La prima fase dell’attacco militare all’Iran sembra un successo per Israele, ma tante sono le domande si accavallano: quale dovrebbe essere l’esito finale di questa operazione? Posto che neanche i paesi del Golfo, l’Arabia Saudita, la Giordania e la Turchia potrebbero accettare un’atomica iraniana, l’obiettivo è il cambio di regime a Teheran? E con quali prospettive per Gaza?
Dopo l’annuncio del 12 giugno dell’Agenzia per l’energia atomica delle Nazioni Unite, che, per la prima volta in vent’anni, accusava Teheran di stare violando gli accordi mondiali sulla proliferazione del armi nucleari, avendo già raggiunto un grado di arricchimento dell’uranio sufficiente per la fabbricazione di dieci bombe atomiche, l’attacco israeliano di venerdì notte era nei fatti.
Lo Stato ebraico, Usa, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, paesi del Golfo e anche Turchia non potrebbero mai accettare un’atomica iraniana. Mai, in nessun caso, ancor di più se in mano ad un regime che non ha mai mancato di dimostrare le proprie mire egemoniche.
Tante le incognite che si aprono in questo nuovo superamento di una linea rossa già caduta dopo i reciproci attacchi fra Teheran e Tel Aviv dell’aprile e dell’ottobre scorso, che, a questo punto, appaiono come un modo per prendere le misure all’avversario, in making the case, a Tzahal fosse arrivato il semaforo verde per l’operazione Rising Lion a cui stiamo assistendo e che, nella sua primissima fase, sembra aver raggiunto importanti obiettivi.
Solo nel primo attacco, duecento aerei da combattimento israeliani hanno penetrato come il burro lo spazio aereo iraniano, così come era avvenuto nell’ottobre scorso. Oltre cento obiettivi colpiti in tutto l’Iran, anche grazie al supporto dell’intelligence che, anche questo si era capito nei mesi scorsi, ha da anni penetrato il fronte iraniano in modo capillare. Eliminati i tre comandanti militari più alti del regime iraniano: il capo di stato maggiore delle forze armate, il comandante delle Guardie Rivoluzionarie e il comandante del comando d’emergenza.
La difesa sventrata
Compiuto un vasto attacco contro il sistema di difesa aerea iraniano: l’Idf ha distrutto decine di radar e rampe di missili terra-aria, incrementando la sua capacità d’azione nei cieli nemici per un’operazione che, come già annunciato, si protrarrà diversi giorni. Intanto, si diffondono segnalazioni, comunque tutte da verificare nella loro ampiezza, di rivolte interne verso un regime sotto costante attacco delle varie forme di opposizione perlomeno dal 2009.
Per Israele non sono tutte rose e fiori, però. Tantissime le incognite all’orizzonte. Anzitutto su quale sia la capacità di reazione degli ayatollah, che, era chiaro non si potesse limitare a misure simili ai cento droni kamikaze molti abbattuti dall’antiaerea giordana (in caso qualcuno avesse dubbi su con chi stia il mondo arabo-sunnita). In tal caso, sarebbe stato bene che Khamenei e soci si informassero riguardo ad appartamenti vicino a quello di Assad nel suo esilio russo.
L’arsenale di Teheran comprende centinaia di missili balistici che, come visto già a ottobre, hanno capacità parziale di superare Arrow ed Iron Dome, infliggendo danni. Soprattutto se orientati sulle città. Ma quanto tutto questo sia stato danneggiato dall’incursione israeliana non si può sapere.
Verso un regime change?
Incognita ancor più grande, la traiettoria dell’attacco: un via libera assoluto per un regime change o un modo per costringere Teheran a sedersi seriamente al tavolo delle trattative? Ci sono segnali, di lungo corso, nell’una e nell’altra direzione. Ed, in caso di prima ipotesi, chi al posto degli ayatollah? Finora, l’opzione più realistica ed accreditata era la sostituzione del regime teocratico con una dittatura militare in stile Egitto, ma l’attacco ai pasdaran sembrerebbe indicare altre vie. Da vedere cosa si muove dentro quella galassia.
Altri scenari sembrano anche possibili, a cominciare da una volontaria destabilizzazione dell’area che è sempre stata funzionale ad Israele, ma non ai suoi partner. Resta, poi, la questione palestinese, che in uno scenario di riscrittura dell’intera area sarebbe assai marginalizzata. Gli Stati arabi disposti a sacrificare i palestinesi per un nuovo Medio Oriente a loro guida? Possibile, ma chi li prende? Ad occhio e croce, nessuno. Senza questa risposta, ogni ipotesi di Riviera Gaza o assurdità simili è flatus vocis. Analiticamente grave, scambiare un filmato di propaganda becera con un progetto politico serio.
Più probabile, si torni al piano di gestione araba della Striscia, ma Netanyahu come fa a farlo digerire alla sua parte politica? Siamo punto e a capo.
Ed Erdogan accetterebbe? Insomma, in quanto si è messo in moto venerdì notte gioca senz’altro un ruolo il bisogno di una guerra infinita di Netanyahu, ma ridurre tutto a questo rischia di essere banalizzante e fuorviante: l’Iran è effettivamente un pericolo per l’area. È su questa convergenza di interessi che si è inserito Bibi. Naturalmente, sarebbe opportuno chiedersi come si è giunti a questo punto. Ma ormai quel tempo è passato.
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