Quali sono le opzioni veramente praticabili per una difesa del Vecchio Continente? Se si volesse fare a meno delle strutture operative dell’Alleanza atlantica, un’opzione di riserva potrebbe essere rappresentata da un accordo fra i paesi europei interessati a costruire una capacità militare comune permanente, basata su un trattato ad hoc
Difesa dell’Europa e difesa europea non sono affatto sinonimi. La prima è stata garantita, per oltre 75 anni, dalla presenza americana sul continente e dalla Nato, sia come organizzazione politico-militare integrata che come “deterrente di ultima istanza” rispetto ad eventuali “attacchi armati” contro suoi membri.
La seconda era stata abbozzata dopo il 1945, quando il sostegno americano era ancora incerto e il riarmo tedesco (occidentale) ormai necessario, e poi messa di fatto da parte dopo il 1955, con una netta separazione di responsabilità fra sicurezza (l’Alleanza) e integrazione economica (la Comunità) del continente.
È stato soltanto in quest’ultimo quarto di secolo che l’Unione si è via via impegnata in una serie di limitate missioni di mantenimento della pace e gestione di crisi (che sono altra cosa rispetto alla “difesa” in senso stretto, anche se hanno una dimensione militare) all’esterno del suo territorio: dai Balcani al Medio Oriente, dall’Africa sub-sahariana al Mediterraneo allargato. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, tuttavia, ha riavvicinato le due “difese”, stimolando anche gli appelli – tanto frequenti quanto generici, soprattutto in Italia – ad una “difesa comune” e perfino ad un “esercito europeo”. Ma quali sarebbero le opzioni davvero praticabili?
Vincoli, sfide e opportunità
Cominciamo dai trattati Ue, che non contemplano una “difesa comune” se non in seguito ad una decisione unanime del Consiglio europeo: l’articolo 42 Tue, inoltre, specifica che per i paesi Nato valgono gli impegni assunti in quell’ambito per la loro “difesa collettiva”, e per gli altri – attualmente Austria, Irlanda, Malta e Cipro – i “caratteri specifici” della loro neutralità (un mantra che è stato ripreso anche nelle scarne conclusioni dell’ultimo vertice dei 27).
I trattati si possono modificare, naturalmente, ma le procedure richieste – stretta unanimità dall’apertura (e condotta) dei negoziati fino alle ratifiche nazionali (referendum inclusi) – scoraggiano ormai ogni tentazione in questo senso. Nella sfera militare, inoltre, la Commissione non dispone dei poteri e delle risorse che, in altri ambiti dell’azione comunitaria, le hanno spesso consentito di far avanzare dossier controversi: può solo proporre – come ha appena fatto – incentivi di politica industriale e commerciale.
A differenza della Nato, infine, l’Ue non dispone di un vero e proprio quartier generale militare né di basi o forze proprie, e tantomeno dell’esperienza operativa e della cultura “aziendale” (essenzialmente anglo-americana) accumulate dall’Alleanza attraverso i decenni. Perfino l’imminente passaggio della guida del Comitato militare dell’Unione da un generale austriaco ad uno irlandese testimonia del modesto livello di ambizione dell’attuale politica di sicurezza e difesa dell’Ue, condizionata dalle divergenze strategiche fra i suoi membri e da un’evidente carenza di leadership e capacità.
Non è un caso, quindi, che si sia ricominciato a discutere del cosiddetto “pilastro” europeo della Nato, un concetto e un formato che erano già stati all’ordine del giorno negli anni Novanta, allorché la fine della guerra fredda faceva presagire una riduzione della presenza americana, ma l’esigenza di garantire la sicurezza (ad esempio nei Balcani) imponeva di salvaguardare il prezioso toolbox militare rappresentato dall’Alleanza.
Sulla carta, quel concetto – accettato a suo tempo da Bill Clinton ma mai davvero messo in opera – avrebbe comportato l’utilizzo delle strutture di pianificazione e degli standard operativi della Nato per l’esecuzione di missioni da parte di task force composte di soli militari europei («separabili ma non separate», secondo la terminologia dell’epoca) sotto l’autorità del vice-comandante militare supremo dell’Alleanza (di solito britannico). Questo formato divenne tuttavia presto impraticabile anche a causa del progressivo deterioramento delle relazioni fra la Turchia e i membri della Ue, dovuto in parte anche alle modalità con cui Cipro aveva aderito all’Unione. Oggi, tuttavia, l’eventuale riattivazione di un “pilastro” (o braccio) europeo dipenderebbe in modo determinante dalla disponibilità della Casa Bianca e del Pentagono a consentire, appunto, l’uso delle capacità collettive dell’Alleanza per operazioni senza diretta partecipazione americana.
Un esercito europeo?
Qualora (per qualsiasi motivo) il toolbox Nato non fosse disponibile – e in attesa anche di capire quale sarà il futuro delle basi e delle forze propriamente americane in Europa – un’opzione di riserva potrebbe essere rappresentata da un accordo fra i soli paesi europei interessati a costruire una capacità militare comune permanente: un “esercito europeo”, appunto, traducibile in termini algebrici in una nuova organizzazione a 27 - x + y (dove la x starebbe per i paesi Ue non interessati e la y per i paesi non-Ue interessati) e basata su un trattato ad hoc che ne definisca i requisiti di partecipazione (capacità e volontà), la struttura operativa (catena di comando e tipo di forze) e l‘accountability politico-istituzionale (chi ne decide l’impiego).
Si tratta di un’opzione tutt’altro che semplice, però, da realizzare – oltre che molto costosa – anche se le circostanze potrebbero finire per imporla. Esistono solo due precedenti storici comparabili: la Comunità europea di difesa (1951-54), mai davvero lanciata a causa della mancata ratifica parlamentare del suo trattato istitutivo da parte della Francia, e l’Unione dell’Europa occidentale (1955-2011), mai davvero utilizzata perché resa di fatto superflua prima dall’Alleanza atlantica poi dalla stessa Unione europea.
In entrambi i casi, tuttavia, sarebbe spettato alla leadership Nato decidere del loro possibile impiego. È anche per questo che le consultazioni in corso sull’eventuale coalizione di “volonterosi” rappresentano in certa misura – anche se alla fine non ci fossero le condizioni per dispiegarla in Ucraina – un primo test per la futura difesa dell’Europa da parte degli europei.
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