La moria di bestiame in Bielorussia: crisi nera e Lukashenko teme il collasso

Una strage, centinaia di migliaia di bovini che muoiono: 124.200 capi nel 2023, 147.900 capi nel 2024. E viste le dimensioni dell’allarme pubblico, compreso l’attivismo del presidente bielorusso, c’è da sospettare che quest’anno vada peggio, che la dimensione reale del problema sia ancora più seria. Così, mentre veterinari distrettuali e medici agricoli cercano di nascondere al potere numeri e malattie, il governo prova a correre ai ripari, con Aleksander Lukashenko in prima linea a sferzare pubblicamente i responsabili. Lo scorso 24 ottobre, nella sede dell’amministrazione regionale di Vitebsk, il clima era plumbeo. Il presidente bielorusso, a favore di telecamera, ha parlato di fronte a 300 persone, ovvero tutti i responsabili locali e tutti i governatori del paese. Putin incontra Xi Jinping a Tianjin: «Plasmare un ordine mondiale multipolare più giusto» Lo sfogo del presidente Cinque ore insieme nelle quali il capo ha dato sfogo a tutta la sua irritazione: «Le atrocità nella regione di Vitebsk, che il Comitato di Controllo Statale mi ha mostrato attraverso fotografie, sono diffuse in tutto il paese. Ecco perché tutti i governatori sono qui. Da gennaio a settembre […], abbiamo perso 108.000 capi di bestiame in tutto il paese. 108.000 capi di bestiame! Quanta carne e quanto latte c’erano? Nel complesso, a livello nazionale, siamo in calo del 5 per cento rispetto all’anno scorso. Ma dipende. Un aumento della mortalità è stato registrato in 51 distretti – la metà di tutti i distretti […]. I limiti stabiliti dal ministero dell’Agricoltura e dell’Alimentazione vengono superati praticamente ovunque […]. Voi vi siete seduti con i nostri scienziati, avete individuato degli obiettivi sostenibili e li avete approvati. Dunque perché non li state rispettando? Ve li siete dati voi questi obiettivi, quindi perché non li state raggiungendo? Come dovrei reagire? […] Avete permesso che il tasso di mortalità aumentasse significativamente: solo nella regione di Vitebsk del 139 per cento. Avete fatto morire 16.000 animali. Grodno è al secondo posto e lì – incredibile! – c’è un generale al comando». Il generale a cui si riferisce Lukashenko è Yuri Karayev, fresco di nomina il 31 marzo, quando il leader, in un discorso volto a blandire l’interlocutore ed esporre lo stato delle cose, gli concedeva che tra i diversi problemi della regione di Grodno (al confine con la Polonia), quello dell’agricoltura forse non era il principale. Da governatore, Karayev poteva poi contare sull’aiuto di Yuri Valevaty, vicepresidente, uno dei migliori agronomi del paese. Eppure, le cose non sono affatto andate secondo i piani. Anzi, la situazione adesso è talmente grave che Lukashenko ha dichiarato che si è sentito male, che c’è una spaventosa irresponsabilità dall’alto al basso, che è letteralmente furioso: «Non si possono trattare gli animali in questo modo. Sono indifesi, non sono come noi. Noi umani possiamo difenderci, scappare, nasconderci. Ma loro non possono farlo. Fanno affidamento su di noi, eppure li trattiamo così». Tra i nemici della Russia di Putin c’è il suo stesso bilancio in affanno Settore in crisi I toni da attivista ambientale di Lukashenko dovrebbero preoccupare anche oltre i confini bielorussi. Nessuno in Bielorussia ha più di lui il polso della situazione complessiva. La quota direttamente controllata o comunque riconducibile allo stato dei circa 9 milioni di ettari coltivati in Bielorussia varia tra il 90 e il 95 per cento. Il più grande gruppo privato (BK-Milk) ha in mano appena 100.000 ettari. Sono anni che il presidente lamenta gravi mancanze nel settore dell’allevamento. A marzo del 2019 fece dimettere dopo una storica sfuriata il ministro dell’Agricoltura, Zayets, perché durante la visita in un’azienda agricola del distretto di Shklov constatò una situazione disastrosa: «Questa è Auschwitz! Se gli animali sono malati, allora dovrebbe essere asciutto e pulito qui, capito? Mi stai dicendo che è normale?». Eppure, dopo un periodo comunque passato a coprire ruoli apicali, in capo al 2022 Zayets è tornato in sella con la carica di vice primo ministro. L’umoralità di Lukashenko è cosa nota. Sul fronte del settore primario e della zootecnia – forse anche perché a metà anni Ottanta si è specializzato in economia della produzione agricola – ha toccato però livelli davvero inediti. È da decenni che tra epurazioni, arresti, strigliate pubbliche, pone il problema come emergenza improcrastinabile. Lui stesso ha suggerito le più diverse e semplicistiche soluzioni: dal prelevare e pagare adeguatamente i vitelli agli allevamenti che ne causano la morte per poi consegnarli a quelli virtuosi (in modo da assicurarne salute e crescita); all’introdurre l’allevamento delle capre – la cui carne non è molto popolare tra i bielorussi - nonostante i problemi a reperire personale specializzato e a mettere in piedi le relative infrastrutture. D’altra parte, con le pecore ci hanno provato 10 anni fa e le cose non sono andate benissimo: oggi sono appena 130.000 capi in tutto il paese (per dare una dimensione delle differenze, in Italia sono più di 8 milioni). Insomma, il festival delle velleità si è concluso a maggio scorso, quando il tasso nazionale di mortalità del bestiame ha raggiunto i suoi massimi storici. Attualmente, il problema degli allevamenti bielorussi ha risvolti soprattutto interni ma potrebbe averne anche rispetto a tutto il continente. Dal primo punto di vista, l’alta mortalità del bestiame si combina con un settore agricolo in difficoltà e sotto pressione. Nel 2024 è sparito il 25 per cento del raccolto di patate (1 milione di tonnellate) perché il controllo statale dei prezzi disincentiva il lavoro dei contadini a produrle. Molte patate prendono la via della Russia, dove vengono pagate di più. C’è un problema misto di rese basse, riduzione delle superfici coltivate, mancanza di motivazione, inflazione, carenza di manodopera che mette a rischio l’autosufficienza e la sicurezza alimentare del paese. Lukashenko reagisce a modo suo, imponendo persino una licenza per l’esportazione delle patate, ma è evidente che il sistema di sovvenzionamento pubblico al settore non regge. Da più di trent’anni il presidente parla e le aziende agricole vanno per conto loro. Vladimir sulle orme di Stalin. E l’ossessione di dimostrare di non essere isolato La sicurezza sanitaria Poi c’è la questione della sicurezza sanitaria. La Bielorussia è in Europa, virus e batteri non hanno confini. Nell’ultimo decennio la peste suina africana, approdata nel Vecchio Continente attraverso Georgia, Russia e Bielorussia, ha colpito dieci stati Ue (tra cui l’Italia). A dicembre dello scorso anno, in Bielorussia, nel distretto di Volozhin, sono “scomparsi” tutti i maiali presenti l’anno precedente: 75.700 esemplari. Zero è un numero davvero sospetto, che probabilmente racconta una decisione emergenziale presa dall’alto. Morie pesanti sono state registrate anche nelle regioni di Minsk e Gomel. In tutto il paese sono mancati all’appello 238.000 suini. Se faticosamente si astrae dalla sofferenza animale e si pensa che in Italia si allevano più di 8 milioni di capi suini, non si tratta di cifre inconcepibili. Tuttavia, è il contesto generale nel quale sono inserite che preoccupa: un contesto con potenzialità meravigliose, che appena un secolo fa faceva da sfondo bucolico ai quadri di Chagall (Vitebsk è il villaggio ritratto ne La passeggiata, il celebre dipinto della moglie sospesa). E che oggi può invece essere incubo.