Qual è il ruolo del potere giudiziario in una democrazia liberale? Le schermaglie sulla nomina di Amy Coney Barrett alla Corte suprema degli Stati Uniti hanno contribuito ad alimentare ulteriormente un dibattito che non riguarda solo l’America.

Nonostante la toga che i giudici indossano, sono spesso le loro personalità a indicare il loro modo di interpretare la funzione che ricoprono.

La regola vale di certo per John Roberts Jr., attuale chief justice della Corte suprema. Nel novembre 2018, con un atteggiamento sicuramente oltre i confini della sua tradizionale ritualità, Roberts ha deciso di rispondere a una domanda a lui rivolta dall’Associated Press che riguardava proprio i rapporti fra potere giudiziario e politica. Roberts ha reagito, stranamente anche d’istinto, alle accuse rivolte da Donald Trump al giudice Jon Tigar di Oakland, che aveva deciso un caso sulle politiche dell’amministrazione sul diritto d’asilo.

Per questa decisione era stato accusato da Trump di essere un «giudice di Obama». Roberts ha risposto: «Non ci sono i giudici di Obama e i giudici di Trump, i giudici di Bush o i giudici di Clinton. Quello che abbiamo è un gruppo di giudici che lavora al massimo delle possibilità per applicare la legge in modo imparziale. Dovremmo essere grati per l’indipendenza del potere giudiziario».

Trump non ha trovato convincenti gli argomenti di Roberts e lo stesso giorno ha scritto su Twitter: «Mi spiace presidente John Roberts, ma ci sono “giudici di Obama” e questi hanno un punto di vista molto differente rispetto a quello delle persone incaricate della sicurezza del nostro paese».

Roberts ha sempre avuto una fissazione per la percezione mediatica, sua e della Corte. Mai dare l’occasione di pensare che un giudice o la Corte possano essere strumenti disponibili a eseguire le volontà della politica. È solo nella legittimazione della Corte che questa può essere capace di trovare il suo spazio di manovra e di azione. Se viene meno questa legittimazione, cade la credibilità del potere giudiziario.

La storia della nomina di Roberts da parte di George W. Bush aveva già delineato i contorni di una figura che nei prossimi anni assumerà un ruolo pubblico (e politico) di sempre maggiore rilevanza. Nel luglio del 2005 Roberts insegnava in un corso estivo a Londra e fu richiamato con urgenza a Washington per sostenere un colloquio con il presidente.

Alla fine del colloquio Roberts decise di tornare a Londra e terminare il corso. Nello staff di Bush serpeggiavano ancora alcuni dubbi: John Roberts è davvero un Bush conservative? Lo staff del presidente convocò Leonard Leo, l’allora vicepresidente esecutivo della Federalist Society, per un vaglio sulla purezza ideologica del candidato. Leo fu convincente.

Roberts fu chiamato ancora una volta a Washington, tornò da Londra e il 19 luglio Bush annunciò la sua nomina. Nelle prime parole pronunciate da Roberts può essere racchiusa la sua filosofia: «La nomina a giudice della Corte suprema è un vero onore e spinge a diventare più umili. Prima di diventare un giudice per anni ho rappresentato clienti davanti alla Corte suprema. Quell’esperienza mi ha profondamente segnato. Ho apprezzato profondamente il ruolo della Corte nella nostra democrazia costituzionale e ho un grande riguardo per la Corte come istituzione».

Non ci sarà tempo per ultimare il procedimento per arrivare alla conferma di quella nomina. La morte del chief Justice William Rehnquist spingerà Bush a elevare Roberts a quel ruolo. Assumerà la funzione il 3 ottobre 2005.

Giocatori e arbitri

Roberts è uomo di convinzioni profonde per quel che concerne il ruolo della Corte, e del potere giudiziario in generale. Una delle posizioni più rappresentative in tal senso è il dissenso di Roberts nel caso Obergefell v. Hodges, che ha portato al riconoscimento del diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso.

Scrive Roberts, criticando i suoi colleghi in maggioranza: «Questa Corte non è un’assemblea legislativa. Se il matrimonio dello stesso sesso sia una buona idea o meno non dovrebbe essere un problema nostro. In forza della Costituzione i giudici hanno il potere di dire cosa è legge. Non cosa dovrebbe esserlo (…) Coloro che hanno fondato il nostro paese non si riconoscerebbero nella concezione del ruolo del potere giudiziario che ha la maggioranza. Del resto, rischiarono le proprie vite e i propri beni per il prezioso diritto a governarsi da sé. Non avrebbero mai pensato di cedere quel diritto a giudici non eletti e non responsabili su una questione d’indirizzo sociale».

Roberts ha già salvato con sue decisioni l’Obamacare e, nell’udienza dell’altro giorno si è dimostrato disponibile a salvarla ancora una volta. Nelle sue domande agli avvocati delle parti in causa ha segnalato di averne avuto abbastanza: basta chiedere alla Corte di fare quello che il Congresso non ha avuto la forza di fare, basta continuare a coinvolgere la Corte nella perenne lotta fra fazioni.

Nelle prossime settimane quella che è ormai la Corte di Roberts potrebbe essere chiamata a intervenire in controversie di alto profilo. E con la presidenza di Joe Biden è lecito aspettarsi che aumenteranno le pressioni sul potere giudiziario, mentre una parte del Partito democratico invoca un incremento del numero dei giudici per bilanciare la supermaggioranza dei conservatori.

Roberts promette di aspettare tutti al varco per dettare la sua agenda: difendere la Corte come istituzione, non fare della Corte solo un altro strumento della lotta politica. Essere un arbitro, non un giocatore. Come disse in quel giorno del 2005 davanti al Senato riunito per la sua conferma: «Nessuno va a vedere una partita per vedere giocare l’arbitro».

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