La Bbc, il Telegraph e Trump, la guerra civile del giornalismo anglosassone

C’era una volta il giornalismo anglosassone, quello che ha fatto scuola, che ha formato o ispirato generazioni di reporter e cronisti in tutto il mondo. Quello che informava in maniera neutra e puntuale, che scavava a fondo, che faceva tremare politici e potenti. Quel mito che tuttavia oggi sembra essere entrato in una profonda crisi di credibilità, oggetto di mire predatorie e minato da pressioni esterne e interne. Il caso Bbc di questi giorni è emblematico del momento in cui versa il sistema dell’informazione britannico. Bbc, i vertici si dimettono dopo le critiche per i tagli travisati a un discorso di Trump La battaglia di Trump I vertici della British Broadcasting Corporation, Tim Davie, direttore generale, e Deborah Turness, responsabile di Bbc News, si sono dimessi a causa del video montato ad arte su Donald Trump: l’unione di due spezzoni di un suo intervento – distanti in realtà diversi minuti l’uno dall’altro – hanno fatto sì che pareva incitasse la folla a combattere prima dell’assalto a Capitol Hill del 2021. Il video è andato in onda nel programma della Bbc, Panorama, a pochi giorni dalle elezioni Usa del 2024. Il caso è emerso dopo la divulgazione di una nota interna firmata da un ex consigliere della Bbc, Michael Prescott, in cui veniva citato quel video come prova di carenze dell’emittente dal punto di vista deontologico e professionale. A ruota, il presidente statunitense ha minacciato di fare causa per diffamazione alla Bbc chiedendo un risarcimento tra uno a cinque miliardi di dollari, scuse pubbliche, pentimenti ufficiali, per colpire sia le casse sia l’autorevolezza dell’emittente. Il comunicato e la lettera personale del presidente della società, Samir Shah, in cui si dice dispiaciuto e rammaricato di quanto accaduto, pur ribadendo non ci siano basi legali per denunce, non è servita. L’intera vicenda è però la punta dell’iceberg, il sintomo di due fenomeni: da una parte la guerra di Trump ai media considerati “mainstream”, americani, inglesi o di qualsivoglia nazionalità. Nemici del popolo, propagandisti, mentitori, sono tra gli epiteti preferiti dal presidente Usa per descrivere giornali, tv, siti, con cui lo scontro è aspro, tra limitazioni di accesso ai giornalisti alla Casa Bianca, revoche di credenziali, contenziosi legali. A finire tra i bersagli i media più riconosciuti, dal New York Times a Reuters, passando per Ap e Bloomberg. A cui ora si è unita, a torto o ragione, la Bbc. L’altra parte riguarda le tensioni all’interno del mondo giornalistico britannico, dove negli anni non sono mancati attacchi frontali e scandali che hanno riguardato la stessa Corporation. Trump e l’ombra pericolosa di un nuovo impero dispotico Le controversie della Bbc La rete britannica è un’azienda enorme, con circa 21mila lavoratori, con programmi trasmessi in decine e decine di lingue, che raggiunge ogni settimana una platea pari a 450 milioni di persone. Quattrocentocinquanta milioni. Il soft power inglese passa anche da qui. Tuttavia, negli anni ha inanellato una serie di controversie. Dalla vicenda di Martin Bashir, con le dimissioni di Tony Hall per l’intervista strappata con l’inganno a Lady Diana, a quella di Gary Lineker, icona sportiva e volto tv, autore nel 2023 di commenti social contro le misure anti immigrati del governo conservatore, evento che ha portato la Bbc a sospenderlo, scatenando la solidarietà di molti dipendenti dell’emittente fino alla marcia indietro. Fino ai casi più recenti, con accuse arrivate dagli Usa e da Israele di dare una copertura parziale del conflitto post 7 ottobre, di essere – questa l’accusa, specie nelle sue edizioni arabe – troppo vicina ad Hamas. Tanto che in un documentario su Gaza sono state certificate delle violazioni delle linee guida di accuratezza. Insomma, occasioni in cui si sono rese necessarie verifiche interne e difese da assalti spesso provenienti da colleghi. Il caso del video di Trump non è un’eccezione. Il pentagono mette il bavaglio alla stampa, rivolta dei cronisti contro la Casa Bianca L’affondo del Telegraph Nella nota di Prescott veniva sottolineato come la Bbc sapesse delle criticità della clip ma non avesse agito di conseguenza, erano poi evidenziati vari problemi sistemici sull’imparzialità dell’emittente, sul come trattasse la guerra a Gaza e le questioni transgender. A scoperchiare tutto è stato il Telegraph, quotidiano di stampo conservatore. Che non si è fermato lì, dopo diversi giorni ha rivelato che una clip simile al video incriminato di Panorama era stata mandata in onda anche nel 2022 sul programma della Bbc, Newsnight, aggiungendo così altra carne al fuoco. Dopo giorni di polverone, una scia è rimasta a terra, con Byline Times che ha messo in fila un po’ di elementi: Prescott è un lobbista, divenuto consulente della Bbc grazie a Sir Robbie Gibb, tra i primi finanziatori di GB News, emittente a tutta destra e pro-Trump lanciata nel 2021 da Paul Marshall. Prescott per anni ha guidato un’azienda legata ai Tories, Hanover Communications, che ha ricevuto centinaia di migliaia di dollari da società Usa (big tech e media) vicine a Trump. Dei puntini, quindi, possono cominciare a essere uniti, anche se il disegno finale rimane un’incognita. Ad ogni modo, la valanga era partita e il Telegraph aspettava da tempo questo momento. Ci ha provato a lungo e in diversi modi a scalfire la solidità della Bbc. Non si tratta solo di screzi tra rivali o competitor, che si vedono un po’ ovunque, anche in Italia. Il livello è diverso. «La Bbc imparerà presto che l’arroganza porta inevitabilmente alla rovina», «La Bbc ha perso ogni senso del giusto e dello sbagliato», «Il fanatismo trans della Bbc è stato smascherato. Deve liberarsi dei fanatici», «La Bbc sta rovinando la reputazione della Gran Bretagna all’estero», sono solo alcuni titoli degli articoli comparsi negli ultimi mesi sulle pagine del Daily Telegraph che ha tentato in tutti i modi di mettere in dubbio la qualità giornalistica del prodotto Bbc, accusato di essere di parte, troppo di sinistra. Google filtra i contenuti degli editori con la scusa della web reputation: l’Europa avvia un’indagine La posta in gioco I bersagli sono solo in apparenza gli errori o il posizionamento editoriale, la posta in gioco è un’altra. Cioè la questione del servizio pubblico, il ruolo dominante della Bbc nel panorama dei media nazionali e internazionali, il sistema di benefici economici che deriva da tale posizione, la sua concorrenza definita sleale. Per capire quanto la Bbc è presente nel paese, c’è un dato significativo: tra il 2024 e il 2025, il 94 per cento degli adulti britannici ha visto o usufruito dei servizi della Corporation almeno una volta al mese. In pratica tutta la popolazione. Ma una delle tesi del Telegraph, che si trascina dietro altri giornali o tv, è che la Bbc vada reinventata, riducendone dimensioni e finanziamenti, tra cui il canone tv previsto nel Regno Unito. Per l’annata 2024-2025, l’incasso legato esclusivamente alle license fee, quindi il canone che i britannici pagano per poter guardare la tv, è stato di 3,8 miliardi di sterline, pagati con 23,8 milioni di licenze, è una quota che rappresenta circa il 65 per cento del budget della Bbc. Ora da più parti si invoca una riforma, anche perché sempre più famiglie stanno decidendo di non pagare la tassa televisiva. Quindi, per il Telegraph, essere riuscito a scatenare una tale slavina contro la credibilità della Bbc è un successo non da poco. Anche perché nel frattempo, sebbene il Telegraph media group (Tmg) mantenga numeri comunque alti e per lo più in crescita (oltre un milione di abbonati, digital e no, nel 2024), il suo futuro è più che incerto. L’anno scorso ha venduto The Spectator, storica rivista politica, per 100 milioni. Ad aggiudicarsela, Paul Marshall, cioè il comproprietario di GB News, nata per contrastare i media tradizionali, Bbc in primis. Il gruppo Telegraph, legato alla holding della famiglia Barclay, gravata da ingenti debiti, intanto sembrava dovesse essere rilevato dagli statunitensi di RedBird. Accanto al fondo di private equity spiccava la partecipazione, dentro a un consorzio, di International Media Investments (Imi), legata alla famiglia reale dell’Arabia Saudita, ragion per cui erano scattati gli allarmi di Londra sulla sicurezza nazionale. A tal punto da rendere necessario fissare al 15 per cento la soglia massima delle partecipazioni dei fondi sovrani stranieri. Ma dopo un accordo di principio, proprio venerdì, nel pieno della saga con la Bbc, RedBird ha deciso di mollare la presa, annunciando il ritiro dell’offerta da 500 milioni di sterline e riportando in un pericoloso limbo il Telegraph. Un limbo in cui il Telegraph non vuole rimanere solo, a costo di trascinare con sé qualcuno. C’era una volta il giornalismo anglosassone.