Dei tanti fattori che influenzano la geopolitica, intesa come studio dell’interazione tra le collettività, l’opinione pubblica è forse uno dei più rilevanti. Campo d’azione volubile e sfuggente, lo studio del clima d’opinione, delle tendenze, delle credenze è però uno strumento di lettura imprescindibile se vogliamo provare a comprendere la traiettoria di un paese. Perché dalle percezioni diffuse nella popolazione nascono gli orientamenti, dagli orientamenti gli atteggiamenti, dagli atteggiamenti i comportamenti. Proviamo allora a capire, seguendo questa impostazione, come l’opinione pubblica italiana sta seguendo il conflitto in Ucraina.

Prima del conflitto

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C’è un punto dal quale dobbiamo partire: quello delle opinioni che risalgono a prima dell’invasione russa.

Un’indagine condotta da YouGov a gennaio di quest’anno poche settimane prima dell’aggressione di Putin, metteva in evidenza un dato: tra gli otto paesi testati – le cinque principali nazioni europee, più gli Stati Uniti, Svezia e Danimarca – l’Italia era il più “filorusso”. Appena il 25 per cento degli intervistati italiani diceva di considerare la Russia una minaccia, contro il 36 dei francesi, il 41 dei tedeschi, il 57 dei britannici e il 58 degli americani.

Ancora più indietro nel tempo, i sondaggi ci restituivano un quadro analogo. Nel 2017, per esempio, una rilevazione di Demos illustrava che ben il 43 per cento degli italiani aveva un’opinione positiva della Russia, anche qui superando ampiamente i “russofili” in Francia (34 per cento), Germania (24 per cento) e Regno Unito (20 per cento). L’atteggiamento generalmente amichevole degli italiani nei confronti dei russi – soprattutto se messo di fianco alle diffidenze degli altri paesi occidentali – era insomma radicato e consolidato.

Almeno una parte di questa benevolenza aveva a che fare con la figura di Vladimir Putin, oggi l’aggressore dell’Ucraina, descritto dal presidente Joe Biden come paria della politica internazionale, ma a lungo temuto, se non rispettato o amato, da ampi settori della società e della politica italiana. Il punto più alto di questa parabola si può ritrovare tra il 2018 e il 2019, all’epoca del primo governo Conte, l’esecutivo giallo-verde espresso dai più vicini a Putin tra i partiti italiani, Movimento 5 Stelle e Lega.

Una rilevazione dell’istituto Demos di luglio 2019 collocava Putin al secondo posto tra i leader internazionali più apprezzati dagli italiani, con un livello di fiducia del 43 per cento, appena dopo Angela Merkel (47 per cento). Per avere una pietra di paragone, il presidente francese Emmanuel Macron era appena al 27 per cento.

Quel che rileva, però, è che la spinta alla postura amichevole nei confronti di Putin tenuta da molti partiti italiani all’epoca rifletteva largamente gli orientamenti degli elettorati. Nella base elettorale della Lega Putin era apprezzato dal 65 per cento, seguito da Trump al 58 per cento e Marine Le Pen al 47 per cento; tra gli elettori dei Cinque stelle i riferimenti preferiti erano ancora Putin (49 per cento) e Trump (40 per cento).

D’altra parte, il profilo di Putin affascinava – e in parte affascina tuttora – strati significativi del mondo sovranista, che guardava al leader russo come archetipo del presidente guerriero-stratega, forte al punto di potersi permettere di illuminare contraddizioni e limiti dell’occidente, anche nel richiamo di certi valori tradizionali cari ai settori conservatori delle opinioni pubbliche, in Italia come in America.

Lo sguardo che negli ultimi anni la società italiana ha riservato alla Russia di Putin è stato insomma largamente favorevole, in particolare se confrontato non già con quello americano o britannico, ma anche solo con quello francese o tedesco. Almeno, fino alla guerra scatenata dal Cremlino il 24 febbraio.

Tra le conseguenze dell’aggressione militare in Ucraina abbiamo assistito in effetti a uno smottamento in tutte le opinioni pubbliche occidentali, inclusa quella italiana, anche se forse la svolta del nostro paese è per certi aspetti più prudente di quella vista in Germania, Scandinavia e Stati Uniti.

Certo, in Italia sono emersi da subito segnali di grande timore legato all’evoluzione del conflitto. Un sondaggio di Ipsos, pochi giorni dopo l’invasione, stimava addirittura un 94 per cento di italiani preoccupati. Il 43 per cento diceva di temere una Terza guerra mondiale con il coinvolgimento diretto dell’Italia. L’invasione russa ha rappresentato, del resto, uno sviluppo così dirompente da riuscire a soppiantare in poche ore, nella mappa delle nostre percezioni, la pandemia. Tutte le metriche che ci consentono di leggere l’agenda del dibattito pubblico – dai sondaggi alle conversazioni social ai volumi di ricerca su Google – testimoniano questa repentina inversione di priorità.

La svolta della guerra

La paura si è accompagnata da subito a una generale, larghissima condanna dell’azione di Putin, con un rovesciamento della tradizionale benevolenza di cui abbiamo detto sopra. Il 95 per cento degli italiani considera grave l’aggressione della Russia in Ucraina, anche se tra questi c’è un 18 per cento che, pur nella disapprovazione della mossa di Putin, riconosce alcune ragioni ai russi (dati Demos).

Anche alla luce di quanto visto prima, colpisce che la condanna “senza appello” dell’intervento militare in Ucraina sia condivisa dalla stragrande maggioranza di tutti gli elettorati: l’84 per cento tra chi vota Pd, l’83 tra gli elettori del Movimento 5 Stelle, l’82 di Forza Italia, il 79 della Lega, il 73 di Fratelli d’Italia. Dati che, insieme al larghissimo sentimento di solidarietà verso i profughi ucraini, potrebbero spiegare lo sfortunato tentativo di inversione di rotta messo in scena da Matteo Salvini al confine polacco.

D’altra parte, in Italia la preoccupazione per ciò che sta avvenendo in Ucraina sembra assumere più i contorni di una paura per le conseguenze economiche della crisi che per quelle diplomatico-militari. Nei sondaggi condotti dai diversi istituti demoscopici in questi giorni, la grandissima parte degli italiani – tra il 70 e l’80 per cento, a seconda della formulazione della domanda – si dice preoccupata per i possibili effetti sulla propria situazione economica. Tanto che, nonostante in tutti i sondaggi emerga grande approvazione per le sanzioni decise contro la Russia, affiorano elementi di prudenza. Secondo Swg, la maggioranza relativa degli italiani (39 per cento) ritiene che dopotutto le grandi aziende italiane che intrattengono relazioni commerciali con la Russia dovrebbero adottare un atteggiamento cauto, valutando la possibile interruzione di alcuni rapporti, senza mettere a rischio il proprio business.

La circospezione italiana è evidente anche negli orientamenti sull’ipotesi di un impegno sul piano militare. Il 60 per cento degli italiani è, per Euromedia, contrario alla partecipazione di nostre truppe nel conflitto, anche nel quadro di un intervento Nato. Sembra esserci divisione, nella nostra opinione pubblica, anche sull’ipotesi di invio di armi in Ucraina da parte di paesi europei, secondo Emg (43 per cento di contrari e 39 per cento di favorevoli).

Benessere individuale

L’invasione russa sembra insomma aver aperto un capitolo nuovo nell’opinione pubblica italiana, fino a poche settimane fa abituata a considerare la Russia – generalmente ricambiata – un paese amico, più che una minaccia. Oggi prevale la preoccupazione per la destabilizzazione innescata da Putin, fino a poco tempo fa ritenuto da molti in Italia un modello di leadership, la cui immagine pubblica rischia ora di essere danneggiata irreparabilmente, nel nostro paese come in Europa.

Conta certamente anche il contrasto tra il presidente aggressore e il presidente aggredito, l’ucraino Volodymyr Zelensky, capace di parlare non solo ai suoi connazionali ma anche a noi, grazie a un’efficacissima presenza comunicativa e social.

Eppure, sbaglieremmo a sottovalutare la possibilità che la fiammata di solidarietà, preoccupazione, attivismo che testimoniamo oggi in Italia possa affievolirsi con la stessa rapidità con cui si è accesa. Soprattutto se scemerà la preoccupazione per l’escalation militare e inizierà a subentrare quella per le conseguenze economico-sociali di un prolungato conflitto. Uno scenario più che coerente con la percezione di sé di un paese che sembra aspirare primariamente a mantenere il proprio benessere, più che a considerarsi attore di ciò che accade nel mondo. Anche quando è un pezzo di mondo che sentiamo molto vicino.

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