Un conservatore nostalgico della dittatura contro un ex leader della protesta giovanile di sinistra. Nemmeno il Cile – da trent’anni esempio di pragmatismo e moderazione, dentro e fuori l’America Latina – sfugge al karma politico dei nostri tempi: al momento di andare alle urne, o rispondere a un sondaggio, è sempre alta la possibilità che si scelgano profili radicali con tendenza al populismo.

Addio vecchia corsa a conquistare il centro moderato, quindi. Il 21 novembre il Cile andrà al voto per scegliere un nuovo presidente, il successore del conservatore Sebastian Piñera, ed è la sfida più incerta degli ultimi 30 anni. L’elezione è a due turni e il ballottaggio sarà poco prima di Natale.

Secondo gli ultimi sondaggi dovrebbero passare al secondo turno i due candidati più radicali. Viene accreditato con circa il 30-32 per cento delle preferenze il 55enne José Antonio Kast, avvocato di origine tedesche, cattolico, nove figli, all’estrema destra nello scenario. Lo segue con il 26-27 per cento il suo opposto viscerale. Gabriel Boric ha soltanto 35 anni, occhiali e barbetta, arriva dal sud antartico e ha guidato la federazione degli studenti universitari, che in Cile ha un peso politico rilevante. Tra i partiti storici ha soltanto l’appoggio dei comunisti.

Gli altri candidati

Gli altri candidati sono assai distanti, e il loro probabile destino sancisce la fine del bipolarismo moderato che ha retto il paese dal 1989 in poi, quando finì la dittatura di Augusto Pinochet. Soltanto l’11 per cento voterebbe per Yasna Provoste, democristiana scelta nelle primarie del centrosinistra; peggio ancora il conservatore Sebastian Sichel, candidato del governo uscente, che rischia di non arrivare al 10 per cento.

E a poco è servito a Sichel, nell’ultimo dibattito tv, accusare il suo concorrente di destra di rimpiangere Pinochet, o mostrare alle telecamere gli elogi del giovane Boric al dittatore venezuelano Maduro. La rabbia dell’elettore grida più forte. Con la probabile finale Kast-Boric insomma, l’intero sistema politico cileno ne uscirebbe terremotato, dopo decenni di pacifiche alternanze. Fino ad oggi la politica cilena è stata facile da capire, soprattutto per gli italiani della Prima repubblica: c’erano il partito socialista, il comunista, la Dc, i liberali e i post-fascisti.

Niente strane alchimie come il peronismo argentino o il Pri messicano, per restare in questo continente. Persino la parentesi tragica del regime militare (1973-1989) aveva lasciato intatto lo scacchiere. Per i primi 20 anni di democrazia ha poi governato il centrosinistra, dominio interrotto da Piñera nel 2010. Due mandati ha avuto la socialista Michelle Bachelet. Cosa resterà di questo bipolarismo dopo le elezioni di quest’anno è difficile da prevedere.

L’origine della svolta

La svolta ha origine in realtà nell’ottobre del 2019, quando il Cile è stato colto di sorpresa dal cosiddetto “estallido (esplosione) social”. Da una protesta nella capitale Santiago per l’aumento del prezzo dei mezzi pubblici, la rivolta si è estesa ad altre città, dagli studenti al resto della popolazione, e ha provocato una serie di violenze soprattutto per gli eccessi delle forze dell’ordine.

Le proteste sono durate settimane, si è arrivati al coprifuoco e il bilancio è stato pesante, con decine di morti e migliaia di feriti. Sotto processo popolare in quei giorni è finito il “modello”, e cioè tutto quello che covava sotto le ceneri in un paese che pure aveva avuto decenni di crescita economica, riduzione della povertà e la piena democrazia.

Sono scesi in piazza gli studenti per il costo elevato delle tasse universitarie e i debiti che erano costretti a trascinarsi per tutta la vita; gli adulti per il carovita e le spese sanitarie; i pensionati per l’esiguità delle loro pensioni.

Su educazione e previdenza, in particolare, sono venute alla luce gli effetti perversi delle riforme iperliberiste degli anni di Pinochet (quella di privatizzazione integrale delle pensioni è stata lodata in tutto il mondo, ma ha provocato assegni da fame), effetti che nemmeno i governi socialisti successivi sono riusciti a mitigare. La presidenza Piñera è stata sul punto di crollare, poi ha risposto con una serie di misure per mitigare gli squilibri. È stato per esempio consentito ai cittadini di ritirare a rate una parte dei contributi versati ai fondi pensione privati.

Adeguarsi ai modelli

A woman hold a rainbow banner during the annual Gay Pride parade in Santiago, Chile, Saturday, Nov. 13, 2021. (AP Photo/Esteban Felix)

I due candidati in testa ai sondaggi sono entrambi figli, per ragioni opposte, dell’esplosione del 2019, così come i politici dei partiti tradizionali di destra e sinistra sono trascinati via dalla stessa corrente di malcontento.

Il conservatore Kast, per esempio, ha rotto le titubanze sulla dittatura militare, passando dal vecchio “Pinochet ha fatto anche cose buone” all’esaltazione totale di quel modello economico. Suo fratello Michael era stato ministro del regime, che provocò tra l’altro migliaia di esecuzioni e sparizioni sommarie. Kast ha adeguato il fascismo cileno del Novecento alle parole d’ordine dei suoi modelli Trump e Bolsonaro su temi come l’immigrazione (il Cile ha molti esuli venezuelani), l’aumento della violenza, il narcotraffico, i valori della famiglia tradizionale.

Tocca le corde di un paese dove esiste ancora una forte anima conservatrice, l’aborto è una conquista limitata e recente e i diritti civili assai controversi. Per Kast non esiste una questione indigena nel sud del paese (dove i Mapuche esigono le terre ancestrali), ma soltanto terrorismo. E naturalmente tutti i guai derivano dalla violenza delle manifestazioni a partire dal 2019. È stato l’estallido social ad aver bloccato la crescita del Cile, dice.

L’estremismo di Kast ha finora funzionato. Come ha detto l’analista politico Cristobal Bellolio, «a ogni episodio di violenza a Santiago o nel sud, Kast guadagna un punto percentuale». Il Cile ha livelli di criminalità irrisori rispetto ai suo vicini di continente, ma è sempre una questione di percezione. Per la destra è già un’emergenza grave, la violenza è “fuori controllo”.

Lotta al neoliberismo

Demonstrators run as police use water cannons to disperse them on the two-year anniversary of the start of mass anti-government protests over inequality in Valparaiso, Chile, Monday, Oct. 18, 2021. (Andres Pina/Aton Chile via AP)

Eppure, anche vincendo il primo turno, il cammino verso la presidenza di Kast non appare semplice. I sondaggi lo danno al ballottaggio in lieve svantaggio rispetto a Gabriel Boric. Segno che presentare come qualcosa di nuovo la nostalgia di Pinochet e dei suoi Chicago Boys potrebbe essere troppo anche per il conservatorismo cileno.

I sondaggi sono ufficialmente proibiti due settimane prima del voto, ma circolano tranquillamente anche perché i media stranieri possono pubblicarli.

Domani ne è entrato in possesso. Secondo il primo l’ex leader studentesco di sinistra vincerebbe al ballottaggio del 19 dicembre per 41 a 39, una seconda inchiesta vede un ancor più risicato 51 a 49 dei voti validi.

Un presidente di 35 anni sarebbe una novità assoluta per l’America Latina e non solo. Per riuscirci, Boric deve convincere la maggioranza dei cileni che la rivolta di due anni era sacrosanta e che il Cile “culla del neoliberalismo, sarà anche la sua tomba”, il suo slogan forte.

Il ragazzo venuto dalla Patagonia ha modificato la sua capigliatura ribelle delle manifestazioni per un figurino più da prof che da alunno e ha scalato la leadership della sinistra passo a passo. Se aveva fatto fatica a raccogliere le 35mila firme necessarie alla candidatura, poi la sua sfida è stata scardinare la rigida militanza dei suoi alleati comunisti a favore di una maggiore moderazione. Si è detto aperto al dialogo per formare una maggioranza parlamentare e ha tagliato corto con i suoi compagni di strada che hanno esaltato la recente vittoria frode di Daniel Ortega in Nicaragua («non ha il mio appoggio», ha detto).

Dalla sua, rispetto a Kast, avrebbe da presidente una maggior sintonia con l’Assemblea costituente che è stata di recente formata per modificare la Carta iperliberista dell’epoca militare, una delle richieste delle proteste del 2019. Accusano Boric di non avere un programma, e in effetti la “lotta al neoliberalismo” è piuttosto generica. Anche considerando che è dal giorno dopo che Pinochet ha lasciato il potere che i socialisti promettono di smantellare la sua eredità, e nessuno vi è ancora riuscito.

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