Badiucao ha un uomo davanti a un carrarmato tatuato sul braccio destro. Se ci fosse una didascalia, sarebbe “Piazza Tienanmen, Pechino, 5 giugno 1989”. Eppure è solo all’università, e per caso, che l’artista di Shanghai, allora studente di legge, si è imbattuto nel massacro che ha marchiato la Cina di quegli anni, ma è assente dai libri di storia.

A causare lo “shock”, racconta, è stato un film piratato: ha il titolo di una commedia taiwanese, ma dentro qualcuno ha inserito un documentario sulle proteste. Quegli stessi tank ricorrono oggi nelle sue opere, che affrontano tutti i temi tabù del governo cinese, come le tre T (Taiwan, Tibet e Tienanmen), Xinjiang e Hong Kong, e li dissacrano. Alcune di queste sono esposte nella mostra Line of Duty di Prometeo Gallery Ida Pisani a Milano, fino al 9 marzo 2023.

Storia cancellata

Al centro dell’arte del fumettista, oggi in auto esilio a Melbourne, c’è la storia. O meglio quella storia cancellata, riscritta o in attesa di nuove narrazioni filogovernative, che si intreccia con le libertà di espressione e di stampa, e con i diritti umani. Come nel caso dei fatti di piazza Tienanmen.

«Quei filmati erano innegabili. Non esisteva il deep fake allora», spiega, «e la cosa incredibile è che non ne eravamo mai venuti a conoscenza». È una storia fatta di individui: durante la Campagna dei cento fiori, voluta da Mao Zedong negli anni ’50, il nonno e lo zio, entrambi pionieri del cinema cinese, sono stati perseguitati. Il nonno è stato ucciso.

«C’è un vuoto nella nostra storia che allontana le generazioni», sottolinea Badiucao, «perché non riusciamo a conoscere e a confrontarci con l’esistenza di chi è venuto prima di noi». Questo vuoto, della censura, è diventato però uno spazio di azione, e restituire scampoli di memoria, attraverso una satira lucida della propaganda e delle politiche del Partito comunista cinese, è l’obiettivo dell’artista.

È il caso di HK Cartoon, National Security Threat 2, una delle illustrazioni della mostra di Milano, contro la legge sulla Sicurezza nazionale di Hong Kong, che ha segnato di fatto la fine dell’autonomia dell’ex colonia britannica il 1° luglio 2020. Nella stampa, su sfondo rosso, un poliziotto apre il fuoco contro vari ombrelli gialli, oggetto simbolo delle manifestazioni pro democrazia.

Al posto dei proiettili, dalla canna di fucile esce il Covid-19: una critica alla stretta, avvenuta durante l’emergenza sanitaria. «Credo sia molto importante essere radicati nella realtà», commenta quello che molti chiamano il “Banksy cinese”, ma che rifiuta questo nome: «Diversi artisti politici fanno arte in una maniera generica. Usano slogan di pace e amore, ma mai specifici. Mai riguardo a posti, tempi o persone davvero coinvolte. Non mi piace, è un modo per non rischiare». Come fa Banksy, scandisce. Se l’identità dello street artist è tuttora ignota, Badiucao ha invece deciso di svelare la sua nel 2019.

Xi Jinping

Chi o cosa vuole andare a colpire l’artista cinese è evidente. Come nel ritratto Untitled esposto a Milano, dove è in posa un presidente Xi Jinping dagli occhi azzurri. Osservandolo meglio, l’espressività è però quella dell’omologo russo Vladimir Putin. Un’opera simile concettualmente a un altro ritratto di Xi, travestito dall’ex capo dell’esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam. Anche in Xi’s Going on a Bear Hunt, una delle vignette più celebri dell’artista, sempre visibile a Milano, il soggetto è il presidente cinese, con un fucile in mano. Davanti, un altrettanto riconoscibile Winnie the Pooh, a terra stecchito. La scena allude alla censura che ha colpito l’orsetto della Disney nel 2015, usato dai netizen cinesi per rappresentare Xi aggirando così i controlli online. 

Il principale spazio di esposizione di Badiucao resta proprio internet, soprattutto Twitter (@badiucao). Da qui l’uso di illustrazioni e grafiche, e di uno stile immediato che spesso si rifà al mondo dei meme e dei riferimenti online. «Devo massimizzare i modi per raggiungere il mio pubblico», dice il fumettista che, nonostante il great firewall – il sistema che blocca i contenuti virtuali sgraditi a Pechino – punta ancora a un pubblico cinese. E ci riesce: «Alla fine dello scorso anno, un’enorme protesta ha attraversato diverse città della Cina. Chi manifestava chiedeva la fine dell’assurda, ma anche efferata politica “zero Covid”. E a Shanghai c’è chi è sceso in strada con una mia opera». Una bandiera fatta di 96 quadrati dei colori dell’arcobaleno, che si ispira ai post-it un tempo messaggio di democrazia sui muri di Hong Kong: il titolo è Lennon Wall Flag. «La censura ha dei limiti», nota l’artista. 
Da tempo è però ostacolato dalla Cina anche fuori dal paese d’origine. In Australia «non ho modo di esporre opere di grandi dimensioni», si rammarica Badiucao, che racconta come alcuni suoi lavori siano stati rifiutati anche da musei pubblici proprio per pressioni o per il timore di possibili ritorsioni, anche di natura economica da parte di Pechino.

«Sto cercando modi per trasferire il mio studio, possibilmente in Europa», ammette. Mentre lo scorso anno, in occasione della prima mostra italiana (ed europea) al museo di Santa Giulia di Brescia, l’ambasciata cinese aveva inviato una lettera al comune chiedendo di annullare l’esposizione.

Ospitato dalla città per una serie di eventi, Badiucao aveva ricevuto allora anche messaggi «ambigui», dalle minacce più o meno velate all’invito a partire il prima possibile «perché c’è un sacco di mafia in Italia e potevano farmi fuori per strada in qualsiasi momento». 

Tutte pressioni che per la mostra di Milano non si sono verificate. «È un privilegio e un onore tornare in Italia», dice Badiucao, che questa volta è in una doppia personale con l’artista Gianluca Costantini. Aggiunge: «A volte essere un artista politico è un’esperienza solitaria».

Milano è anche la città con una delle comunità cinesi più grandi d’Italia. «Spero che più cittadini cinesi e sinodiscendenti avranno modo di vedere il mio lavoro, dal momento che è impossibile farlo in Cina».

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