È Il lavoro curato da La Nuestra, squadra di calcio femminista e progetto di educazione popolare nato per garantire il diritto delle ragazze al gioco del pallone in uno dei quartieri più ruvidi di Buenos Aires. La chiamano pedagogia della presenza. «La prima vittoria è stata conquistare questo spazio, dove le donne facevano fatica a entrare».Dopo aver formato oltre 200 ragazze, oggi la squadra ha tre categorie: dai sei fino ai sessant'anni
Controllo, passaggio, tiro. Un gruppo di ragazze corre nel campetto del quartiere Villa 31 a Buenos Aires. L’allenatrice grida le indicazioni su come migliorare l’esercizio, mentre arrivano le altre componenti de La Nuestra, squadra di calcio femminista e progetto di educazione popolare nato per garantire il diritto delle ragazze al calcio. La palla è in aria e a volte colpisce la recinzione del terreno di gioco circondato da case colorate.
Le facciate raccontano la storia di una delle villas miserias più complesse della capitale: i murales di Maradona e dell’ex presidente peronista Nestor Kirchner, la cappella della Virgen del Rosario, le immagini del parroco Carlos Mugica, assassinato nel 1974, promotore di un movimento di sacerdoti che lavoravano nelle baraccopoli. Il quartiere è stato ribattezzato in suo onore.
«È la cancha più antica della zona. Quando siamo arrivate, abbiamo avuto difficoltà a giocare. Ci sono stati scontri con i ragazzi che usavano il campo, non abbiamo ricevuto supporto. Noi ci allenavamo con la pioggia, il freddo, il vento. Se eravamo in quattro, giocavamo due contro due. Se non potevamo farlo, preparavamo un mate. È la “pedagogia della presenza”, l’insegnamento dei preti delle villas», ricorda Monica Santino, la fondatrice e direttrice tecnica de La Nuestra.
L’ex calciatrice degli All Boys con un passato nell'Asociación del Fútbol Argentino (AFA), mentre racconta, osserva le calciatrici che sono passate a provare la gambeta, il dribbling.
«La prima vittoria è stata conquistare questo spazio, dove le donne facevano fatica a entrare. Nei quartieri popolari, i potreros, i campi da calcio improvvisati, sono fondamentali perché sono i luoghi dove avviene tutto ciò che è pubblico. Fanno parte della storia del nostro Paese. Qui, dove sono cresciuti i più grandi calciatori argentini, si impara a giocare in modo creativo e spontaneo. Si difende la palla con immaginazione e improvvisazione», aggiunge Santino.
È il virtuosismo del calcio argentino indicato dall'espressione la nuestra. Un'identità nazionale, calcio di invenzione e fantasia, lo stile collettivo che unisce i miti delle tre Coppe del Mondo conquistate dalla Selección: Mario Kempes (eroe del Mondiale 1978, vinto in casa durante la dittatura militare di Videla), Diego Armando Maradona (1986) e Lionel Messi (2022).
«La nostra squadra nasce dalla cultura del fútbol radicata nelle storie di chi cresce giocando in strada. Ma siamo molto più di uno spazio dove allenarsi. Siamo la possibilità di unirci tessendo legami a partire dall'amore per il pallone. Una strategia per dare potere a ragazze, donne, diversità, adolescenti, giovani e non solo. Parliamo di emancipazione attraverso il calcio, lotta alla violenza di genere, corpi decolonizzati», prosegue Santino. «Giochiamo con la consapevolezza che siamo in grado di farlo e che i nostri corpi possono fare molte più cose di quelle che ci hanno raccontato».
In quasi vent'anni di attività, La Nuestra ha raggiunto risultati che in un primo momento sembravano inimmaginabili. Ha formato più di duecento ragazze e oggi la squadra ha tre categorie – dai sei fino ai sessant'anni – che si allenano due pomeriggi a settimana. L'organizzazione, che si sostiene attraverso donazioni, è costituita da educatrici, insegnanti di educazione fisica, maestri. È riuscita a modificare lo sguardo del quartiere. Nei primi tempi, le famiglie non volevano che le figlie o le compagne indossassero gli scarpini. Oggi le accompagnano, rimangono a vedere le partite, fanno il tifo.
«Le ragazze che alleniamo ci raccontano che sono cambiate le dinamiche familiari. I mariti hanno capito che non sono solo gli uomini a giocare a calcio. E che se le loro compagne vanno a una partita o a un allenamento, devono occuparsi dei figli e della casa», dice Constanza Rojas, una delle allenatrici che ora sta studiando per diventare arbitra. «Giocare a calcio mi fa sentire libera. Mi ha offerto uno spazio sicuro dove ho trovato amiche e compagne. Mi sento parte di un gruppo dove io ci sono per me stessa e per loro».
Oltre al calcio, il progetto de La Nuestra organizza corsi di formazione, laboratori, incontri, tornei. Negli anni ha partecipato a festival internazionali, raccontando la sua esperienza che è l'unica del suo genere in Argentina. «Il calcio ci permette di connetterci con il nostro corpo, la forza, la visione periferica e la difesa personale. Ci dà la possibilità di alzare la voce, competere e vincere. Genera una cooperazione incredibile e il potere che ci dà è collettivo e rivoluzionario perché rompe molte barriere e cambia la narrazione su cosa significa essere donna o calciatrice. Farlo in un quartiere popolare in Argentina, dove il calcio è viscerale e vissuto con intensità, è un atto di resistenza», spiega l'allenatrice Juliana Román Lozano.
«Tutto quello che facciamo è pensato da un potere femminista che per noi significa un calcio che si oppone alle oppressioni, è solidale, è una pedagogia della tenerezza in cui la parola delle ragazze è molto importante: imparare a dire sì, imparare a dire no. Per noi è estremamente politico, un modo di stare nel mondo lottando per un mondo più giusto».
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