Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha incontrato alla Casa Bianca il presidente finlandese, Sauli Niinistö, e la premier svedese Magdalena Andersson ai quali ha espresso tutto il suo supporto per una loro entrata nella Nato. «Offro il forte sostegno all’adesione alla più potente Alleanza del mondo a Svezia e Finlandia», ha detto il presidente americano poche ore prima che il Senato americano approvasse con 85 voti a favore e 11 contrari il pacchetto da 40 miliardi di dollari di aiuti militari e umanitari all’Ucraina. Ma il messaggio di Joe Biden ai suoi alleati europei è anche diretto nei confronti del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan che per ora si è espresso contrario all’entrata dei due paesi scandinavi nella Nato.

L’accusa principale mossa dal leader turco è che Finlandia e Svezia ospitano nei loro territori alcuni esponenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerati da Ankara come organizzazione terroristica. Nei giorni scorsi Erdogan ha chiesto l’estradizione di oltre trenta membri del partito, e ieri il presidente finlandese ha tentato la via del dialogo.

«Come alleati della Nato, ci impegneremo per la sicurezza della Turchia, così come la Turchia si impegnerà per la nostra sicurezza», ha detto Sauli Niinistö. «Prendiamo sul serio il terrorismo. Condanniamo il terrorismo in tutte le sue forme e siamo attivamente impegnati a combatterlo. Siamo aperti a discutere in modo aperto e produttivo tutte le preoccupazioni che la Turchia può avere riguardo alla nostra adesione». Ma ancora una volta, il presidente Erdogan ha ribadito la sua posizione che al momento appare intransigente e rischia di dilungare ancora di più i tempi burocratici.

Anche il processo dell’adesione all’Unione europea da parte dell’Ucraina rischia di non essere molto breve. Ieri il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto al parlamento che non possono esserci scorciatoie per l’adesione dell’Ucraina. Qualsiasi “sconto” sarebbe un torto ai paesi dei Balcani, che da anni chiedono di entrare nell’Unione e hanno adottato numerose riforme per rientrare nei trattati.

La chiamata

Nella giornata di ieri c’è stata anche la seconda telefonata dall’inizio della guerra tra due alti funzionari di Russia e Stati Uniti. Il capo di stato maggiore delle Forze armate russe, Valery Gerasimov, ha avuto una telefonata con il capo di stato maggiore congiunto Usa, Mark Milley.

A darne la notizia è stato lo stesso ministero della Difesa russo, che ha precisato come il colloquio si sia tenuto su iniziativa della parte americana. In serata, anche il Pentagono ha confermato lo scambio: i due capi di stato maggiore «hanno discusso di diversi argomenti che destano preoccupazioni in materia di sicurezza» e hanno deciso di non divulgare ulteriori dettagli.

La scorsa settimana il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, aveva chiamato il suo omologo Sergej Shoigu, per chiedere un immediato cessate il fuoco. Il colloquio telefonico di ieri tra i due capi di stato maggiore arriva in un momento in cui i negoziati procedono a rilento.

L’esercito ucraino sta ottenendo importanti risultati sul campo di battaglia, dopo che è riuscito a evitare anche la caduta di Kharkiv. Chiede il ritiro completo delle truppe russe dal suo territorio prima di arrivare a un cessate il fuoco e trovare la via della diplomazia. Una posizione che è in netto contrasto con il documento che la Farnesina, con il supporto di palazzo Chigi, avrebbe consegnato alle Nazioni unite.

Questo prevederebbe il ritiro completo delle truppe russe alle posizioni antecedenti alla guerra come il quarto e ultimo punto da discutere con la Russia. Nonostante le “vittorie” nel conflitto, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto che la guerra non finirà presto: «Non crediamo che Mosca abbia rinunciato ai suoi piani e dunque dobbiamo prepararci a sostenere l’Ucraina sul medio e lungo periodo».

Secondo il governatore ucraino della regione di Luhansk, la città di Severodonetsk, la più grande ancora in mano Ucraina nel Donbass, è stata quasi circondata. Così come Popasna dove i militari ucraini hanno dovuto lasciare le loro posizioni dopo le ultime offensive russe.

Azovstal

Se nel Donbass la guerra è ancora tutta da scrivere, nel sud-est a Mariupol i russi hanno vinto la loro battaglia. Ieri è aumentato ancora il numero dei soldati ucraini che si sono arresi ai russi nell’acciaieria Azovstal. Il ministero della Difesa russo ha detto che dal 16 maggio sono 1.730 i soldati ucraini che si sono arresi nella città di Mariupol, interamente controllata dai russi insieme alle milizie separatiste di Donetsk.

Circa 900 militari ucraini sarebbero già stati inviati in un campo di prigionia nella città di Olenivka nella regione di Donetsk. Ma i leader dei separatisti filorussi dicono che altrettanti si troverebbero ancora nell’acciaieria Azovstal, ma sono in corso altre trattative per la loro evacuazione.

Il primo processo

La procura ucraina ha chiesto l’ergastolo per Vadim Shishimarin, il soldato russo di 21 anni che sta affrontando un processo per crimini di guerra in un tribunale di Kiev.

Il giovane è accusato di aver ucciso un civile nella regione di Sumy (nella parte nord-orientale dell’Ucraina) dei primi giorni dell’invasione. Nelle scorse udienze Shishimarin si è dichiarato colpevole e ha chiesto anche il perdono. Di sicuro non sarà l’unico processo di questo tipo che si terrà in Ucraina.

Da settimane oramai, investigatori ucraini e internazionali provenienti da diversi paesi europei – tra cui anche Italia e Francia – stanno raccogliendo prove di eventuali crimini di guerra commessi dai battaglioni russi in varie città del paese, tra cui anche Bucha dove in totale sono stati trovati oltre 400 corpi di civili uccisi.

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