Quest’anno, probabilmente un giorno tra ottobre o novembre (la data deve ancora essere annunciata, ma dal 1982 di solito accade in questo periodo), il Partito comunista cinese (Pcc) terrà il suo Congresso che si svolge ogni cinque anni.

Nonostante le previsioni dell’estate 2022 affermino che Xi Jinping si trovi in una posizione più precaria per la situazione instabile dell’economia cinese, è molto probabile che otterrà un terzo mandato a capo del partito. Questo significa che Xi Jinping continuerà a determinare l’agenda politica del paese negli anni a venire. Difficilmente infatti l’acuirsi dei problemi economici impedirà la continuazione del governo di Xi. In qualsiasi autocrazia, rimuovere i leader incontrastati contro la loro volontà è, per usare un eufemismo, molto difficile. E di solito accade attraverso congiure di palazzo o rivolte sociali più ampie. 

Gli scenari possibili

Mette quasi certamente a disagio il potere onnicomprensivo di Xi, e in particolare l’insistenza del suo governo sulla politica zero Covid-19, ma siamo lontani dal caos che rappresenterebbe per lui una vera minaccia. In modo più sobrio, anche se fosse lui a voler fare un passo indietro e permettere a qualcun altro di essere in testa, non sarebbe facile trovare un’alternativa con il suo stesso status e la sua statura. Il partito non ama l’imprevedibilità di per sé. La soluzione politica predefinita della Cina, e della leadership di Xi, sarebbe dunque quella di mantenere lo status attuale, con Xi che continua nel suo ruolo. 

Ad ogni modo, i venti contrari dell’economia e della geopolitica, anche se non lo porteranno a essere rimosso, avranno un impatto sul tipo di potere che Xi sarà in grado di esercitare. La stagnazione nella crescita seguita alla chiusura di fabbriche e servizi logistici, insieme a un’economia fiacca nel resto del mondo che ha avuto conseguenze sulle esportazioni e sulla produzione cinese, stanno iniziando a dare segnali d’allarme.

La cruda verità è che negli ultimi quarant’anni almeno, né il governo cinese, né il mondo esterno ha mai avuto idea di come possa essere il paese in recessione, o peggio. La crescita in doppia cifra del Pil dagli anni Ottanta ha accresciuto l’ottimismo e dato al partito i mezzi chiave per giustificare il suo potere e liquidare chiunque osasse tentare di opporsi. 

Con l’avvento del Covid-19 e le guerre commerciali dell’èra Trump, l’amministrazione di Xi si è concentrata su due cose. La prima, creare un’economia interna più autonoma e resiliente, meno dipendente dai mercati e dalla tecnologia esteri. Questo era alla base dell’idea della “circolazione doppia” annunciata nell’estate 2020. La seconda consisteva in una spinta verso una maggiore stabilità e uguaglianza tra i cinesi, secondo la nozione di “prosperità comune” del 2021. Questi due obiettivi miravano alle principali fragilità del paese: un deficit di tecnologia e innovazione e la disuguaglianza sociale e economica.

Questi obiettivi non hanno perso importanza. Ma è chiaro che il governo dovrà ripensare a come raggiungerli. Riguardo al primo, i rapporti aspri e divisivi con gli Stati Uniti e altri paesi hanno spinto tanti a parlare di una nuova Guerra fredda. Probabilmente è più corretto definirla, come ha fatto la rivista Economic l’anno scorso, una “Guerra tiepida”, perché al momento è più una guerra a parole che nei fatti.

Forse un’economia più debole porterà Xi a ripristinare i rapporti con il mondo esterno. Oppure potrebbe iniziare a viaggiare fuori dal paese per tentare una sorta di offensiva accattivante, una cosa che non ha fatto dall’inizio della pandemia. Può darsi che i toni della diplomazia cinese diventeranno un po’ meno aggressivi e un po’ più inclusivi. La Cina potrebbe persino cercare di giocare un ruolo di mediazione più efficace nella guerra tragica e brutale che la Russia sta conducendo contro l’Ucraina.

Un’economia povera tuttavia potrebbe avere l’effetto opposto. Potrebbe significare che il partito di Xi cercherà di usare il nazionalismo per ottenere un maggiore consenso nel popolo, creando un’atmosfera quasi da tempo di guerra in cui alla gente viene detto di fare sacrifici e fare con meno, per la situazione critica in cui si trova il paese e per l’atteggiamento malvagio degli altri paesi che la provocano. 

Ovviamente questo scenario incrinerebbe ulteriormente i rapporti tra Cina e mondo esterno. La cosa peggiore in questo caso sarebbe un governo che iniziasse ad agire con sempre maggiore ostilità nei confronti di Taiwan, al punto che, per errori di calcolo e zelo nazionalista, tutto precipiterebbe di fatto in una crisi internazionale.

Il governo cinese, e Xi, sono calcolatori razionali. È più probabile che cercheranno vie pragmatiche e che la prima opzione sia più probabile della seconda. Ma il mondo esterno deve essere più coerente e persuasivo nella sua diplomazia e linguaggio nei confronti della Cina, e fare tutto il possibile per assicurarsi che accada la miglior cosa possibile e che il peggio non prevalga. Questo significa che le teste calde a Washington e altrove, interessate al massimo confronto e scontro politico, devono essere consapevoli delle potenziali conseguenze delle loro azioni. La Cina non è più (se mai lo sia stata) un partner debole a cui si può dire cosa fare urlando forte. È una forza globale potente e rilevante, e deve essere trattata come tale, che ci piaccia o no.

Cambiamenti strutturali

Una terza amministrazione Xi dovrà fare molto anche contro la disuguaglianza e cominciare ad affrontare i profondi cambiamenti strutturali che non possono più essere rimandati al futuro. Gli obiettivi sul cambiamento climatico sono adeguati, ma come dimostra il caldo torrido di quest’anno in tutto il pianeta, non sono più sufficientemente ambiziosi. La Cina dovrà assumersi una responsabilità ancora maggiore di quella che ha già, tanto per il suo popolo che per il resto del mondo. Sono state fatte tante promesse sul fatto che l’economia nell’èra di Xi sarebbe stata più attenta all’ambiente. Sono stati stabiliti obiettivi per i limiti nelle emissioni di carbone. Ma dal 2020 è arrivato il tempo per meno parole e più fatti.

La sua amministrazione dovrà anche occuparsi seriamente della questione demografica. Il tempo dell’invecchiamento della Cina è arrivato. Il governo, durante il primo e il secondo mandato, si è occupato dell’aspetto più facile: revocare le restrizioni sul numero di bambini che le famiglie possono avere. Ma solo per ragioni economiche, la cosa non ha funzionato.

Come in Giappone, Taiwan ed Europa, le persone semplicemente non vogliono avere tanti figli a causa delle spese e della pressione economica. Quello che il governo cinese farà al di là di questo è difficile da prevedere. La soluzione più ovvia sarebbe liberalizzare l’immigrazione. Ma Pechino difficilmente acconsentirà. La Cina è quindi bloccata in un dilemma che diventa ogni giorno più serio. Nel terzo mandato di Xi, o quel dilemma verrà affrontato di petto, oppure la Cina dovrà affrontare la stessa moribonda situazione economica e sociale del Giappone, che è diventato un paese dominato dal problema degli anziani.

L’apparato statale del partito cinese è un’entità formidabile e Xi lo ha ottimizzato e concentrato inesorabilmente. La logica è che in questo modo sarebbe stato in grado di affrontare le sfide del paese in modo più efficace, mentre avrebbe intrapreso la difficile transizione verso lo status di reddito medio.

È chiaro ora che questa èra è alle porte. Xi dovrà giustificare i suoi poteri riuscendo nel suo terzo mandato ad affrontare queste questioni fondamentali. La forza con cui ha agito nella campagna anticorruzione ripulendo il partito nei suoi primi cinque anni, e poi snellendo e centralizzando il processo decisionale nei cinque anni seguenti, deve ora essere dimostrata nella gestione di delicate questioni ambientali, sociali e politiche come mai prima d’ora. Questo fa sì che la posta in gioco del terzo mandato di Xi sia molto alta. E dopo le promesse fatte e il potere accumulato, se non riuscisse ad affrontarle sarebbe una catastrofe non solo per lui, o per il suo partito e il suo paese, ma per il resto del mondo.

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