La prolungata stretta di mano e i sorrisi che Joe Biden e Xi Jinping si sono scambiati ieri sera a Bali rappresentavano una photo opportunity, certo. Ma il 18 marzo 2021, quando l’amministrazione democratica e il governo cinese si erano incontrati per la prima volta, in Alaska, ad andare in scena a favore di telecamere era stato un muro contro muro, con il responsabile della politica estera del partito comunista, Yang Jiechi, che aveva replicato con toni e slogan da Guerra fredda alle accuse del consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan.

Da allora la relazione bilaterale più importante per il futuro dell’umanità si è ulteriormente deteriorata, con l’inasprimento dell’embargo tecnologico Usa nei confronti di Pechino e lo scontro su Taiwan della scorsa estate.

Il fatto che Xi e Biden si sono visti finalmente di persona - dopo oltre tre anni (se consideriamo anche la seconda fase dell’amministrazione Trump) di attacchi reciproci, mentre il mondo veniva messo sotto sopra dalla trade war, dalla pandemia e dall’invasione dell’Ucraina - non può che essere considerato uno sviluppo positivo. Se il faccia a faccia, durato oltre tre ore e definito da entrambe le parti “franco e approfondito” riuscirà a disintossicare i rapporti Cina-Stati Uniti è un altro paio di maniche. Intanto, al termine del colloquio, Washington ha annunciato che il segretario di stato, Antony Blinken, andrà presto in Cina per continuare il dialogo che si è riaperto ieri.

Le due delegazioni

Appena sbarcato nella città indonesiana dove oggi inizia il vertice del G20, Biden ha manifestato la determinazione degli Stati Uniti a «competere duramente» con la Cina, ma ha assicurato che «questa competizione non porterà a un conflitto». Il presidente Usa ha aggiunto che «non deve esserci una nuova guerra fredda». La prima miccia da spegnere è Taiwan, che per Xi «è al centro degli interessi fondamentali della Cina, la base politica delle relazioni Cina-Usa e la prima linea rossa che non deve essere superata nei nostri rapporti bilaterali».

Biden sembra aver fatto qualche passo indietro rispetto agli ultimi mesi, avendo dichiarato ieri che a suo avviso non c’è «alcun tentativo imminente» di attacco all’Isola da parte di Pechino e che Washington resta fedele alla politica “Una sola Cina” accettata da quando, nel 1979, gli Usa riconobbero la Repubblica popolare cinese.

Una di fronte all’altra si sono sedute due delegazioni ai massimi livelli, segno che entrambe le parti avvertono l’urgenza di mettere una pezza sui drammatici strappi degli ultimi tempi.

La presenza accanto a Biden del segretario del tesoro Janet Yellen e, affianco a Xi, di He Lifeng (prossimo responsabile del partito per gli affari economici) indica che le questioni economico-commerciali sono state al centro dell’agenda di ieri. Xi ha criticato gli Stati Uniti per aver tentato di costruire «muri e barriere» e per aver spinto per «il decoupling e la rottura delle catene di approvvigionamento».

Sulla Russia versioni diverse

Secondo il comunicato ufficiale della Casa Bianca, i due presidenti «hanno ribadito il loro accordo sul fatto che una guerra nucleare non dovrebbe mai essere combattuta e non potrà mai essere vinta e hanno sottolineato la loro opposizione all’uso o alla minaccia dell’uso di armi nucleari in Ucraina».

Ma il resoconto cinese non menziona le minacce atomiche russe. Un funzionario statunitense ha riferito che anche il premier cinese Li Keqiang (l’altro ieri al vertice dei paesi dell’Asia orientale, ndr) «ha posto chiaramente l’accento sulla sovranità, sull’irresponsabilità delle minacce nucleari, sulla necessità di garantire che le armi nucleari non vengano utilizzate nel modo in cui alcuni hanno suggerito».

Secondo l’anonimo ma loquace funzionario, nonostante la partnership “senza limiti” sottoscritta da Xi e Putin, esiste «innegabilmente un certo disagio a Pechino per ciò che abbiamo visto in termini di retorica sconsiderata e attività da parte della Russia. Penso che sia anche innegabile che la Cina sia probabilmente sorpresa e anche un po’ imbarazzata dalla condotta delle operazioni militari russe».

Resta il fatto che la quasi-alleanza tra Pechino e Mosca è cementata soprattutto dal comune timore dei due regimi nei confronti degli Stati Uniti. Secondo l’agenzia Xinhua, «Biden ha ribadito che una Cina stabile e prospera è un bene per gli Stati Uniti e per il mondo, affermando che gli Stati Uniti rispettano il sistema cinese e non cercano di cambiarlo».

Come preannunciato, nessun comunicato congiunto. Al contrario, Pechino e Washington hanno diramato resoconti a tratti (come nel caso dell’Ucraina) diversi, a beneficio delle rispettive opinioni pubbliche.

Ma entrambi i governi hanno manifestato la volontà di far ripartire il dialogo, ricominciando a lavorare insieme su una serie di questioni globali, a partire dai cambiamenti climatici.

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