Cassif: «Il governo Netanyahu cerca scuse per far fallire la tregua a Gaza»

Ofer Cassif, 60 anni, deputato israeliano del partito Hadash, siede alla Knesset dal 2019. Da sempre critico verso le politiche di occupazione dei territori palestinesi, è una delle poche voci israeliane che chiedono apertamente la fine dell’assedio su Gaza e il riconoscimento pieno di uno Stato palestinese. Nei giorni scorsi il governo israeliano ha rotto il cessate il fuoco bombardando Gaza, e membri del governo hanno annunciato l’intenzione di proseguire le operazioni. Qual è la sua valutazione? Nessuno dovrebbe violare il cessate il fuoco. Il problema è che il governo di Israele in realtà non si preoccupa della violazione che proviene o non proviene da Hamas. Sostengo totalmente la restituzione dei corpi degli ostaggi deceduti, ma sembra che l’esecutivo cerchi scuse per far cadere la tregua. L’altra sera durante il bombardamento di Gaza, Israele ha ucciso più di 100 persone, per lo più civili. Quarantasei di loro, questo è l’ultimo numero che ho visto, sono bambini. Niente può giustificare una cosa del genere. La condanno totalmente. E di nuovo punto il dito contro il governo di Israele, che è un governo criminale, colpevole di genocidio e di altre atrocità che sono continuate per due anni. Serve un impegno internazionale per fare rispettare la tregua, ma l’esecutivo israeliano rifiuta perfino l’ingresso di forze internazionali a Gaza. È una responsabilità gravissima. Israele, ancora raid su Gaza. È sfida continua alla tregua Che ne pensa del piano di pace di Trump? Non è un piano di pace. È stato imposto a Netanyahu, non concordato con lui. Trump l’ha promosso per reagire alla condanna internazionale di genocidio nei confronti di Israele e al riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di molti paesi. I palestinesi non sono stati nemmeno invitati: non avevano diritto di parola, e ai rappresentanti dell’Olp è stato perfino negato il visto per entrare negli Usa. Il testo è vago e pericoloso: non indica dove dovrebbe nascere lo Stato palestinese, e di fatto mira a permettere a Israele di annettere la Cisgiordania, riducendo l’autodeterminazione palestinese alla sola Gaza, forse in un lontano futuro. Temo che il vero piano sia escludere la Cisgiordania dall’essere parte dello Stato palestinese. Questo non porterà né stabilità né sicurezza. Ogni giorno si registrano violenze da parte dei coloni in Cisgiordania. Cosa sta accadendo e cosa dovrebbe fare la comunità internazionale? Oggi in Cisgiordania è in corso una vera pulizia etnica. Più di trenta comunità sono state distrutte da pogrom di coloni e dall’esercito. I coloni agiscono come milizie: incendiano, rubano, uccidono, protetti dalle forze d’occupazione. Nessuno viene arrestato, neppure gli assassini. Un mio amico, il noto attivista Awdah Hathaleen, è stato ucciso da un colono: l’assassino è tornato a casa poche ore dopo. Questa è la vita quotidiana dei palestinesi. Quindi la comunità internazionale deve capire che, oltre a essere un obbligo di giustizia, è anche nel loro stesso interesse fermare tutto questo. Durante il discorso di Trump alla Knesset lei e Ayman Odeh siete stati allontanati dall’aula per aver mostrato un cartello con la scritta “recognize Palestine”. Cosa dice questo episodio sulla democrazia israeliana? Se mi chiede cosa penso della democrazia israeliana, rispondo come Gandhi sulla civiltà britannica: «Penso che sarebbe una bella idea». Israele non è mai stata una vera democrazia. Non una dittatura, ma nemmeno una democrazia, soprattutto dopo il 1967 e oggi, sotto un governo pienamente fascista. Dopo il massacro criminale del 7 ottobre, il governo ha usato dolore e rabbia per completare il colpo di Stato che già progettava, silenziando chiunque osi criticare il genocidio o anche solo il governo. Negli ultimi due anni il 92 per cento delle sospensioni parlamentari ha colpito il nostro gruppo: significa che siamo l’unica opposizione reale. Dire “genocidio” in aula è proibito: chi lo fa viene espulso. Io stesso sono stato sospeso per dieci mesi e ho dovuto ricorrere alla Corte suprema. A Gaza dopo i raid è tutti contro tutti: «Hamas non sa come trovare i corpi» Anche esponenti del centro come Yair Lapid hanno applaudito la vostra espulsione. Esiste ancora un’opposizione in Israele? No, non in parlamento. Esiste nelle strade, ma non alla Knesset, né nei sindacati. Tutti i leader che dovrebbero sfidare Netanyahu – Lapid, Gantz, Lieberman – condividono la sua politica, specialmente verso i palestinesi. È per questo che Netanyahu resta al potere: non perché sia un genio, ma perché non ha veri avversari. Pensa che qualcosa cambierà nella società israeliana dopo la liberazione degli ostaggi e le proteste internazionali? La società israeliana è sempre stata divisa, e Netanyahu ha usato la divisione per governare: ebrei contro arabi, laici contro religiosi, periferia contro centro. Dopo il 7 ottobre sembrava unita, ma oggi la spaccatura è profonda. La maggioranza degli israeliani vuole la fine della guerra, una parte crescente parla apertamente di genocidio o di pulizia etnica. Anche se il potere resta nelle mani della minoranza che sostiene Netanyahu, un cambiamento è iniziato. Il problema è che le prossime elezioni rischiano di essere una farsa.