Trump alla fine ha dato una sua definizione di cosa sia realmente il trumpismo. Ha detto: «Molte persone si sono chieste: “Cos’è il trumpismo?”. È un nuovo termine che viene usato sempre di più. Lo sento sempre più spesso. Non l’ho inventato io. Ma, qualsiasi cosa significhi, è una gran cosa».

Tra i suoi presunti successi, Trump ha elencato la riformulazione dell’accordo commerciale con il Messico e il Canada, i tagli alle tasse e la promozione della deregolamentazione economica. Ha però anche collegato le sue concezioni neoliberali (che derivano dalla tradizione di Ronald Reagan) a un profondo disprezzo per le norme e le procedure democratiche, che è tipico degli attuali populismi di estrema destra, come nel caso di Jair Bolsonaro in Brasile, Viktor Orbán in Ungheria, Matteo Salvini in Italia e Narendra Modi in India. Quindi, per il leader sconfitto, trumpismo «significa confini forti», la promozione delle armi tra i civili e «significa niente rivolte nelle strade. Significa forze dell’ordine (...). Significa sostegno per gli uomini e le donne che sono stati dimenticati e sfruttati per tanti anni».

Great again

Trump ha anche affermato che grazie al trumpismo questi dimenticati «stavano bene. Stavano alla grande prima che quella cosa orribile dalla Cina arrivasse e ci colpisse. E ora stanno iniziando a stare davvero bene di nuovo». In sintesi, ha suggerito che il trumpismo stava facendo davvero l’America grande prima che il Covid-19 raggiungesse le sue sponde. Questa idea non può essere più lontana dalla realtà. Detta da un uomo che ha reso la democrazia degli Stati Uniti una vittima della militarizzazione della politica nel contesto di una profonda crisi politica, sociale e sanitaria, questo tipo di definizione può essere presentata soltanto in un mondo alternativo: quello della storia mitica trumpista.

La cosa singolare, dunque, della definizione trumpista del trumpismo è che non ha nulla a che fare con la realtà, ma piuttosto con una sua rappresentazione alternativa. La definizione in gran parte non dice tanto cosa sia il trumpismo, quanto piuttosto ciò che il suo leader vorrebbe che fosse.

Il culto di Trump

Trump ha presentato la propria definizione nel contesto dell’assemblea più importante dei Conservatori repubblicani (Cpac). I partecipanti, come la stragrande maggioranza dei repubblicani, non fanno alcuna distinzione tra l’antico partito di Abraham Lincoln, del passato, e il movimento di estrema destra che è oggi il Gop. In questo senso, il culto di Trump ha preso il sopravvento su tutto. E questo spiega perché, a differenza dei precedenti esempi di repubblicani sconfitti (che, dopo aver fatto un’analisi post mortem della sconfitta, si sono successivamente dedicati a opporre misure concrete al governo entrante), il trumpismo continua ad abitare il magico mondo delle storie del suo leader. In altre parole, la maggior parte dei repubblicani insiste ancora sulla grande menzogna che Trump abbia in realtà vinto le elezioni. Questo impedisce loro di fare in modo credibile opposizione all’amministrazione Biden con misure alternative realistiche. Sostengono invece Trump e le sue dichiarazioni su cose che non esistono. Ad esempio, Trump ha insistito che Biden è contro la scienza e non democratico, ed è anche contro la legge e contro le donne. Tutte queste caratteristiche (o meglio, difetti) sono propri di Trump, ma attribuendoli a Biden, ha seguìto nel modo tipico la natura proiettiva della personalità autoritaria studiata dal filosofo Theodor Adorno e dai suoi collaboratori.

Abiti trascendentali

Tutti i governi personalisti che presentano un culto del leader, specialmente nel caso del fascismo e del populismo, a un certo punto sentono il bisogno di darsi una cornice dottrinale. Vogliono dare a sé stessi un’idea che definisca il loro movimento e che lo faccia sembrare più serio. Desiderano iscriversi nella grande storia delle ideologie politiche. In breve, vogliono vestire la momentanea leadership del capo con abiti trascendentali. Questo è necessario perché, dopotutto, un’ideologia che si basa sulle opinioni di una singola persona presenta dei limiti alla propria legittimità nazionale e internazionale. Soprattutto, questa pretesa di rendere il mito vivente parte della storia ha principalmente motivazioni di propaganda. In altre parole: i leader vogliono spiegare il significato teoretico della propria persona proprio per completare e dare gravitas a una serie di capricci, narcisismi e continui colpi di scena.

Per la maggior parte dei seguaci questo momento dottrinale non viene vissuto come una contraddizione con il culto del leader che ha sempre definito tutto, ma piuttosto come un momento in cui il leader decide che sia il momento di mascherare con le corde della teoria politica una serie di nozioni sul potere, l’obbedienza e la violenza.

In generale l’occasione dottrinale non è che la fotografia riccamente decorata con concetti, idee e capricci di un determinato momento. Ma è anche una rappresentazione significativa del mondo ideale del leader e dei seguaci. Per Trump, gli effetti del suo governo continuano a essere disastrosi. Ed è per questo che c’è bisogno di riscrivere la storia.

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