettivo, visto che in base al trattato New Start tra Usa e Russia, sospeso nel 2023, i bombardieri strategici devono rimanere allo scoperto ed esiste lo scambio di immagini?

Non sono domande su cui s’interrogano solamente gli analisti occidentali: anche il Cremlino avrà valutato il livello di coinvolgimento americano e, molto probabilmente, la telefonata tra i due presidenti è servita per evitare di minare il rapporto che si è instaurato sinora e che va ben oltre la questione ucraina. Basti pensare, ad esempio, al ruolo pivotale che la Russia di Putin può avere sulla questione dell’accordo nucleare tra Usa e Iran.

È, altresì, interessante e significativo il confronto telefonico tra il Cremlino e la Santa Sede, posto che nemmeno Papa Francesco era riuscito a parlare telefonicamente con il presidente russo. Tuttavia, Putin ha solamente garantito la prosecuzione della questione umanitaria, ma ha ribadito le ragioni del Cremlino, che sono ben lontane dalla richiesta di Papa Leone XIV di fare «un gesto che favorisca la pace».

Cosa accadrà, quindi, nelle prossime settimane? Da parte russa, l’attività diplomatica degli incontri di Istanbul non è stata messa in discussione ed è strumentale, soprattutto, per lo scambio di prigionieri, mentre sul piano militare l’esercito russo, dopo Jablanovka e Maryino, ha preso il controllo del villaggio di Varachino nella regione di Sumy. Putin temporeggia in attesa di capire se Trump intenda disimpegnarsi in Ucraina per lasciarla nelle “mani” dei volenterosi europei. Ritenendosi in una posizione di forza, per il Cremlino non avrebbe alcun senso ricorrere all’utilizzo del nucleare per “vendicarsi” delle perdite subite – decisamente ridimensionate nel frattempo – ma potrebbe trovare una soluzione che eguaglierebbe, non solo scenograficamente, l’attacco ucraino. Come si evince, infatti, da un’analisi del Battle Damage Assessment, gli aerei colpiti sarebbero 5 Tu-95, 2 Tu-22 e 1 An-22, un esito ben lontano dal “forzato” paragone con quanto accaduto a Pearl Harbor nel 1941.

Nuova dottrina nucleare

Sinora diversi analisti hanno preso troppo alla lettera il testo della nuova dottrina nucleare, che prevede il ricorso al nucleare se attaccati da un paese sprovvisto di questo asset, ma supportato da chi lo possiede, senza tener conto del fatto che il documento presenta diverse ambiguità e lascia una grande discrezionalità al presidente della Federazione russa. Putin ha sempre ribadito che gli Usa sono stati l’unico paese al mondo a utilizzare la bomba nucleare e la Russia non intende emularli perché dispone di armamenti molto più sofisticati di quelli americani che impatterebbero quanto un’arma nucleare. Al momento, vi sono stati attacchi russi con bombe Fab sulla sede dell’amministrazione regionale ucraina di Cherson e la loro intensità, già aumentata dallo scorso aprile, proseguirà incessantemente.

Certamente, questa guerra ha accelerato la revisione delle dottrine nucleari delle superpotenze rischiando di sdoganare l’effetto di deterrenza, e la stessa Nato si è dichiarata «preparata per ogni eventualità». Nulla, giustamente, può essere sottovalutato considerando i “colpi di scena” e gli strumenti sofisticati che sono stati utilizzati in questo conflitto russo-ucraino.

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