Una “tempesta perfetta” si sta abbattendo al confine tra Messico e Stati Uniti, scatenando una crisi umanitaria che l’amministrazione guidata da Joe Biden ha dapprima esitato a riconoscere come tale. La situazione si può spiegare in due fotografie, entrambe realizzate nelle ultime settimane. Sul fronte messicano, a Tijuana, centinaia di migranti in attesa di superare il confine, accampati da giorni in una piazza, indossano una maglietta bianca che – con una grafica che richiama quella della campagna elettorale di Biden – presenta la scritta: Biden, please let us in. Biden, per favore facci entrare. Sul fronte statunitense, a Donna, in Texas, l’immagine mostra decine di persone avvolte in teli isotermici di alluminio. Sono accampate su materassini plastificati stesi a terra, divise in gruppi di tende di plastica trasparente per limitare la diffusione del Covid-19. Tra queste ci sono numerosi bambini.

Nel primo caso si tratta di una fotografia da prima pagina, scattata da un fotoreporter al confine. Nel secondo l’impressione è che l’immagine sia stata presa con uno smartphone, frettolosamente, cosa probabile dato che ritrae un accampamento di emergenza in cui non erano ammessi giornalisti. È stata diffusa – insieme ad altre dello stesso genere – dal deputato del Texas Henry Cuellar, l’unico democratico a rappresentare il suo stato a Washington. Il suo gesto ha contribuito ad alimentare le critiche nei confronti delle politiche sull’immigrazione avviate dall’amministrazione Biden. Tuttavia, nel corso di un’intervista televisiva, Cuellar ha piuttosto sottolineato le responsabilità della precedente amministrazione guidata da Donald Trump, e ne ha preso duramente le distanze: «Noi non rispediamo bambini, bambine, di cinque, sette, nove anni nel deserto del Messico, nelle mani dei trafficanti».

La tensione tra ciò che queste due fotografie rappresentano sta mettendo a dura prova Biden ad appena due mesi dal suo insediamento. Da una parte c’è il ruolo che gli viene attribuito – e che si è più o meno ingenuamente meritato – di rappresentare una speranza per migliaia di persone disposte a rischiare tutto pur di attraversare il confine. Dall’altra c’è il fatto che la sua amministrazione – e in particolare la sua vice Kamala Harris, incaricata da qualche giorno di gestire la situazione – si trova ad affrontare un picco di una crisi che era prevedibile ma alla quale evidentemente non era preparata. È una crisi che si presenta ciclicamente e per la quale né repubblicani né democratici hanno mai trovato una soluzione che fosse sostenibile e che non scatenasse indignazione sul trattamento dei migranti, soprattutto le categorie più vulnerabili. Secondo i dati pubblicati dal New York Times, al momento ci sono circa 5mila minori non accompagnati trattenuti al confine in centri di detenzione destinati agli adulti. Durante l’amministrazione Trump ce ne sono stati al massimo 2.600. La ragione è che il numero di bambini e adolescenti arrivati nell’ultimo mese è così alto che il dipartimento per l’assistenza sociale e dei rifugiati ne ha già in custodia più di 10mila e non riesce ad accoglierne altri nelle proprie strutture.

Questi minori, così come gli altri migranti, provengono da varie zone dell’America centro-meridionale, soprattutto da Honduras, Guatemala e Messico. Fuggono da governi instabili e corrotti, da povertà e violenza, da aree rimaste in ginocchio dopo il recente passaggio di due uragani. «Non si vede la fine», ha twittato lo scorso 18 marzo il capo della polizia di confine nell’area di Rio Grande Valley, mentre denunciava l’ingresso negli Stati Uniti di «grandi gruppi» di persone senza autorizzazione, tra cui intere famiglie con bambini.

Il cambio di rotta

Già nel primo giorno della sua presidenza, Biden ha firmato cinque ordini esecutivi per abrogare le politiche di immigrazione di Trump che aveva definito «criminali», riferendosi al fatto che hanno portato – tra le altre cose – alla separazione di centinaia di bambini dalle loro famiglie. Oltre ad aver ordinato l’interruzione della costruzione del muro tra Messico e Stati Uniti e avviato un programma per permettere a immigrati senza documenti già presenti nel territorio americano di ottenere la green card o la cittadinanza, ha tolto diverse restrizioni per l’approvazione di visti e più in generale per l’ingresso nel paese. Soprattutto ha revocato il programma conosciuto come “Remain in Mexico” per il quale coloro che cercavano asilo politico dovevano attendere fuori dal territorio americano – e dunque in pericolose città di confine del Messico o accampamenti – la decisione di un tribunale sul proprio caso. Ha inoltre avviato un programma per facilitare la riunificazione delle famiglie, impegnandosi allo stesso tempo a non riprendere la pratica – abusata durante l’amministrazione Trump – di rimandare indietro i minori non accompagnati entrati nel territorio statunitense.

Biden ha voluto lanciare un segnale di rottura molto chiaro prima di dare alla sua amministrazione il tempo materiale per riorganizzare la burocrazia e le infrastrutture del complesso sistema dell’immigrazione sotto costante pressione. Intanto il numero di persone al confine determinate a entrare, già in aumento dalla seconda metà dello scorso anno, è cresciuto in modo esponenziale. Secondo le previsioni, quest’anno il flusso di migranti potrebbe raggiungere i due milioni di persone, esattamente quello che Biden aveva detto di voler evitare già prima di entrare alla Casa Bianca. Inutili sono stati i suoi più recenti appelli per arginare la crisi. Lo scorso 16 marzo, in un’intervista alla Abc, Biden ha respinto la provocazione secondo cui i migranti sarebbero stati incoraggiati a voler superare il confine perché lui è un “nice guy”, un “tipo simpatico”, e ha inviato un messaggio ai diretti interessati pregandoli di non mettersi in viaggio e di non abbandonare le loro città e comunità. Un messaggio molto simile a quello che avevano cautamente lanciato lo scorso dicembre anche Susan Rice, attuale consigliera per gli affari domestici, e Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale, nel corso di un’intervista all’emittente di lingua spagnola Efe. In quella occasione, dopo aver confermato che Biden intendeva mettere in piedi una politica per l’immigrazione molto più “umana” di quella di Trump, avevano più volte sottolineato che ci sarebbero voluti mesi prima di poter implementare i piani. Creare le condizioni necessarie al confine, ha detto, «non è come una luce che puoi semplicemente accendere e spegnere».

I repubblicani ricompattati

Infatti l’interruttore che Biden ha azionato al suo insediamento non è riuscito a cambiare repentinamente le cose. Anche una delle più estreme e controverse leggi volute dall’amministrazione Trump, la Title 42 – per la quale il governo si era appellato a ragioni sanitarie imposte dalla pandemia per respingere chi tentava di oltrepassare il confine senza autorizzazione – è rimasta in qualche modo in piedi. Ora non si può più applicare sui minori, ma continua a essere utilizzata per negare l’ingresso agli adulti che viaggiano da soli. Lo stesso vale per i centri di detenzione per immigrati. Per affrontare l’attuale crisi umanitaria e non rischiare eccessivi sovraffollamenti, Biden ha dovuto riaprire strutture ereditate dall’amministrazione Trump poi chiuse a seguito di dure polemiche da parte di democratici e attivisti per i diritti umani. È il caso della struttura d’emergenza che si trova a Carrizo, in Texas, rimessa in funzione per 700 adolescenti tra i 13 e i 17 anni. Tuttavia, sottolineano diversi attivisti, l’approccio dell’attuale amministrazione è decisamente diverso da quella precedente che passerà alla storia per i kids in cages, ragazzini in gabbia. Il governo di Biden si sta infatti impegnando a cercare di offrire sistemazioni temporanee più degne. Per ogni minore in custodia a Carrizo, racconta il Washington Post, il governo spende 775 dollari al giorno (la struttura è gestita da un’azienda privata, come la maggior parte dei centri di permanenza). Gli adolescenti potrebbero restarvi per decine di giorni, in attesa che l’amministrazione cerchi di riunirli a familiari già eventualmente presenti sul territorio americano.

Unito come non si vedeva da tempo è invece il Partito repubblicano, che ha trovato un terreno comune per scagliare dure critiche contro Biden e la sua amministrazione, probabilmente anche nel tentativo di mettere in ombra la recente vittoria del presidente nel far passare un pacchetto di aiuti per la pandemia da 1.900 miliardi di dollari. Una delegazione di repubblicani guidata dal leader della minoranza alla Camera Kevin McCarthy si è recata al confine per lanciare un messaggio molto chiaro: l’attuale governo è il vero responsabile della crisi umanitaria in corso. McCarthy ha anche insinuato che dal confine con il Messico stiano entrando negli Stati Uniti anche terroristi provenienti dal medio oriente, facendo leva sull’accusa al Partito democratico di essere “morbido” nei confronti di questa minaccia. In un clima di forze contrastanti – in balìa di questa tempesta perfetta creatasi tra l’eredità della vecchia amministrazione e le velleità di quella attuale – è dura immaginare come Biden possa implementare nel giro di breve le politiche a lungo termine che davvero porterebbero a una riforma. E intanto a pagare sono i bambini.

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