Un terzo ritrovamento delle parti del corpo del ricercatore italiano Alessandro Coatti estende il mistero sulla morte avvenuta nei giorni scorsi a Santa Marta, nel nord della Colombia. Il sindaco della città, Carlos Pinedo Cuello, ha annunciato una ricompensa di 50 milioni di pesos (poco più di 10mila euro) per chiunque abbia «informazioni accurate che ci consentano di identificare e catturare i responsabili», aggiungendo che «i criminali dovrebbero sapere che a Santa Marta non c’è posto per la criminalità».

Secondo il capo della polizia locale, Coatti non aveva rapporti con la criminalità, ed è per questo che la sua morte resta un mistero, perché le modalità del ritrovamento del corpo sono quelle dei paramilitari. Il sindaco però sa che in città c’è una presenza diffusa di paramilitari.

Il 21 gennaio un gruppo chiamato “La Muerte” ha diffuso un video con uomini coperti da passamontagna e armati nel quale dichiarava un coprifuoco in molti quartieri di Santa Marta. «Lo facciamo per quei lavoratori che fanno fatica ad andare avanti, che hanno paura di uscire in strada. Per questo non permetteremo a nessuno di stare in strada dopo le 22».

Un messaggio diretto a «stupratori, criminali, strozzini, a chi gira in moto senza targa e con il volto coperto. O vi adattate o vi faremo adattare noi, promesso». Un tono e una serie di dettagli che tradiscono un’abitudine a questo tipo di azioni sul territorio che in qualsiasi altro luogo sarebbero una prerogativa della polizia o, in uno stato di emergenza, dell’esercito.

Ma la Colombia da questo punto di vista non è un paese normale: qui i paramilitari delle Autodefensas Unidas de Colombia hanno spesso sostituito il governo in quel perenne stato di guerra a bassa intensità iniziato negli anni Sessanta con la nascita del gruppo guerrigliero Farc, sulla scia dei movimenti rivoluzionari che stavano attraversando mezzo mondo. Alle Farc si accodarono altri movimenti marxisti-leninisti come M19 e Eln, ma anche quelli che nacquero in risposta al “pericolo comunista”.

Quello colombiano è il conflitto a bassa intensità più longevo d’America e oggi non è ancora terminato: a gennaio nella zona di Cucuta, al confine con il Venezuela, sono ripresi gli scontri tra Eln e alcuni dissidenti delle Farc, con la dichiarazione dello stato di emergenza e l’invio dell’esercito da parte del presidente Gustavo Petro, ex guerrigliero e primo presidente progressista nella storia della Colombia.

«Avevamo grandi speranze quando il presidente Santos trattò con le Farc e convocò il referendum nel 2016», racconta Audes Jimenez, presidente dell’ente Unida para las victimas. «Quando venne bocciato per pochi voti il processo di pace andò comunque avanti e questo ci aveva fatto sperare: le Farc avevano consegnato le armi e iniziato un percorso di inclusione nella società». Con il cambio di presidente e l’elezione di Duque, contrario agli accordi, lo Stato non mise in campo quello che aveva promesso, ma soprattutto non cercò di allargare l’intesa agli altri gruppi armati ancora in attività.

Il caso Paciolla

Il percorso di pace lo stava seguendo l’italiano Mario Paciolla per conto delle Nazioni Unite, lui stesso denunciava le difficoltà nel portarlo avanti, fino alla sua morte nel luglio 2020, quando è stato trovato nel suo appartamento San Vicente del Caguan, nel sud della Colombia. La versione ufficiale è quella del suicidio, ma nessuno crede a questa versione. Paciolla aveva comprato un biglietto aereo per rientrare in Italia due giorni dopo e, cosa strana mai successa in passato, aveva detto ai genitori che la situazione era pesante e aveva discusso con i suoi capi. La sua morte ancora resta un mistero anche a causa della sparizione del suo computer, del telefono e del suo taccuino che avrebbero potuto raccontare i suoi ultimi giorni di vita.

Negli anni i paramilitari si sono legati al narcotraffico, e la produzione della cocaina è molto più produttiva di qualsiasi accordo che il governo possa proporre, e oggi spedizioni, rapimenti e uccisioni sono ancora all’ordine del giorno. «Hanno attirato mio figlio di 18 anni con la promessa di un lavoro, si è trasferito da Santa Marta e ha fatto appena in tempo a telefonarmi per dirmi che era una trappola, che lo avevano arruolato forzatamente in un gruppo armato legato ai narcotrafficanti», ci racconta Maria, che oggi vive a Bendición de Dios, una baraccopoli alle porte di Barranquilla dove ci sono dei gruppi armati e dove spera di avere notizie di suo figlio, («vorrei sapere se è vivo o morto»). Ha lasciato il lavoro come addetta delle pulizie a Santa Marta e oggi vive grazie a un progetto di auto imprenditoria della ong italiana Cesvi.

Come lei tantissime donne sono alla ricerca dei figli o dei mariti, molte di loro sono state violentate: «I paramilitari della zona di Cordoba mi hanno violentata davanti a mio marito per convincerlo a dargli dei soldi che non avevamo», racconta una donna che incontriamo a Ciudad Equidad, uno dei quartieri dove “La Muerte” ha imposto il coprifuoco. Questo quartiere è stato costruito dal governo per accogliere alcune decine di migliaia di sfollati interni e vittime del conflitto, le storie delle famiglie sono legate alla storia della Colombia e alla violenza che l’ha investita. «Mio marito è stato rapito, per dieci anni l’ho cercato invano fino a quando la polizia ci ha chiamato e ha prelevato il sangue di mio figlio, il Dna coincideva con quello di un corpo fatto in 35 pezzi fatto ritrovare in una cassetta di legno», ci racconta un’altra donna.

Le modalità sono quelle dei paramilitari, una morte che serve da avvertimento ad altre bande e per segnare il territorio. Per questo la morte di Coatti è un mistero, visto che era appena arrivato a Santa Marta e che non aveva contatti con gruppi armati della zona.

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