“Essere o non essere” a Hong Kong il 1° luglio 2022? Questa è stata la domanda su cui Xi Jinping ha meditato qualche tempo fa, mentre si avvicinavano due ricorrenze organizzate per quel giorno. Una delle cerimonie avrebbe ricordato i venticinque anni dal trasferimento di sovranità del 1997, che trasformò la colonia britannica in una regione amministrativa speciale della Repubblica popolare cinese (Rpc); un cambiamento che, attraverso la formula di “un paese, due sistemi”, avrebbe visto Hong Kong godere di una certa autonomia nei suoi primi cinquant’anni come parte della Rpc. L’altra cerimonia avrebbe invece visto le dimissioni di Carrie Lam a capo della regione amministrativa speciale di Hong Kong, sostituita da John Lee. 

Xi aveva presieduto due cerimonie simili nel 2017, per il ventennale della regione e per l’insediamento di Carrie Lam alla carica di capo esecutivo, una posizione di governo più o meno paragonabile a quella del governatore nominato a Londra nel vecchio sistema coloniale. L’uomo a capo del Partito comunista cinese dalla fine del 2012 e presidente della Cina dall’inizio del 2013 si è dunque chiesto se quest’anno sarebbe dovuto tornare a Hong Kong per riappropriarsi di questi due ruoli.

Vari osservatori internazionali, me compreso, pensavano che l’uomo forte stesse segretamente meditando la questione mentre i portavoce di Pechino restavano vaghi. Non sappiamo esattamente cosa avesse in mente o se la questione fosse dibattuta nella sua cerchia ristretta, c’è sempre stata molta segretezza nel processo decisionale ad alto livello nella Rpc e le cose sono diventate ancora meno trasparenti in questi anni di Xi. Quello che sappiamo, è che alla fine Xi Jinping è andato a Hong Kong l’ultimo giorno di giugno e lì ha officiato i rituali il 1° luglio, anche se, invece di passare la notte nella regione, si è fermato oltre confine, a Shenzhen. 

Ad ogni modo, si può essere abbastanza certi che all’inizio di quest’anno Xi Jinping abbia ritenuto ci fossero buone ragioni per tornare a Hong Kong, ma che, da leader ossessionato dalla sicurezza, questa volta vedesse anche ragioni per officiare a distanza da Pechino.

L’evoluzione del contesto

Perché andare? Nel 2017 Xi Jinping sembrava divertito dal fatto di presiedere una grande parata per l’insediamento di Carrie Lam. Sembrava anche gli fosse piaciuto tenere un discorso che presentava il 1997 come un glorioso momento di riunificazione tra una città celebre e una nazione che, a suo dire, stava vivendo una fase di grande rinnovamento sotto il suo controllo. Andare a Hong Kong quest’anno avrebbe significato la possibilità di officiare a un’altra parata, presiedere all’inaugurazione di un altro capo esecutivo e tenere un altro discorso auto celebrativo. E in un certo senso, il venticinquesimo anniversario del trasferimento di sovranità era un’occasione particolarmente significativa, perché nel periodo di grazia di cinquant’anni, alla fine del quale Hong Kong sarà integrata nella Rpc ma con i suoi tratti distintivi, i suoi abitanti avrebbero potuto raccontare di quali governanti avessero avuto nel tempo, come mai sotto gli inglesi. Dato che quel periodo va dal 1° luglio 1997 al 1° luglio 2047, il 1° luglio 2022 sarebbe stato esattamente l’anno in mezzo, un momento ideale per osservare quanto la struttura “un paese, due sistemi” stesse funzionando efficacemente.

Perché, invece, Xi Jinping è probabilmente stato tentato dall’idea di starne alla larga? Perché due anni dopo la sua ultima visita a Hong Kong nel 2017, la città ha visto la più grande ondata di proteste della Rpc dai tempi di Tienanmen, proteste che per la maggior parte sono avvenute nella forma di marce non violente, ma occasionalmente hanno visto episodi violenti, soprattutto quando è cresciuta la frustrazione per l’intransigenza ufficiale e per la violenza usata dalla polizia. 

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Quegli eventi del 2019 avevano dimostrato che Lam, che è salita al potere attraverso una selezione truccata, invece che attraverso un processo di elezione aperto, in cui soltanto lei e un altro candidato ritenuti accettabili dal Pcc avevano potuto candidarsi, non fosse amata. Era vista come una persona molto più interessata a compiacere la capitale al nord che a rappresentare e proteggere gli abitanti di Hong Kong, soprattutto dopo aver respinto la richiesta della popolazione di aprire un’inchiesta sulle azioni della polizia, tra queste, l’uso di una quantità senza precedenti di gas lacrimogeno contro le folle e persino l’installazione di bombole con sostanze nocive in spazi chiusi, come nelle stazioni della metropolitana.

Le manifestazioni hanno anche dimostrato una profonda sfiducia in Hong Kong da parte del Pcc. Hong Kong è stata in gran parte vista rinnegare la sua promessa di permettere alla popolazione locale di scegliere i propri leader e godere di un ampio grado di autonomia fino al 2047 e molti, entro il 2019, hanno concluso che il trasferimento di sovranità non avesse tanto liberato la città dal controllo di un impero con una capitale lontana, ma che l’aveva posta sotto il controllo di una capitale distante migliaia, invece che centinaia, di chilometri.

Un ulteriore sviluppo successivo al 2017 che potrebbe aver compromesso l’idea di Xi di andare a Hong Kong è stata la pandemia di Covid-19. Xi ha viaggiato moltissimo nei suoi primi sette anni al potere, ma all’inizio del 2020 ha iniziato a rimanere a Pechino, o almeno nelle vicinanze. Ha fatto comparse a distanza a quel tipo di eventi lontani dalla capitale che prima sembravano esaltarlo, come il Forum economico mondiale di Davos, e dall’inizio della pandemia non ha ancora lasciato la Cina continentale.

Alla fine Xi si è recato a Hong Kong ma ci sono state alcune piccole differenze tra questo viaggio e il suo ultimo. Ad esempio, questa volta il capo esecutivo nominato aveva un’esperienza nella polizia invece che nell’amministrazione pubblica, e mentre Lam era stata scelta tramite un’elezione fittizia in cui era una tra due candidati accuratamente selezionati, Lee è stato scelto mediante un’elezione truccata in cui era l’unico candidato. Anche il paesaggio urbano era diverso: c’erano più barriere protettive rispetto ai precedenti anniversari. Queste e altre differenze tra ciò che è accaduto nel 2017 e ciò che è accaduto nel 2022 dipendono dal fatto che Hong Kong è diventata una città molto più sorvegliata da quando Pechino ha imposto una nuova e severa legge sulla sicurezza nazionale a metà del 2020.

Tra passato e presente

Un altro modo per capire più chiaramente come Hong Kong sia cambiata negli ultimi anni è considerare ciò che non si è verificato quest’anno dell’anniversario (e che per certi versi non sarebbe potuto succedere quest’anno) rispetto a quelli passati. In precedenza, ad esempio, per ogni anniversario importante (qualche volta anche per un anniversario minore), dimostrazioni di massa avrebbero fatto a gara con le cerimonie officiali per guadagnarsi l’attenzione dell’opinione pubblica e della stampa internazionale. I manifestanti avrebbero marciato per tentare di difendere le libertà minacciate o per richiedere un’espansione della democrazia. Quest’anno, dopo l’arresto e l’esilio di numerosi attivisti e l’instaurarsi di un clima di terrore, non ci sono state proteste di massa.

Ma c’è un’altra differenza fra passato e presente sulla stampa. Negli scorsi anniversari alcuni media locali si sono ispirati alla linea adottata dai media continentali e hanno celebrato la fondazione della regione amministrativa speciale come un momento in cui un territorio arretrato, dopo anni di dominazione straniera, era tornato all’abbraccio amorevole della madrepatria. Se un leader veniva da Pechino per l’occasione, c’erano articoli ed emittenti televisive a lodarlo per questo e a dire che tutto funzionava bene con la struttura “un paese, due sistemi”. Ma sarebbe stata solo una scelta episodica.

In passato invece, nelle edicole e sulle frequenze di Hong Kong sono comparsi anche editoriali e articoli che si discostavano chiaramente dagli schemi dei media continentali. C’erano storie che rimproverano il Pcc per aver rinnegato le sue promesse. Nel caso di un dignitario della capitale in visita, sarebbe stato deriso in modi in cui a Pechino non era mai stato deriso, almeno pubblicamente. C’erano storie per criticare il modo in cui l’amministratore delegato fosse scelto ancora una volta attraverso un processo truccato.

Quest’anno, a parte alcune mosse audaci dei media locali online che finora sono sfuggiti alla chiusura, ma potrebbero benissimo essere chiusi con il continuare della repressione, si tendeva a cercare fuori dalla Rpc il tipo di storie che sfidavano la linea del Pcc e che solitamente apparivano regolarmente a Hong Kong.

Forse uno dei motivi per cui Xi ha deciso di andare a Hong Kong è stato che sentiva di poterlo fare in sicurezza. Non solo in senso fisico, ma anche perché sapeva che avrebbe evitato di vedere cose che non avrebbe voluto vedere, ad esempio la folla che chiede di cambiare i titoli dei giornali, sfidando la linea ufficiale.

Una cosa accaduta quest’anno è stata che Xi e i leader locali hanno tenuto discorsi in cui si diceva che la struttura “un paese, due sistemi” era perfettamente funzionante. Se facciamo il bilancio di tutto ciò che è successo e che non è successo il 1° luglio di quest’anno, tuttavia, dovremmo giungere a una conclusione diversa: a metà del 2047, l’approccio “un paese, un sistema” sarà l’ordine del giorno ufficiale.

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