Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha deciso di togliere l’appoggio militare alla guerra in Yemen dell’Arabia Saudita, la nazione che l’ex premier italiano Matteo Renzi pochi giorni fa definiva come il «nostro migliore alleato nella regione». Nel suo primo importante discorso di politica estera, Biden ha annunciato giovedì sera che gli Stati Uniti stopperanno il sostegno alle «operazioni offensive» nel conflitto, mentre continueranno a supportare «la difesa della sovranità» saudita. Non è ancora chiaro in cosa si tradurrà quella che il presidente ha chiamato la fine della vendita di «armi rilevanti», ma la decisione va a toccare un giro di affari che secondo il Brookings Institute vale 10,7 miliardi di esportazioni di dollari l’anno.

Per le Nazioni unite la guerra in Yemen, scoppiata nel 2015 dopo il sollevamento dei ribelli Houthi, minoranza sciita e filoiraniana contro il governo sostenuto dall’Arabia Saudita e Emirati arabi, è la più grande tragedia umanitaria a livello globale: 230mila morti a fine 2020, compresi i civili uccisi in decine di attacchi aerei considerati crimini di guerra e 24 milioni di abitanti sui 28 totali che hanno bisogno di assistenza. Nel conflitto in Yemen, i sauditi sono stati supportati prima dall’amministrazione di Barack Obama, con Biden vice, in nome della lotta all’Isis e poi ancora e più solidamente da quella di Donald Trump, divenuto stretto alleato del principe saudita Bin Salman, quando la comunità internazionale ne prendeva le distanze sia per l’escalation del conflitto che per l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi.

Le armi saudite

Negli ultimi cinque anni l’Arabia Saudita ha aumentato l’import di armi del 150 per cento, gli acquisti dagli Stati Uniti sono passati da tre miliardi tra 2010 e 2015 a oltre 64 dall’inizio della guerra: Trump ha chiuso il mandato autorizzando la vendita di munizioni per 478 milioni di dollari, nonostante il Congresso avesse usato per la prima volta nella storia il War Powers act per opporsi all’intervento statunitense in un conflitto.

La svolta di Biden rispetto alle posizioni dell’amministrazione precedente era stata annunciata in campagna elettorale. E le congratulazioni della petromonarchia per la sua vittoria sono arrivate solo dopo 24 ore: il cambiamento era temuto in un contesto mediorientale in cui le alleanze sono diventate politicamente connotate con la leadership saudita e anche quella israeliana di Netanyahu, vicine all’amministrazione uscente.

«Quello di Biden è un passo politico importante che può annunciare un riposizionamento geostrategico, anche se dobbiamo ancora capire come si traduce a livello commerciale», dice Francesco Vignarca della rete italiana Pace e disarmo che per anni si è battuta per bloccare i flussi legati al conflitto. La revoca della licenza per la vendita di bombe Mk verso l’Arabia Saudita decisa dal governo italiano il 29 gennaio intanto ha fermato non solo i contratti a venire ma anche quelli già in essere. Secondo l’associazione, è stato bloccato l’export di 12.900 bombe per aereo previste dagli accordi sottoscritti dall’azienda Rwm Italia, sussidiaria del gruppo Rheinmetall, il maggiore produttore di armamenti tedesco, che ha annunciato ricorso.

Il totale, calcolato sulla base delle relazioni parlamentari, corrisponderebbe, secondo la rete, a un controvalore di 293 milioni di euro, parte della mega commessa da 411 milioni autorizzata nel 2016 e che doveva ancora essere onorata. La Germania, quarto esportatore verso l’Arabia Saudita, secondo una relazione del Congresso americano, finora aveva sospeso tutte le vendite, ma solo per i contratti futuri. La revoca italiana si concentra sulle bombe Mk. Tanto che solo nella seconda metà del 2019 sono state approvate sei autorizzazioni per altri armamenti per un valore di 105 milioni di euro. Tuttavia la nostra decisione, se notificata in Europa, obbligherebbe altri paesi Ue a dichiarare e giustificare i loro contratti.

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