C’è evidenza che in Cina la crescita economica rimane robusta e innovativa. Nel 2019 sfiorava il 6 per cento all’anno, più di tre volte e mezza quella media dei Paesi avanzati e quasi il doppio di quella degli altri Paesi in via di sviluppo; fra 5 anni il Fmi la prevede al 5 per cento, più del triplo dei Paesi avanzati. I progressi della tecnologia cinese sono notoriamente sorprendenti. Altrettanto evidente è che il regime non sta aumentando la libertà e la democrazia in quel Paese, anzi.  

Negli ultimi anni della presidenza di Xi Jinping il rispetto dei diritti umani e lo stato di diritto si sono progressivamente deteriorati. Secondo Human Rights Watch il governo ha “rafforzato la repressione in patria cercando di tacitare i critici all’estero. Ha detenuto arbitrariamente i dissidenti e i loro avvocati, ha aumentato il controllo sulla società civile e sui media e ha reso invasiva la sorveglianza su Internet e le tecnologie informatiche”.

Secondo Amnesty International, crescono «le restrizioni sulla libertà di espressione. Giornalisti stranieri vengono arrestati ed espulsi, c’è censura dei contenuti politicamente sensibili trasmessi con le moderne tecnologie». Per non parlare del trattamento delle minoranze etniche e senza soffermarsi sui fatti di Hong Kong, dove la legge di Sicurezza Nazionale ha schiacciato la libertà di espressione. Hong Kong è un fatto internazionale ma anche un simbolo del regredire della libertà interna alla Cina.

Un teorema smentito?

The China Symphony Orchestra came to Qing Shui County to perform in the heat of summer, in Tianshui City, Northwest China's Gansu Province, 7 July 2021. (Imaginechina via AP Images)

Negli ultimi decenni vi sono stati periodi in cui alla forte accelerazione dello sviluppo economico cinese e alla sua modernizzazione si sono accompagnati segnali, episodici ma diffusi, di un aumento della libertà che tendeva a esondare, seppur molto gradualmente, dall’economia alla vita civile.

15 anni fa, mentre insegnavo nell’università Fudan, girava sui banchi una rivista con diversi articoli critici del regime. Con gli studenti locali il rapporto era libero e aperto. Per un “occidentale” sembrava quasi arrivare la prova dell’inevitabile parallelismo fra progresso economico e libertà civile.

Mancavano passi verso la democrazia politica, ma su questo fronte il discorso poteva arrendersi all’idea che 1) le forme di partecipazione democratica possono essere diverse e progredire in modi non rilevabili con i connotati standard cui siamo abituati e, 2) anche nel nostro occidente la democrazia segnava dei cali di reputazione impressionanti.

L’inversione di segno del percorso politico cinese costituisce dunque una delusione e porta l’occidentale a dubitare o della sostenibilità della crescita cinese o del teorema che lega il progresso economico alla libertà.

Un teorema che per ora non pare avere altre smentite recenti e rilevanti: solo in fasi di decollo della crescita dopo l’estremo sottosviluppo vi sono prove di come la limitazione della libertà possa “servire”, dopodiché o cresce la libertà o lo sviluppo si inceppa. Senza escludere che l’inceppamento possa avvenire anche quando la libertà è abbondante e la democrazia, almeno formalmente, è garantita.

Il teorema, quindi, della libertà, non solo economica, come condizione necessaria anche se non sufficiente per una crescita matura, fatta anche di innovazione e articolazione qualitativa delle produzioni e della domanda, sostenibile nel tempo.

Che dire della messa in dubbio del teorema? Vi è intanto la possibilità che l’effetto della minor libertà sulla crescita sia solo ritardato, almeno nella fase attuale dell’evoluzione cinese: in questo caso, se il cammino illiberale continuerà e si accentuerà, la crescita rallenterà, vedrà deteriorarsi la sua qualità, darà segni evidenti di insostenibilità. Sarebbe il trionfo del teorema anche se le conseguenze sarebbero tristi non solo per i cinesi.

Una crescita imperialista?

Gorgeous evening sunset at Fushan Bay, in Qingdao city, East China's Shandong Province, 6 July 2021. (Imaginechina via AP Images)

Un altro modo di leggere l’apparente crisi del teorema richiede l’apertura del discorso ai rapporti internazionali e alle evoluzioni geopolitiche. Si tratta allora di interpretare la fase attuale della crescita cinese come alimentata dalla forzatura della proiezione globale del Paese, sia di quella commerciale-finanziaria, in atto da tanto tempo, che di quella politico-imperialista rilanciata affrontando le controversie della Via della Seta e anche in seguito alle tensioni con l’amministrazione Trump.

Da una crescita alimentata anche dalle vigorose ma fisiologiche esportazioni, cominciata quando sembrava valere in pieno il “teorema”, saremmo passati a una crescita consustanziale a un invadente sostegno politico delle esportazioni e degli investimenti all’estero. Attività commerciali e finanziarie internazionali basate sull’estrema competitività del Paese finiscono ad essere guidate da un sempre più forte dirigismo.

Negli ultimi mesi la Cina ha fortemente sfavorito, fino a proibirlo riducendo anche una libertà economica, il finanziamento dall’estero delle proprie grandi imprese e, viceversa, sta spingendo l’investimento azionario all’estero dei risparmi cinesi: rifugge l’interferenza del capitale estero in Cina, mentre promuove la conquista cinese del capitale estero.

Una crescita economica “imperialista”, forzata, in concorrenza non più complementare ma ostile alla crescita altrui. Una crescita che richiede, anche nei confronti dei cittadini e degli operatori economici cinesi, un profilo sovranista, un accentramento delle decisioni economiche, un soffocamento di disturbi politici interni, un presidio della potenziale invadenza estera, anche di quella informatica, culturale, diplomatica. Una crescita cui servono opacità informativa e un regime illiberale, anche per coltivarne il mito. Oltre alle controversie della Via della Seta hanno mostrato un atteggiamento imperialista le strategie del trasporto marittimo, i rapporti finanziari con i Paesi africani, la politica cinese nei confronti dell’Est europeo e altro ancora.

Qualcuno, forse esagerando, pensa che sia sempre stato così, che i grandi avanzi commerciali del passato fossero già mirati a procurarsi i dollari per comprare il mondo, che la libertà civile non sia mai veramente cresciuta in Cina e anche quella economica abbia sempre avuto limiti, compreso lo sfruttamento del lavoro, che la snaturano fino a impedirci di dirla tale.

Il dilemma delle altre potenze

Two State Grid workers check the solar panels on the roof of a local factory in Hangzhou in east China's Zhejiang province Tuesday, July 06, 2021. (FeatureChina via AP Images)

Supponiamo che sia questa la spiegazione dell’apparente fallimento del teorema. Si pone allora un problema alle altre “potenze” geopolitiche. Decostruire quel tanto di imperialismo economico che anch’esse hanno sempre avuto e accentuare la propensione a costruire davvero un mondo di libera competizione economico-culturale, di autentico multilateralismo aperto anche ai Paesi minori, di accentuazione massima del ruolo delle istituzioni multilaterali e della partecipazione anche cinese alle stesse, di valorizzazione delle diversità, anche di quelle politiche, anche di quella cinese, un modo aperto al punto che l’imperialismo cinese finisca a impantanarsi nella sua concorrenza multiforme e sempre cangiante e finisca quindi per adeguarvisi, rinsaldando il legame fra libertà e prosperità?

O invece rispondere colpo su colpo, rischiando di opporre una all’altra le forze geopolitiche fino a rischiare di rafforzare e giustificare l’imperialismo cinese e ottenere la somma zero dei vantaggi per il mondo. Rischiare un commercio internazionale distorto da protezioni e sussidi incrociati, una finanza inelastica e rattrappita nei confini nazionali, un mondo bloccato economicamente, civilmente, culturalmente dalle sue conflittualità?

Non è scelta facile e a fare i liberali, i sostenitori a tutti i costi della società globale aperta, si rischia di parere ingenui, legati ai sogni di mondi piatti, di fini della storia, mondi rivelatisi presto, all’inizio di questo secolo, illusori e pericolosi. Si sta forse cercando una via intermedia, magari con qualche buona sorpresa in questo G20 post-pandemico e global-tassante.

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