Aggiornamento 22 marzo 2025 – La Cina starebbe valutando l'ipotesi di unirsi alla coalizione dei volenterosi a sostegno dell'Ucraina in vista di una potenziale missione di mantenimento della pace. Lo rivela Welt am Sonntag, l'edizione domenicale del quotidiano tedesco Die Welt, citando fonti diplomatiche europee. «L'inclusione di Pechino potrebbe aumentare le possibilità che Mosca accetti la presenza di truppe» di peacekeeping, evidenziano le stesse fonti. Intanto la Russia si aspetta «almeno qualche progresso» dai colloqui con gli Stati Uniti previsti lunedì 24 marzo in Arabia Saudita, mentre il presidente ucraino Zelensky visita le truppe nella città chiave di Pokrovsk, nel Donetsk, da mesi sotto attacco delle forze russe.


E se la Cina, che apparentemente osserva, da lontano e con qualche preoccupazione, il “rapprochement” Stati Uniti-Russia – che pure ha ufficialmente accolto «con favore» – alla fine s’inserisse nella partita mettendo a disposizione i suoi caschi blu per garantire un’eventuale tregua in Ucraina?

Quella che fino a poco fa non era che una suggestione si è trasformata venerdì in uno scenario plausibile quando Colum Murphy di Bloomberg – a margine della riunione del parlamento di Pechino – ha chiesto a Wang Yi in quali circostanze considererebbe l’invio di peacekeeper in Ucraina. E il ministro degli Esteri cinese ha replicato abbottonatissimo, senza tuttavia escluderlo.

La Cina – ha detto Wang – è disposta a collaborare con la comunità internazionale, sulla base della volontà delle parti in conflitto, per svolgere il suo «ruolo costruttivo» per aiutare a risolverlo.

Esperienza decennale

Vladimir Putin ha fatto sapere che la Russia non accetterebbe come forza di interposizione militari di paesi membri della Nato. L’ipotesi di un contingente con soldati cinesi è stata avanzata, secondo l’Economist, prima di tutto da funzionari Usa. E ci stanno pensando anche a Pechino, dove è caldeggiata pubblicamente da Zhou Bo, un influente ex colonnello dell’Esercito popolare di liberazione che ha sottolineato l’esperienza decennale della Cina che, attualmente, ha schierati circa 1.800 caschi blu in tre missioni Onu di mantenimento della pace ad alto rischio: Unifil (Libano), Unmiss (Sud Sudan), Unisfa (Abyei, sempre Sud Sudan).

Da un punto di vista strategico, la Cina considera la partecipazione a questi contingenti funzionale a tre obiettivi principali: contributo all’ordine internazionale rafforzando l’Onu; accrescere l’influenza della Cina in aree strategiche; addestrare i soldati cinesi poco avvezzi ai teatri di guerra.

L’invio di caschi blu in Ucraina permetterebbe a Pechino di andare incontro alle richieste di Putin, accontentando anche Donald Trump, che ha chiarito di non voler impiegare soldati americani, e sollevando le potenze europee da un compito a dir poco scomodo.

Le relazioni con l’Ue

A quest’ultimo proposito il generale James Stavridis – ex comandante generale della Nato – ha sostenuto in un articolo pubblicato questa settimana da Bloomberg che i leader europei sarebbero pronti addirittura ad avviare una cooperazione militare con Pechino in risposta alla relazione sempre più stretta tra Washington e Mosca.

«Gli Stati Uniti non solo si stanno avvicinando alla Russia, stanno anche sostenendo la Russia», gli ha fatto eco l’inviato speciale della Cina per l’Ue, Lu Shaye, palesando i timori di Pechino.

Sulle relazioni con l’Ue, Wang (tra i più fidati consiglieri di Xi Jinping) venerdì ha rimarcato che «crediamo che l’Europa possa essere un partner affidabile. Entrambe le parti hanno la capacità e la saggezza per gestire adeguatamente i problemi esistenti attraverso consultazioni amichevoli». Proprio mentre da Strasburgo arrivava la notizia che il parlamento – l’organismo comunitario che più degli altri negli ultimi anni si è scontrato con la Cina – ha cancellato le restrizioni agli incontri tra i parlamentari Ue e funzionari cinesi, in vigore da aprile 2023.

Il Cai

I due blocchi si sono scambiati sanzioni e contro-sanzioni il 22 marzo 2021, quando l’Unione europea ha varato le sanzioni nei confronti di «entità e individui accusati di violazione dei diritti umani nel Xinjiang». Da quel giorno è stato congelato anche l’accordo Comprehensive Agreement on Invetment (Cai) a lungo negoziato tra le parti. Ora potrebbe essersi aperta la strada alla revoca delle sanzioni reciproche e, dunque, alla ripresa del Cai.

Del resto il ritorno di Trump ha convinto la stessa Ursula von der Leyen a guardare a oriente, all’India anzitutto, ma anche alla Cina. Dal palco del World Economic Forum di Davos, il 21 gennaio scorso (il giorno successivo all’insediamento del presidente Usa), la presidente della Commissione ha pronunciato significative aperture nei confronti della Cina, affermando, tra l’altro, che «il 2025 segna 50 anni di relazioni diplomatiche della nostra unione con la Cina. Lo vedo come un’opportunità per impegnarci e approfondire la nostra relazione con la Cina e, ove possibile, anche per espandere i nostri legami commerciali e di investimento. È tempo di perseguire una relazione più equilibrata con la Cina, in uno spirito di equità e reciprocità».

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