Dopo diciassette mesi dall’insediamento di Joe Biden e cinque telefonate - l’ultima ieri - con il suo omologo cinese, Xi Jinping, i rapporti bilaterali tra Pechino e Washington sono ai minimi termini, e rischiano di essere terremotati dall’arrivo a Taiwan di Nancy Pelosi. Biden e Xi sono ormai costretti a navigare tra i marosi della rivalità strategica Usa/Cina che travolgono tutti i dossier che la potenza egemone e quella in ascesa dovrebbero affrontare assieme per il bene del pianeta.

Alla preparazione del colloquio di ieri gli staff presidenziali avevano lavorato per settimane, eppure le aspettative della vigilia - confermate dal portavoce della Casa bianca John Kirby - erano alquanto modeste: mantenere aperti i contatti tra due leader. Biden e Xi hanno discusso per due ore e un quarto, in modo «franco e approfondito». Anzitutto di Taiwan, provando a scongiurare l’esplosione di una quarta crisi dello Stretto, che non gioverebbe a nessuno dei due. Ma anche della guerra in Europa - in particolare della proposta statunitense di punire Mosca per l’invasione dell’Ucraina imponendo un tetto al prezzo del petrolio russo - e delle tensioni nel Mar cinese meridionale.

Per Pechino l’arrivo di Pelosi a Taiwan (annunciato per il mese prossimo) rappresenterebbe una grave provocazione per due motivi: sarebbe la prima speaker della Camera (preceduta da Newt Gingrich nel 1997) a visitare ufficialmente un paese che dal 1979 gli Usa non riconoscono più come stato indipendente e che la Repubblica popolare rivendica come un suo territorio; il viaggio cadrebbe alla vigilia del XX congresso del partito comunista cinese nel quale Xi chiederà un inedito terzo mandato a guidare una Cina alle prese con l’emergenza Covid (ieri in un sobborgo di Wuhan è scattato il coprifuoco “temporaneo” per 1 milione di residenti in seguito alla scoperta di quattro casi asintomatici) e con un preoccupante rallentamento dell’economia.

Pericolo incidente

«Non parlo mai dei miei viaggi, potrebbe mettermi in pericolo», si è schermita l’altro ieri Pelosi. Intanto però entrambe le parti sono impegnate in uno sfoggio di muscoli che evidenzia il rischio di uno scontro militare nel Pacifico occidentale, che potrebbe essere innescato da un incidente o dal fraintendimento delle intenzioni dell’avversario. L’aereo di Pelosi sarebbe scortato da velivoli militari Usa, che potrebbero incrociare quelli cinesi, che lo “accompagnerebbero” fino ai cieli taiwanesi.

La portaerei statunitense Ronald Reagan e il suo gruppo di combattimento si sono mossi da Singapore lunedì scorso, diretti con ogni probabilità verso Taiwan. Fonti del ministero della difesa Usa hanno anticipato alla Associated press che se Pelosi sbarcherà a Taipei, le forze armate aumenteranno lo spostamento di uomini e mezzi nell’area. Il portavoce del ministero degli esteri cinese, Zhao Lijian, ha ricordato che Pechino è pronta a «prendere misure decise e forti per difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale».

Biden ha rivelato ai giornalisti che il dipartimento della difesa giudica la visita «non una buona idea». Ma il presidente, il dipartimento di stato e il Pentagono riusciranno a convincere Pelosi a tornare sui suoi passi, con un confronto (Pelosi è molto impegnata nella difesa dei diritti umani ed è un’amica di Taiwan) che potrebbe sfociare in un conflitto istituzionale, e alla vigilia delle elezioni di medio termine, con i repubblicani pronti ad accusare i democratici di arrendevolezza alle ragioni di Pechino?

La rappresaglia è già pronta

A Washington comunque ritengono “non ipotizzabile” una rappresaglia militare cinese contro Taiwan. Alla vigilia del XX congresso, Xi Jinping non ha alcun interesse a ficcarsi in quella che sarebbe la quarta crisi dello Stretto. Sanzioni contro Pelosi; sospensione ufficiale della cooperazione Cina-Usa sui cambiamenti climatici; aumento delle azioni militari dimostrative contro Taipei: sarebbero queste le rappresaglie che stanno approntando a Pechino. Gli analisti taiwanesi avvertono che l’Isola potrebbe finire vittima di un’intensificata e prolungata pressione militare da parte di Pechino.

La speranza è che nel colloquio di ieri Xi e Biden abbiano raggiunto un accordo su come gestire le ripercussioni del viaggio di Pelosi.

Ma su Taiwan urge un chiarimento politico. La Cina di Xi Jinping dovrebbe spiegare agli Usa se davvero non ha alcuna intenzione di riprendersi l’isola con la forza (Xi ha sempre parlato di “riunificazione” pacifica) e gli Stati uniti dovrebbero rassicurare Pechino che la loro politica - finora ancorata alla “ambiguità strategica” (armare Taiwan per permetterle di difendersi, senza schierarsi apertamente con Taipei) e al principio “una sola Cina” (gli Usa “prendono atto” che per Pechino esiste una sola Cina della quale Taiwan è parte integrante) - non è mutata. In mancanza di tale chiarimento, l’Isola rimarrà una bomba a orologeria e lo scontro nello Stretto tra Cina e Stati uniti sarà soltanto rimandato.

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