Caso Trentini, chi comanda davvero in Venezuela. Dietro le torture, i vertici dei servizi

Da una parte c’è Javier Marcano Tabata, numero uno della Dgcim, il controspionaggio militare. Dall’altra spicca Alexis Rodriguez Cabello, capo del Sebin, la principale agenzia dei servizi segreti. Sono questi due militari, entrambi generali, a tirare le fila dell’intelligence venezuelana in un momento di massima tensione nel paese, con Maduro che ha appena dichiarato lo stato di emergenza per far fronte al pericolo di un’aggressione militare statunitense. E sono sempre questi due militari, dice il più recente rapporto in materia di Amnesty International, i responsabili principali di molti casi di sparizione forzata avvenuti nella nazione sudamericana. Venezuela, il voto bulgaro per Maduro rappresenta la minoranza degli elettori Sparizioni forzate Nel suo report pubblicato nel luglio scorso, Amnesty International scrive di essere riuscita a documentare 15 casi di sparizione forzata avvenuti in Venezuela tra le elezioni presidenziali del 28 luglio 2024 e il 15 giugno 2025. Cittadini venezuelani, ma anche colombiani, francesi, spagnoli, statunitensi, ucraini e uruguaiani. «Una sparizione forzata significa non sapere dove sia un tuo familiare, in quali condizioni si trovi o persino se sia ancora vivo o morto», ha ricordato Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty. Alberto Trentini non fa parte ufficialmente di questi casi, perché di lui si sa dove è rinchiuso: carcere El Rodeo, stato di Miranda. Marcano Tabata e Rodriguez Cabello sono diventati i capi delle due agenzie di intelligence nell’autunno del 2024, quando Maduro ha deciso di nominarli al posto dei loro predecessori, Ivan Hernandez Dala (Dgcim) e Gustavo Gonzalez Lopez (Sebin). I due ricoprivano i rispettivi incarichi da circa un decennio e sono stati sostituiti dopo la repressione delle proteste avvenuta in seguito alle contestatissime elezioni presidenziali del 28 luglio 2024. Trentini, tutti i pasticci di Tajani. La “carta Eni” per la liberazione Diritti umani cercasi Pochi mesi dopo la proclamazione della vittoria di Maduro, non riconosciuta da diversi paesi del mondo tra cui, oltre a Usa e Ue, anche uno storico alleato come il Brasile di Lula, l’Onu ha pubblicato un rapporto sul rispetto dei diritti umani in Venezuela. «Almeno 25 persone sono state uccise, centinaia sono rimaste ferite e migliaia sono ancora detenute per aver esercitato il loro diritto fondamentale alla libertà di espressione», hanno scritto gli esperti delle Nazioni Unite, specificando che la repressione si è intensificata dopo le elezioni del 2024 e che quella del Venezuela è «una delle crisi dei diritti umani più acute della storia recente». Secondo gli investigatori incaricati di indagare dall’ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani (Ohchr), durante la repressione delle proteste le forze di sicurezza venezuelane hanno fatto irruzione in decine di case di presunti critici del governo. «Abbiamo documentato più di 40 casi in cui le forze di sicurezza sono entrate in case private senza mandato, utilizzando solo i video dei social media come unica prova per arrestare persone che ritenevano avessero partecipato alle proteste o che avessero espresso critiche sui social media», ha detto uno dei membri della missione Onu. El Rodeo, il carcere simbolo delle violazioni dei diritti umani in Venezuela Secondo il report, nella prima settimana di proteste dopo le elezioni sono state arrestate più di 2mila persone, tra cui oltre 100 minorenni. Tra i detenuti, scrive l’Onu, «molti sono stati sottoposti a tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti, nonché a violenza sessuale perpetrata contro donne e ragazze, ma anche contro uomini, con segnalazioni di scosse elettriche, percosse con oggetti contundenti, soffocamento con sacchetti di plastica, immersione in acqua fredda e privazione forzata del sonno».