Chi decide sullo stato d’eccezione? La questione fondamentale per ogni analisi del potere in qualsiasi ordinamento giuridico aleggiava come un fantasma l’altra notte dietro le immagini che arrivavano da Washington. Una democrazia costituzionale è in grado, nel rispetto delle sue procedure, di tutelare la sua sicurezza e i diritti dei suoi cittadini. Se una democrazia costituzionale non è in grado di farlo viene meno la promessa al centro del patto sociale che costituisce il cuore della tradizione giuridica occidentale e che la differenzia dai regimi autocratici sempre più diffusi su scala globale. Da questo punto di vista, le immagini provenienti da Washington costituiscono una delle peggiori campagne di marketing per la democrazia costituzionale.

Come è possibile che la polizia fosse così impreparata? Come è possibile che il tempio della democrazia statunitense fosse così poco protetto? Perché non è stato il presidente Trump a firmare l’ordine con cui si è chiesto alla Guardia nazionale di intervenire? Perché Robert O’Brien, assistente del presidente alla sicurezza nazionale, proprio nei minuti più difficili, ha pubblicato un tweet con cui lodava l’operato del vicepresidente e si dichiarava «orgoglioso di lavorare per lui»? A chi risponde la catena di comando? Queste domande non sono peregrine, soprattutto se si considera che ieri sono state avanzate numerose ipotesi per arrivare alla destituzione di Donald Trump.

Alcuni hanno invocato un nuovo impeachment, altri l’applicazione del venticinquesimo emendamento costituzionale. Non sono solo i democratici a chiedere la rimozione immediata di Trump, anche repubblicani come Phil Scott, governatore del Vermont, che ha scritto sul suo account Twitter: «Quando è troppo, è troppo. Il presidente Trump deve dimettersi o deve essere rimosso dal suo governo o dal Congresso». La National Association of Manufactures, uno dei gruppi di pressione più influenti a Washington, ha esplicitamente invitato Mike Pence a utilizzare il venticinquesimo emendamento. In un editoriale anonimo, pubblicato dal New York Times nel 2018, un ex membro dello staff del dipartimento per la sicurezza nazionale lasciava trapelare che discussioni sulla possibile destituzione di Trump erano già avvenute allora in seno al governo.

Il calcolo di Pence

Per applicare la procedura prevista dalla quarta sezione del venticinquesimo emendamento, il vicepresidente e la maggioranza del governo dovrebbero dichiarare il presidente «incapace di esercitare i poteri e adempiere agli obblighi del suo ufficio». Secondo un parere del ministero della Giustizia del 1985 anche i ministri che ricoprono solo una funzione supplente, tre nell’attuale governo, dovrebbero essere conteggiati al fine di raggiungere la maggioranza necessaria.

Mike Pence avrebbe quindi bisogno di 8 voti su 15. Nel caso in cui il presidente contestasse questa determinazione servirebbe poi il voto dei due terzi della Camera e del Senato per rimuovere definitivamente Trump e nominare Pence presidente fino al 20 gennaio. Tuttavia, in attesa del voto, Pence continuerebbe a servire come presidente. Il Congresso dovrebbe pronunciarsi entro ventuno giorni, molti di più dei tredici che restano fino al 20 gennaio. Una nuova procedura d’impeachment vedrebbe invece coinvolta prima la Camera e poi il Senato in una procedura che, a ben osservare, sarebbe davvero difficile gestire in soli tredici giorni e con le circostanze attuali.

Diverso è anche il fondamento per procedere all’impeachment. Ai sensi dell’articolo II sezione 4 della Costituzione: «Il presidente, il vicepresidente e ogni altro funzionario civile degli Stati Uniti saranno rimossi dall’incarico ove in seguito a un’accusa mossa dalla Camera risultino colpevoli di tradimento, concussione o di altri gravi reati». Ma conviene destituire Donald Trump e farne un martire? Nella nottata Mike Pence potrebbe aver già fatto la conta all’interno del governo per verificare la maggioranza e avere la lettera di destituzione pronta e firmata.

Teoricamente non ci sarebbe nemmeno bisogno di usarla se non necessario. Ma si potrebbe tenere sul tavolo pronta all’uso e per ogni evenienza. Non sarebbe una scelta facile e scontata tenendo conto degli umori che si agitano all’interno del mondo repubblicano dove sono ancora tanti i sostenitori di Donald Trump. Saranno tredici lunghissimi giorni.

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