«La Germania è un partner affidabile?» chiedeva a fine gennaio in un editoriale il Wall Street Journal. La risposta era già nel titolo: «No».

Nel primo viaggio da cancelliere federale negli Stati Uniti Olaf Scholz ha fatto i conti soprattutto con il giudizio negativo della stampa internazionale e persino di quella tedesca. Che il neocancelliere non abbia sin qui brillato per chiarezza, non è un mistero. Fa parte del suo stile sottotono, da più parti considerato inadeguato sul piano internazionale. Sull’Ucraina e la guerra con Mosca, tuttavia, il cancelliere non poteva muoversi meglio. Inutile girare intorno al problema: a Berlino sono perfettamente consapevoli di essere in una di quelle situazioni in cui, Angela Merkel insegna, bisogna essere bravi a tenere il punto, incassare ogni tipo di critica e non cadere nelle provocazioni. Lo conferma anche il prof. Herfried Münkler emerito di filosofia politica alla Università Humboldt: «Questo è un governo nominato da poco, con posizioni diverse al suo interno, e lavora in base al principio di lavorare senza parlare», vale a dire attendere, tener presente e farsi carico delle tante divisioni in Europa.

Le accuse

Le critiche sono note: il governo tedesco sull’Ucraina fa poco e lascia che Vladimir Putin metta tutti di fronte al fatto compiuto. I motivi sarebbero il gas e il commercio, da qui il caso del Nord Stream 2 che Berlino ha continuato a lungo a considerare un progetto solo economico e non geopolitico. Su questo, oltre alla stampa internazionale, è quella tedesca a essere dura con il cancelliere.

Ci si aspetta sempre qualche parola in più: se Scholz dice di sostenere le richieste della Nato, gli si rimprovera di limitarsi a descrivere uno stato di fatto. Se afferma che la risposta occidentale all’attacco russo sarà unitaria, gli si rinfaccia di non aver sospeso prima il progetto del condotto Nord Stream 2. Cosa che Scholz ha annunciato all’indomani della decisione russa di riconoscere le due repubbliche in territorio ucraino. Ciononostante è una sindrome tipica di gran parte della stampa e dell’opinione pubblica tedesca: evitare con cura l’accusa di essere troppo teneri con le pretese di Mosca e quindi di definire e tutelare solo i propri interessi nazionali. Ed è proprio il sospetto presente sulla stampa internazionale: Berlino sembra preferire ancora una volta una strada autonoma rispetto al resto dell’occidente. «Per la Germania sembra che gas a buon prezzo, esportare automobili in Cina e tenere calmo Putin siano questioni più importanti della solidarietà con gli alleati», ancora il Wall Street Journal. Un nuovo Sonderweg con il quale la Germania lavorerebbe a un rapporto in solitaria con la Russia disinteressandosi dei doveri imposti dall’Alleanza atlantica. Nell’intervista alla Cnn effettuata nel corso del viaggio di stato a Washington, Scholz ha fatto di tutto proprio per scrollarsi di dosso quest’accusa: «Putin deve capire che non riuscirà a dividere l’Unione europea o la Nato». Ancora domenica 13 febbraio Frank-Walter Steinmeier, dopo essere stato rieletto presidente federale, ha ribadito: «La responsabilità di quanto accade a Est è della Russia». I dubbi, però, non sono svaniti, anzi.

Anche perché sul governo tedesco pesa l’ingombrante eredità dell’ex cancelliere Gerhard Schröder, da sempre criticato per la sua presenza nei consigli di vigilanza delle imprese di stato russe Gazprom e Rosneft. Se si aggiunge che tra le sostenitrici del progetto Nord Stream 2 c’è la presidente del Mecklenburg-Vorpommern, lo stato federale dove il condotto arriva in Germania, Manuela Schwesig, proprio della Spd, si è ormai imposta l’idea paradossale che il più atlantista tra i partiti tedeschi, appunto la Socialdemocrazia, sia legato a doppio filo a Putin. Addirittura che la politica di Berlino sia pesantemente condizionata da una sorta di lobby russa presente nel partito che oggi esprime il cancelliere federale.

Schröder «non parla a nome del governo. I’m the Chancellor now, sono io il cancelliere!» ha dovuto ribadire Scholz alla Cnn.

Ostpolitik

Ma quanto c’è di vero in queste accuse? «È roba per i giornalisti ma non ha nulla a che fare con la politica operativa», ancora Münkler. Che Gerhard Schröder non abbia onorato la sua esperienza da cancelliere finendo per sedere nei consigli di imprese anziché tentare una strada più vicina alle idee di cui si è fatto interprete nella sua vita, non è un mistero.

Willy Brandt andò a dirigere una commissione Nord-Sud e si scontrò con l’establishment allora al governo in gran parte del mondo occidentale. Tuttavia, sarebbe errato vedere in questa scelta dell’ex cancelliere qualcosa di più e farne né più né meno che la quinta colonna a Berlino di Vladimir Putin. Schröder sa bene, e lo ha ribadito più volte, che la posizione tedesca sulla Russia non può non tenere conto di due cose.

Da un lato il prezzo enorme che i russi hanno versato per la liberazione della Germania dal nazionalsocialismo. D’altro lato il rapporto tra Berlino e Mosca è sempre stato segnato da una certa particolarità. Già Otto von Bismarck, il cancelliere, per così dire, della prima Germania unificata, nelle sue Memorie scriveva che non si riuscirebbe a trovare alcuna ragione valida per una guerra tra i due paesi.

Willy Brandt rovesciò l’ideologia di Adenauer in politica estera, pensata come pura estensione dello scontro ideologico tra i blocchi, proprio grazie alla piena consapevolezza della necessità di un rapporto con Mosca per avviare l’Ostpolitik, la politica a est, che, condivisa con Washington, permetterà nel 1973 anche l’accordo tra la Repubblica federale e la Ddr.

Debito di riconoscenza

E arriviamo ai giorni nostri: a rendere possibile la riunificazione nel 1990 è stata l’allora Unione sovietica che accettò di ritirare le proprie truppe e, persino, che la nuova Germania riunificata facesse parte della Nato.

I soldati di quella che fu l’Armata rossa non lasciarono Berlino est felicemente: erano lì dal 1945, dopo aver vinto una guerra, e ora tornavano a casa quasi con la coda tra le gambe. Non si rifletterà mai abbastanza su quella scelta, che meravigliò lo stesso Giulio Andreotti, che arrivò a far infuriare l’ex cancelliere Helmut Kohl perché si era posto il problema di cosa avrebbero fatto i soldati russi ancora presenti sul suolo tedesco.

Questo è un debito di riconoscenza che bisogna tener presente: Mosca ha detto di volere esattamente uno stop, vincolato giuridicamente, a una (nuova) estensione della Nato.

E, nonostante le assicurazioni occidentali, la Russia indica proprio nell’avanzamento della Nato degli ultimi trent’anni il maggior fattore di instabilità dell’area e della sicurezza globale.

Ieri Olaf Scholz ha detto che «non c’è nessuna giustificazione, questa è la guerra di Putin. Con il suo attacco all’Ucraina il presidente russo Vladimir Putin ha violato ancora una volta e in modo eclatante il diritto internazionale. Putin porta sofferenza e distruzione ai suoi diretti vicini. Ferisce la sovranità e vìola i confini, mette in pericolo la vita di un numero infinito di innocenti dell’Ucraina, il popolo fratello della Russia. E alla fine mette in discussione anche l’ordine pacifico del nostro continente».

Per quanto riguarda le sanzioni, ha ribadito Scholz, «il loro obiettivo è di rendere chiaro alla leadership russa che per questa aggressione pagherà un prezzo amaro. Si dimostrerà che Putin ha compiuto un grave errore con la sua guerra». Il cancelliere ha proposto al presidente francese Emmanuel Macron un urgente vertice dei capi di stato e di governo della Nato. Domenica si terrà una dichiarazione di governo a una seduta straordinaria del Bundestag.

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