Bielorussia, un anno fa, 9 agosto 2020, le ultime elezioni scippate e da allora una dittatura mostra il suo volto crudele. Nel nostro continente, a circa due ore di volo, migliaia di persone sono state minacciate, licenziate, sequestrate, imprigionate. Accade che un programma della televisione di stato sia dedicato ai «traditori» con un conduttore e un cappio mentre sul fondale scorrono i volti degli avversari del regime. Accade che un dissidente sia trovato impiccato a Kiev, dove si era rifugiato dando vita a una associazione per la libertà del proprio paese. Accade che altri oppositori scrivano in questi giorni su Twitter: «Se mi trovate morto, non credete al suicidio!». Accade che Alexandr Lukashenko faccia dirottare un volo Ryanair per arrestare Roman Protasevich, attivista e giornalista. Accade che la Cnn rimandi le immagini di un gulag circondato da una recinzione elettrificata nel cuore della foresta bielorussa. Accade che a Tokyo, Kristina Timanovskaya chieda l’intervento del Comitato olimpico per evitare il rientro in patria dove ha dichiarato «mi aspettava la prigione o l’ospedale psichiatrico», e questo solo per aver criticato i dirigenti della squadra.

Se posso aggiungere un ricordo, accade che chi meno di un anno fa, accompagnava me e Andrea Orlando in incontri con esponenti dell’opposizione, sia finito arrestato mentre si recava al lavoro in autobus. Ne ho conosciuto la sorella qui a Milano durante un presidio delle associazioni della diaspora che tutte e tutti dovremmo sostenere.

La resistenza continua

Nonostante tutto ciò, accade che la resistenza continui. Accade che Maria Kalesnikava, una delle leader dell’opposizione che ha scelto il carcere e rifiutato di espatriare, da dietro le sbarre dell’aula dove viene processata a porte chiuse, accenni una danza e incroci le mani a simbolo di cuore e della libertà per mostrare che lei e le sue ragioni sono più forti dei suoi carcerieri.

Il 6 luglio, Viktor Barbariko è stato condannato a 14 anni di reclusione. Da candidato alle elezioni in poco tempo aveva raccolto 450mila firme al posto delle 100mila sufficienti. Per il regime era una minaccia e per questo è stato arrestato insieme al figlio Eduard il 18 giugno, a un mese e mezzo dal voto, per presunti reati finanziari.

Accuse politiche secondo l’Unione europea e Amnesty International. Il seguito è noto. Sergei Tikhanovsky rischia fino a 15 anni di prigione, Maria Kolesnikova, collaboratrice del banchiere accusato, è incarcerata per cospirazione. Era stata sostenitrice di Svetlana Tikhanovskaya alle presidenziali insieme a Veronika Tsepkalo, moglie di Valerij, altro candidato non ammesso alla corsa. Leadership decapitate, ma nuove nate e ormai affermate.

Non a caso Svetlana Tikhanovskaya valorizza l’orizzontalità del movimento di resistenza come rete social, come gruppi dal basso e laboratori di leadership autodeterminate e riconosciute. Accade dunque che la protesta non si pieghi, si reinventi in forme diverse e non rinunci alla scelta del pacifismo anche per evitare che il dittatore arrivi a un bagno di sangue.

Le donne protagoniste

Ma quanto potrà durare? Per l’Europa l’orologio corre. Ha mosso dei passi con le sanzioni mirate ma non basta e bene ha fatto il presidente del parlamento europeo David Sassoli a riaccendere i riflettori a sostegno di un movimento partigiano oppresso dal regime, dal Kgb, da una polizia coi suoi reparti speciali, gli Omon. Quel paese a pochi chilometri da noi, soffre. A quel popolo molto è stato tolto, una cosa però non sono riusciti a strappargliela: il coraggio e la speranza. E proprio le donne ne sono protagoniste. Diplomazie, pressioni e azioni devono moltiplicarsi. Come saremo dopo la pandemia e se questo rinascere dell’Europa avrà una storia di civiltà, dipende da due semplici parole: diritti umani. Facile da dirsi e più complicato declinarli, però è la prova che vale sia per Patrick Zaky, per la Bielorussia o per i bambini migranti o morti in Indonesia per la mancanza di vaccino.

È la prova se vogliamo contrastare le morti sul lavoro e i caporalati. I diritti camminano insieme, sociali, civili e politici. Sì, anche politici visto che a Minsk il programma fondamentale è liberare i detenuti per reati di opinione, convocare libere elezioni, non dormire più terrorizzati in casa se si è amici di un dissidente. L’Italia può usare la credibilità del governo in modi diversi e uno, per me il più importante, è non girare mai la testa sulle sofferenze in casa nostra e nel mondo.

Rimango convinta che non ci si possa riuscire senza il Pd rifondato e senza una sinistra perché il primato della dignità ha sempre trovato da questa parte chi ne ha fatto una missione fino a sacrificare sé stesso. Ecco, non si chiede tanto però il dopo sarà diverso se noi, una nuova sinistra anche in Europa, diventeremo più esigenti e combattivi coi poteri, con lo status quo e con quella logica di profitti che vende le armi e non vede la vita. Per tutto questo non lasciamoli soli, per non lasciare soli anche noi stessi.

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