Con la caduta dell’Afghanistan nelle mani talebane, Al Qaida ha rubato la scena allo Stato Islamico, che tuttavia mantiene un’estesa rete globale, nonostante la morte di Al Baghdadi. Da giorni le agenzie occidentali di intelligence avevano lanciato l’allarme sull’intenzione dell’Isis di colpire l’aeroporto di Kabul, dove l’Italia sta evacuando il maggior numero di afgani dopo Stati Uniti e Inghilterra.

L’esplosione avvenuta ai varchi con morti e feriti conferma l’accuratezza delle informazioni raccolte dai servizi segreti e il grave deterioramento delle condizioni di sicurezza in cui si trovano ad operare anche i militari italiani nello scalo.

L’Iskp, corrente afghano-pakistana dell’Isis

FILE - This file image released by the Department of Defense on Wednesday, Oct. 30, 2019, and displayed at a Pentagon briefing, shows an image of Islamic State leader Abu Bakr al-Baghdadi. The Islamic State group seemed largely defeated last year, with the loss of its territory, the killing of its founder in a U.S. raid and an unprecedented crackdown on its social media propaganda machine but tensions between the U.S. and Iran in the region provide a comeback opportunity for the extremist group. (Department of Defense via AP, File)

Lo Stato Islamico in Afghanistan, seriamente indebolito in questi anni dalle azioni dei Talebani, dell’esercito regolare afgano e dai droni Usa, ha interesse a scatenare una guerra civile per radicalizzare musulmani sunniti, specialmente di etnia pashtun, e reclutare nuovi militanti per riconquistare terreno.

Una strategia analoga a quella di Al Zarqawi, progenitore dell’Isis, usata in Iraq contro gli sciiti, potrebbe essere impiegata contro la minoranza Hazara, ritenuta eretica, per fomentare un’escalation di violenza.

Non è da escludere che l’Iran decida di sostenere militarmente gli sciiti Hazara, come ha già fatto armando la brigata Fatemiyoun, intervenuta in Siria a fianco di Assad. L’Afghanistan rischia di diventare il nuovo terreno di scontro diretto tra i jihadisti dello Stato Islamico e quelli di Al Qaida, protetti dai Talebani.

È utile riassumere come l’Isis si sia radicato nel paese centroasiatico. Nel 2014, momento di grande debolezza dell’organizzazione di Bin Laden e Al Zawahiri che coincise con quello di massima espansione del Califfato, emissari di Al Baghdadi si recarono nei territori tribali del Waziristan per corteggiare i comandanti del Tehrik-i-Taliban Pakistan (Ttp), i talebani pakistani. Alcuni di loro decisero di giurare fedeltà all’Isis e fondare la Wilayah Khorasan, provincia del Califfato che copre l’area dal Pakistan all’Iran.

Dunque, lo Stato Islamico in Afghanistan, nell’acronimo inglese Iskp, è nato effettivamente da una costola defezionista dei talebani, sia pakistani che afgani, i quali hanno reclutato soprattutto militanti delusi dalla mancata “carriera” interna, oltre a giovani per i quali i talebani non erano più sufficientemente radicali.

Le dinamiche Talebane

A Taliban fighter stands guard at a checkpoint, in Kabul, Afghanistan, Wednesday, Aug. 25, 2021. The Taliban wrested back control of Afghanistan nearly 20 years after they were ousted in a U.S.-led invasion following the 9/11 attacks. Their return to power has pushed many Afghans to flee, fearing reprisals from the fighters or a return to the brutal rule they imposed when they last ran the country. (AP Photo/Khwaja Tawfiq Sediqi)

L’organizzazione Tehrik-i-Taliban Pakistan, in guerra con il governo di Islamabad, è però alleata dei talebani afgani e molto vicina ad Al Qaida. Questa asimmetria crea incomprensioni tra i non addetti ai lavori, ma è probabile che i servizi pakistani useranno il loro ascendente sui Talebani della rete Haqqani per placare i militanti del Ttp.

Il suo leader, Noor Wali Mehsud, ha appena rinnovato il giuramento di fedeltà all’Emirato Islamico dell’Afghanistan, ora guidato dall’Amir al Muminin (capo dei credenti) talebano Hibatullah Akhundzada, figura di mediazione e compromesso tra le molte anime del movimento: i radicali della rete Haqqani, responsabili della presa di Kabul, i “moderati” di Kandahar con a capo il mullah Baradar, dato come probabile guida politica, la fazione di Mohammad Yaqoob, figlio del defunto mullah Omar.

Andrebbero indagate più a fondo le dinamiche tribali interne ai Talebani, che si dividono principalmente tra il clan Durrani e quello Ghilzai. Nel 2015 altre organizzazioni terroristiche regionali giurarono fedeltà all’Iskp, compreso il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, fino ad allora allineato ad Al Qaida.

Dopo il caos

08 December 2020, Iraq, Baghdad: A'soldier stands in position during a military training by the Iraqi Emergency Response Brigade (ERB) of the Ministry of Interior's Special Operations Forces at a training ground in Baghdad Air base, ahead of the Victory Day that celebrates the defeat of the Islamic State in Iraq. The ERB has played a leading role with the Iraqi military and Kurdish Peshmerga in the battle against the Islamic State (ISIS) in Iraq. Photo by: Ameer Al Mohammedaw/picture-alliance/dpa/AP Images

I seguaci del Califfato hanno goduto inizialmente del caos afgano per organizzare campi d’addestramento e santuari, soprattutto nella provincia di Nangarhar. Coscienti della minaccia, sia i Talebani sia le forze Nato attaccarono la nascente filiale dello Stato Islamico, che in sei anni ha cambiato sette capi, puntualmente eliminati dai droni Usa o catturati.

Dopo le sconfitte militari inferte dai Talebani, si stima che dispongano di qualche migliaio di militanti in Afghanistan, ma la loro forza deriva dall’uso di tattiche prettamente terroristiche, come gli attacchi suicidi portati a segno a Kabul e altrove contro uffici elettorali, accademie militari, luoghi di culto sciiti e truppe Nato.

Tra i più recenti e feroci c’è quello del 30 aprile, in cui un kamikaze si è fatto esplodere davanti alla sede dell’intelligence afgana (Nds) e un secondo attentatore si è immolato all’arrivo di soccorsi e giornalisti. Un altro brutale attentato l’8 maggio ha provocato 90 morti davanti a una scuola per bambine a Kabul.

La strategia dello Stato Islamico nel Khorasan si fonda sulla critica ai Talebani, definiti “apostati” sulla rivista ufficiale Al Naba per essere scesi a patti con gli Stati Uniti a Doha e di recente con Pechino, oltre a ricevere sostegno dai servizi segreti pakistani.

Talebani troppo riformisti?

L’Iskp accusa il Talebani anche di bidah, innovazione religiosa eretica, perché hanno ceduto rispetto alla rigida dottrina sharaitica di un tempo, permettendo alle donne di istruirsi, seppur in classi separate e con insegnanti uomini solo se anziani, ma anche perché i Talebani hanno offerto protezione alla minoranza sciita degli Hazara, durante la celebrazione della festività dell’Ashura.

Durante l’avanzata di agosto, i talebani hanno liberato centinaia di detenuti a loro fedeli dalle prigioni, ma in quella di Pul-e-Charki a Kabul hanno trovato e giustiziato Abu Omar al Khorasani, capo di Iskp arrestato un anno fa dai servizi afgani, così come l’ex leader Abdullah Orokzai.

L’attuale capo dell’Iskp è conosciuto solo con lo pseudonimo di Shahab al-Muhajir, si tratta di un siriano identificato dalle Nazioni Unite con la kunya di Abu Muhammad Saeed Khurasani. È la prima volta che un arabo, quindi non un locale pashtun, assurge alla guida della filiale del Khorasan.

Questo elemento segnala la volontà del nuovo leader dello Stato Islamico, l’irakeno Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi, di riprendere le redini in Afghanistan e indirizzare la strategia del gruppo. Un arabo calato dall’alto in un tessuto etnico pashtun potrebbe tuttavia costituire un problema di legittimità, oltre che di comprensione delle dinamiche tribali.

I devastanti attacchi di quest’anno a Kabul, non ultimo quello all’aeroporto, dimostrano però la capacità di seminare terrore per scatenare una reazione e radicalizzare nuovi militanti. In un contesto caotico di guerra civile, in cui si inserisce anche la resistenza dei tagiki di Massoud nella valle del Panjshir, potrebbe trovare nuova linfa lo Stato Islamico, al momento messo in ombra da Al Qaida, che celebra la vittoria talebana.

Oltre la Durand Line

A Taliban fighter stands guard at a checkpoint, in Kabul, Afghanistan, Wednesday, Aug. 25, 2021. The Taliban wrested back control of Afghanistan nearly 20 years after they were ousted in a U.S.-led invasion following the 9/11 attacks. Their return to power has pushed many Afghans to flee, fearing reprisals from the fighters or a return to the brutal rule they imposed when they last ran the country. (AP Photo/Khwaja Tawfiq Sediqi)

Sarà importante monitorare ciò che avviene a cavallo della Durand Line, che segna il confine tra Afghanistan e Pakistan, laddove il movimento Ttp diventa un anello vitale per il terrorismo di Al Zawahiri e per gli interessi talebani. Il Ttp è responsabile della pianificazione di un attentato alla metropolitana di Barcellona sventato nel 2008, così come di quello di Times Square a New York nel 2010, perciò non limita la sua attività al Pakistan e rappresenta una minaccia globale, in stretto raccordo con Al Qaida.

Occorre ricordare che il Pakistan, benché ai ferri corti con il Ttp, mantiene un canale diretto con i talebani afgani, ma finanzia e sostiene altri gruppi jihadisti come Lashkar-e-Taiba, Jaish-e-Mohammed e una galassia di sigle attive dal Kashmir sino all’Europa. Secondo le Nazioni Unite sono migliaia gli islamisti pakistani che combattono con i talebani in Afghanistan, provenienti da queste organizzazioni.

Se lo Stato Islamico troverà spazio, continuerà la sua opera di destabilizzazione in Asia Centrale, ma i paesi della Nato in ritirata da Kabul come i nuovi attori, Cina in testa, potrebbero avere la tentazione di favorire questo caos per indebolire i Talebani. Una strategia machiavellica che rischia di aprire un vaso di Pandora e scatenare conseguenze ben peggiori di quelle attuali.

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