A cinque giorni dalle prime esplosioni registrate nella stazione sismica sull'isola danese di Bornholm, resta ancora difficile attribuire una causa e un colpevole agli enormi danni dei gasdotti. 

Le accuse di Mosca

Il presidente russo Vladimir Putin ha pubblicamente accusato gli Stati Uniti e i loro alleati di aver fatto saltare in aria gli oleodotti Nordstream, con l’intenzione di inasprire la crisi mondiale in atto.

In un rapporto congiunto consegnato alle Nazioni Unite, Danimarca e Svezia – i primi paesi coinvolti dalle fuoriuscite nel mar Baltico – hanno affermato che le perdite di Nordstream 1 e 2 sono state causate da esplosioni con una potenza pari a «diverse centinaia di chilogrammi di esplosivo». 

Fonti di intelligence citate dalla rivista tedesca Der Spiegel affermano che gli oleodotti sono stati colpiti in quattro punti diversi con 500 chili di tritolo. 

Secondo le prime ricostruzioni le esplosioni sarebbero avvenute tra i 70 e i 90 metri sotto il livello del mare. Come il tritolo abbia raggiunto l’oleodotto a simili profondità resta un nodo da sciogliere. Secondo alcuni esperti a piazzare le bombe potrebbero essere stati i robot di manutenzione che operano all’interno della struttura. 

Una teoria che, se risultasse confermata, suggerirebbe il coinvolgimento di un potere statale nell’attacco, sia per la sua sofisticatezza che per la portata dell’esplosione. 

«Le sanzioni non sono bastate agli anglosassoni: sono passati al sabotaggio. È difficile da credere, ma è un dato di fatto che hanno organizzato le esplosioni sui gasdotti internazionali Nord Stream». Con queste parole, che si estendono anche agli Usa, Putin ha indicato i presunti responsabili dei danni. Lo ha fatto durante il discorso per l’annessione dei territori ucraini alla Federazione Russia. 

L’astensione della Cina sui referendum

I referendum tenutisi, tra il 23 e il 27 settembre, nelle regioni di Zaporizhzhia e Kerson e nelle repubbliche di Donetsk e Luhansk, sono stati giudicati non validi dai paesi occidentali. Ieri, 30 settembre, Usa e Albania hanno presentato una risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per condannare la proclamata annessione. 

Scontata la risposta di Mosca che, sfruttando la regola dell’unanimità di voto, ha posto il veto. Prevedibile, ma di certo non scontata, è stata invece l’astensione della Cina. Pechino, che attualmente resta il principale alleato strategico della Russia, nei giorni scorsi si era espressa sui referendum russi affermando di sostenere «l’integrità territoriale di tutti i paesi». 

Una dichiarazione diffusamente interpretata come l’esplicita contrarietà della Repubblica popolare alle decisioni di Mosca. Ma l’astensione in sede Onu sembrerebbe invece confermare la linea di prudenza e distacco della Cina sulle questioni di politica internazionale che non la coinvolgono direttamente. 

Tra gli astenuti anche India, Gabon e Brasile.

© Riproduzione riservata