Siamo nel 1914, in Louisiana, Stati Uniti. Mentre il mondo diventa il palcoscenico di quella che sarà ricordata come la Prima guerra mondiale, negli uffici della Stark Bro’s Nurseries viene consegnato un pacco destinato a segnare la storia del cibo per come la conosciamo oggi. Al suo interno si trovano una dozzina di mele. Gialle per l’esattezza. Belle, grandi e lucenti. Di pacchi come quello, il vivaio Stark ne riceve a decine ogni anno: campioni di mele che potrebbero fare la fortuna di chi le ha coltivate. Del resto la Stark Bro’s Nurseries era già allora – ed è tuttora, duecento anni dopo – uno dei vivai più grandi d’America, un colosso nato nei primi anni dell’Ottocento grazie all’intraprendenza, e a un pizzico di fortuna, di James Hart Stark. (...)

Quando, nel 1914, Lloyd Stark, che gestisce l’azienda insieme al fratello Paul, si ritrova sulla scrivania il pacco contenente le mele gialle. Dopo averle assaggiate si rende subito conto che il loro sapore è al di sopra di quello di qualsiasi mela mai assaggiata prima. «Questa sì che è una mela», dice al fratello. E Paul deve aver pensato la stessa cosa, perché dopo averla provata decide immediatamente di mettersi in viaggio alla ricerca dell’albero da cui sono nate quelle mele così deliziose.

Ma l’impresa non è cosa tanto semplice, visto che il pacco proviene – stando all’indirizzo indicato su di esso – da una piccola località in West Virginia, a oltre 1.500 km di distanza, e a quell’epoca non ci sono treni super veloci o autostrade pronte ad accogliere potenti automobili. È un tratto di strada incredibilmente lungo, ma non così tanto da scoraggiare Paul Stark che, con l’occhio e il palato esperto di chi le mele le sa vendere, capisce subito che dietro quella mela si nasconde una possibile miniera d’oro. (...)

Secondo un articolo del New York Times pubblicato nel 1974, all’indomani della morte di Paul Stark, quando il cavallo raggiunge la destinazione la fattoria è deserta: «Stark decide di aspettare e, guardandosi intorno, nota un’esplosione di giallo sul fianco della montagna, riconoscendo immediatamente l’albero di mele che stava cercando». Il racconto del New York Times mi riporta alla memoria una celebre canzone di John Denver, Take Me Home, Country Roads, quando riferendosi al West Virginia canta di come la «vita è vecchia lì, più vecchia degli alberi» («life is older there, older than the trees»).

Non so se Stark abbia avuto la stessa sensazione arrivando in quella piccola fattoria nello stato americano situato nella regione degli Appalachi; quel che è certo è che rimane così impressionato ed entusiasta da quel piccolo albero che svetta ai confini della fattoria che quando arriva il proprietario, poco dopo, gli corre incontro e dice: «Ti do 5.000 dollari per quell’albero». È una cifra decisamente alta per i tempi, tanto che Anderson Mullins, il proprietario della fattoria, non ha nessun dubbio e risponde immediatamente «quell’albero è tuo». Quell’albero è frutto di una casualità e, allo stesso tempo della sua fortuna: vent’anni prima, nella fattoria dei Mullins, il più piccolo dei figli, allora quindicenne, una mattina viene mandato a falciare i campi e lì si accorge di un piccolo melo, alto circa un metro. È una pianta strana, i meleti là intorno sono rari, ma il giovane Mullins decide di lasciarla crescere.

Quando la fattoria passa di proprietà allo zio Anderson, l’albero è diventato maturo e rigoglioso, così Anderson e il cognato, incuriositi dal frutto e venuti a conoscenza del concorso, ne mandano un campione ai vivai Stark. Quella tra Anderson e Stark può sembrare la semplice storia dell’incontro tra un contadino e un commerciante, uno di quei racconti di cui è costellata la storia dell’umanità, fatta di stereotipati agricoltori inconsapevoli e commercianti disposti a tutto pur di vendere.

Qui, però, c’è un particolare che fa di questa storia lo spartiacque nella produzione e nella commercializzazione del cibo. C’è un prima e un dopo. C’è un piccolo albero, il prima, cresciuto spontaneamente sui confini della fattoria degli Anderson, e c’è un dopo, il destino di quella mela gialla. A partire da questo momento, la storia e l’evoluzione della biodiversità agricola prendono una direzione del tutto nuova. La produzione alimentare, evoluta nel corso dei secoli grazie al lavoro dei contadini, alle schiene spezzate dalla fatica nei campi, al libero scambio e alla circolazione di semi e piante, smette di essere libera e deve fare i conti con il dominio della proprietà privata. (...)

Albero in gabbia

Stark, quando si trova di fronte l’albero nel West Virginia, ha un problema enorme: chiunque può staccare un ramoscello per farne un clone, ottenendo così una copia identica della pianta. Solo che quella pianta, nel frattempo, lui l’ha acquistata e deve proteggerla. Se un concorrente riuscisse a rubare anche un solo ramo di quell’albero, Stark perderebbe la sua esclusiva di quella mela deliziosa. Così decide di proteggerla da eventuali furti. «Come?», deve essersi chiesto. Nessuno può dire da dove nascono le idee, ma quella di Stark è sicuramente un misto di follia, genio e sfrontatezza: rinchiudere quell’albero all’interno di una gabbia metallica a prova di scasso.

Con tanto di antifurto. (...) Quell’albero viene così messo in sicurezza e Stark si assicura che solo lui e la sua azienda possano averne un utilizzo esclusivo. (...) Quella mela in gabbia rappresenta nient’altro che l’inizio, il punto nodale su cui negli anni si è sviluppata la legislazione sulla proprietà intellettuale delle piante, il brevetto sui vegetali, l’idea cioè che quel ritrovato agronomico, benché frutto di una selezione naturale, anzi frutto della casualità, diventi di proprietà esclusiva di chi l’ha acquistato.

Se vi state chiedendo che fine abbia fatto la mela in gabbia la risposta è semplice: è la capostipite della Golden Delicious, ancora oggi tra le mele più vendute al mondo. (...) Quando facciamo la spesa non compriamo più delle semplici mele. Non entriamo in un supermercato con l’idea vaga di comprare una mela gialla, rossa o verde.

Quando afferriamo una mela per riporla nel sacchetto o, sempre più spesso, acquistiamo una confezione di quattro frutti, stiamo in realtà comprando una Melinda, andiamo a colpo sicuro prendendo una Pink Lady o una Morgana. Non semplici mele, ma quelle mele. (...) Non c’è specie vegetale che non si sia lasciata affascinare da questo modello, non c’è gruppo industriale che non abbia pensato di costruire attorno a un prodotto una strategia di marketing più o meno imponente. (...)

Dal seme alla tavola

In questo sistema entra in gioco una novità sostanziale che sta cambiando radicalmente il mercato agricolo, perché ora i gruppi industriali che hanno il controllo della varietà, detengono cioè la proprietà intellettuale di questo o quel frutto e su quello appongono anche il marchio registrato.

Li chiamano prodotti “Club”, una delle ultime novità, forse la più preoccupante, del settore agroalimentare: gruppi esclusivi che detengono intere fette di mercato lasciando fuori i produttori e gli agricoltori che, secondo l’insindacabile giudizio di chi il Club lo gestisce, non possono accedere a queste varietà. Questi gruppi non si accontentano più dei benefici economici derivanti da una commercializzazione svolta da terzi: hanno deciso di governare tutta la filiera. Sono loro, cioè, che definiscono le regole d’ingaggio e le strategie di vendita, sono sempre loro che trattano con la Grande distribuzione sul prezzo finale.

Sono loro, in altre parole, che hanno l’intero controllo, «dal seme alla tavola», di ogni singolo passaggio. (...) Dubito che Anderson Mullins, il proprietario della fattoria del West Virginia, avrebbe mai immaginato che quell’albero venduto per 5.000 dollari a Stark avrebbe portato a tutto questo. Ma in quella fattoria, sui fianchi di quella collina dove si era ostinato a crescere quell’albero che nessuno aveva piantato, è stato creato il primo anello di una catena di eventi che ci ha portato fin qui: la gabbia con cui Stark aveva deciso di proteggere il suo melo.

 

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