Dai droni da ricognizione Orlan ai carri armati, il campo di battaglia ucraino restituisce ogni giorno rottami bellici russi pieni di componenti elettroniche made in China. La denuncia arriva da Vladyslav Vlasiuk, il consigliere di Volodymyr Zelensky incaricato della politica sulle sanzioni.

In molti casi le apparecchiature fabbricate in Cina sostituiscono quelle dei produttori occidentali che si attengono ai divieti internazionali per ostacolare l’armata di Vladimir Putin. Ad esempio, secondo le informazioni fornite dai servizi segreti di Kiev all’agenzia Reuters, gli Orlan utilizzavano un sistema di navigazione svizzero, rimpiazzato da uno cinese, mentre i tank di Mosca hanno scambiato con uno cinese il precedente sistema di puntamento.

«Stiamo raccogliendo un sacco di materiale di vario tipo», ha annunciato Vlasiuk. Il consigliere del presidente ucraino ha anche fatto i nomi dei costruttori delle componenti rinvenute, informazioni che Kiev ha subito condiviso con gli alleati occidentali. Tra questi c’è Norinco, la maggiore azienda di stato cinese del settore degli armamenti, e Xinxing Guangzhou Import & Export. Tuttavia Vlasiuk non ha specificato che tipo di materiale riconducibile a queste aziende sarebbe stato ritrovato.

L’Ucraina ha già imposto sanzioni alla cinese Comnav Technology per aver fornito alla Russia apparecchiature di navigazione e radar che potrebbero essere utilizzati per supportare droni e missili russi e iraniani. Vlasiuk ha descritto il suo lavoro come una «battaglia» per imporre sanzioni anzitutto alla Russia, e poi per neutralizzare le scappatoie che Mosca ha trovato per aggirarle. «Ci sono molti esempi di paesi terzi che continuano, volenti o nolenti, ad aiutare Mosca a eludere le sanzioni», ha affermato il funzionario ucraino.

I leak del Pentagono

Con la sua proposta in 12 punti per una «soluzione politica della crisi ucraina» presentata a un anno dall’inizio della guerra, Pechino è passata dalla “neutralità filo-russa” al “pacifismo filo-russo”. «Nel corso della storia, la Cina ha avviato una normale cooperazione commerciale con tutti i paesi, inclusa la Russia, sulla base dell’uguaglianza e del vantaggio reciproco – si è difeso dalle ultime accuse il ministero degli Esteri di Pechino – Per quanto riguarda le esportazioni di articoli militari, la Cina ha sempre adottato un atteggiamento prudente e responsabile».

Nelle scorse settimane la pressione su Pechino è aumentata, con la pubblicazione di articoli su presunte forniture di armi cinesi alla Russia, indiscrezioni alle quali tuttavia a Washington finora non hanno dato particolare peso. «Al momento non c’è nulla di cui sono consapevole che sia di grande importanza», ha dichiarato la settimana scorsa il presidente Usa, Joe Biden.

Le ultime rivelazioni arrivano dal Washington Post, che le ha estratte dalla miniera di informazioni di intelligence trafugate dal ventunenne Jack Teixeira, accusato di averle pubblicate illegalmente sulla piattaforma Discord. Secondo i file raccolti da agenti statunitensi durante le loro operazioni di ascolto di agenti russi e datati 23 febbraio 2023, Pechino avrebbe approvato una fornitura segreta e «incrementale» di armi alla Russia, da nascondere tra articoli civili.

Un fascicolo separato dell’intelligence (parte della stessa miniera di documenti) afferma che Pechino considererebbe un eventuale «significativo» attacco ucraino con armi statunitensi o della Nato sul territorio russo come un’escalation alla quale sarebbe pronta a rispondere con l’invio di armi alla Russia. Ieri il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha fatto una visita a sorpresa a Kiev e ha ribadito che «il posto dell’Ucraina è nella Nato e nel tempo il nostro sostegno contribuirà a renderlo possibile». Non certo un segnale distensivo visto il contesto generale.

Alla fuga di notizie del Pentagono il ministro degli Esteri cinese ha replicato che «la Cina non fornisce armi a nessuna delle due parti in conflitto e limiterà anche l’esportazione della tecnologia a duplice uso».

Il mese scorso, il segretario di stato Usa, Antony Blinken, ha dichiarato che la Cina «non ha superato la linea» della fornitura di armamenti al vicino che sostiene politicamente e col quale ha una partnership “senza limiti” e un interscambio commerciale che nel 2022 ha raggiunto il valore record di 190 miliardi di dollari: soprattutto energia (che la Russia non può più vendere all’Europa) verso la Cina; in direzione opposta principalmente manufatti di ogni genere, tra i quali tanta elettronica, che, alla bisogna, può finire negli armamenti.

I droni iraniani

Dopo Xi Jinping, che si era recato al Cremlino il mese scorso, dal 16 al 18 aprile a incontrare a Mosca il suo omologo Sergei Shoigu, nonché Vladimir Putin, è andato il nuovo ministro della Difesa e consigliere di stato, Li Shangfu.

È stato lo stesso Xi a volere su quella poltrona il sessantacinquenne Li, sanzionato nel 2018 dagli Stati Uniti per aver acquistato un caccia Su-35 e un sistema di missili terra-aria S-400 dalla compagnia russa Rosoboronexport. Nel tentativo di apparire meno isolato, con Li al suo fianco, Putin ha spiegato che «attraverso i rispettivi dipartimenti militari, ci scambiamo regolarmente informazioni utili, lavoriamo insieme nel campo della cooperazione tecnico-militare e teniamo esercitazioni congiunte». Il presidente russo ha aggiunto che «indubbiamente, questo è un altro ambito cruciale che rafforza la natura strategica e basata su una grande fiducia reciproca delle nostre relazioni».

In definitiva, mentre Pechino si offre come mediatrice tra russi e ucraini, con il legame politico sempre più stretto con Mosca e i commerci con la Russia sempre più floridi, ogni giorno di guerra avvicina il momento in cui potrebbero emergere prove di un sostegno cinese allo sforzo bellico di Putin.

Un avvertimento in tal senso è arrivato dalle sanzioni varate da Washington contro la Pardazan System Namad Arman (Pasna), una rete di importazione di materiale bellico e tecnologia a uso militare legata ai pasdaran iraniani. Nel mirino delle sanzioni Usa, che puntano a colpire la produzione di droni iraniani (massicciamente utilizzati dalle truppe di occupazione russe contro l’Ucraina), sono finite tre compagnie cinesi e una di Hong Kong.

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