Gli Stati Uniti mettono alla prova gli alleati della Nato, il segretario dell’alleanza Jens Stoltenberg si appella ad «aiuti» dai vari stati membri.

Per quello che riguarda l’Italia, siamo già sul campo, con uomini, navi e aerei in punti cruciali dell’Est Europa. Entro certi limiti, l’impegno militare del nostro paese è persino amplificabile senza passaggi parlamentari. Ecco le forze già sullo scacchiere, e fino a che punto è possibile implementarle immediatamente.

Cifre da record

La premessa è che con il governo di Mario Draghi le spese militari nel loro complesso stanno raggiungendo cifre da record. Per la Difesa, il sostegno all’industria militare, nuove armi, missioni, spendiamo per il 2022 circa 26 miliardi, oltre il tre per cento in più rispetto all’anno prima.

Non una eccezione ma una tendenza: rispetto a prima della pandemia, le spese militari dell’Italia sono in grande aumento: il 20 per cento in più negli ultimi tre anni; se ci si limita all’acquisto di nuove armi, l’aumento negli ultimi tre anni è di quasi il 74 per cento (4,7 miliardi nel 2019 e oltre otto ora, cifra inedita).

Missioni in corso

L’osservatorio sulle spese militari italiane, Milex, ha ricostruito che, nell’eventualità che le tensioni sfocino in conflitto aperto, «l’Italia si ritrova in prima linea coi suoi assetti militari, terrestri ma soprattutto aerei e navali, che partecipano a missioni Nato a presidio dei confini orientali dell’alleanza atlantica a un costo complessivo attuale di circa 78 milioni di euro».

Le missioni in questione sono in Romania, nel Mediterraneo orientale e in Lettonia. Sono già previste e già finanziate, finora sono state considerate di routine «ma ora possono diventare altro, anche perché possono essere potenziate e c’è margine per farlo senza ulteriori passaggi parlamentari» dice Enrico Piovesana di Milex. Già oggi, con i documenti approvati la scorsa estate, c’è una soglia entro la quale gli assetti militari possono essere ampliati. Da subito, quindi.

Sul campo

In Romania, in una base aerea poco lontano dal confine con l’Ucraina, Roma ha mandato la “Black storm”, la tempesta nera, o meglio i quattro caccia typhoon. Trentatré milioni di euro sono stati stanziati per l’air policing, cioè la sorveglianza dello spazio aereo Nato. I quattro aerei possono da subito diventare 12, gli uomini (piloti, tecnici, personale e militari dell’aeronautica) possono già aumentare dai 140 attuali fino a 260. L’Italia non è presente solo via aria ma anche via terra: in Lettonia, altro potenziale fronte orientale nell’eventualità di conflitto, ci sono circa 200 alpini italiani, decine di carri armati Centauro e cingolati da neve. Per questo assetto, e per questa missione che è la “Baltic Guardian” della Nato, Roma ha già stanziato nel 2021 più di 27 milioni. Le forze possono essere ampliate: fino a 238 uomini e 135 mezzi terrestri.

Navi e missili

Anche via mare l’Italia partecipa alle missioni di «sorveglianza navale» della Nato, nel Mediterraneo orientale e nel mar Nero. Con un finanziamento del 2021 che supera i 17 milioni, la nostra marina ha già schierato duecento suoi uomini, una fregata e una nave cacciamine. Si può accodare anche una ulteriore unità su richiesta (“on call”) e proprio nei paraggi si trova ora una portaerei italiana con f35 a bordo. «Anche semplicemente muovere una nave dotata di bombardieri pure nucleari può essere un deterrente», nota Piovesana. Questa nave si chiama Cavour. Si trova nel Mediterraneo dove da poco è cominciata l’esercitazione “Neptune strike” ed è con la Truman e la de Gaulle, con Usa e Francia. Le tre si trovano nel mar Mediterraneo in risposta al dispiegamento di navi russe.

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