La condanna di Jimmy Lai, il “Murdoch d’Asia”: per Hong Kong si chiude un’era

Con la condanna per «sedizione» e «collusione con potenze straniere» di Jimmy Lai, l’uomo simbolo della Hong Kong che si oppone(va) al Partito comunista cinese, si è affermata definitivamente la restaurazione di Pechino dopo i moti che, tra il 2019 e il 2020, sconvolsero l’ex colonia britannica. Il processo che potrebbe costringere Lai in carcere fino all’ultimo dei suoi giorni (la pena non è stata ancora ufficializzata) è stato politico – come denunciano le organizzazioni per la difesa dei diritti umani – e, al tempo stesso, in punta di diritto. Infatti contro il settantottenne magnate sono state applicate le norme della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, varata da Pechino il 30 giugno 2020 con un chiaro obiettivo politico: punire i protagonisti del movimento di massa che per mesi mise a soqquadro il Porto profumato. E, dopo gli arresti di decine di attivisti e avvocati, e la fuga di centinaia di militanti con passaporti esteri, con il giudizio contro Lai si è chiuso il cerchio. Secondo il governatore di Hong Kong, l’ex poliziotto John Lee Ka-chiu, «Lai ha a lungo sfruttato il suo organo di stampa, Apple Daily, per fomentare deliberatamente conflitti sociali, incitare divisione e odio, glorificare la violenza e invocare apertamente sanzioni straniere contro la Cina e Hong Kong» e le 850 pagine della sentenza sono supportate da «prove inconfutabili». Le torri di Hong Kong divorate dalle fiamme della speculazione edilizia Il Murdoch d’Asia Fuggito a 12 anni dalla Cina maoista, operaio adolescente in un’industria tessile, a Hong Kong il cattolico Lai (in aula c’era anche il vecchio cardinale Zeng) ha fatto fortuna (1,2 miliardi di dollari di patrimonio), prima come imprenditore nel settore dell’abbigliamento, e poi con i media, il “Murdoch d’Asia” è diventato una spina nel fianco del partito comunista, che lo accusa di essere stato una “pedina” di potenze straniere. Next Media fu fondato dopo il massacro di Tiananmen a Pechino (3-4 giugno 1989), portando avanti, nella Hong Kong ancora sotto dominio britannico, una campagna incessante contro la leadership di Pechino. Apple Daily (chiuso anch’esso nel 2021) è stato l’organo ufficiale del movimento pro-democrazia nelle sue varie fiammate, dal 2003 al 2019, e ha dato ampio spazio anche alle frange più estreme dell’indipendentismo hongkonghese, con annessi attacchi razzisti contro gli abitanti della Cina continentale. Nello stesso tempo i quattrini di Lai hanno finanziato la mobilitazione, mantenendola viva per mesi. Oltre al sostegno alla rivolta, Pechino non gli ha perdonato i legami con i governi stranieri, a cominciare da quello statunitense. Google ha oscurato l’inno delle proteste di Hong Kong Scaricato da Trump I pubblici ministeri hanno proiettato in aula le slide sulle «connessioni politiche esterne» di Lai: Trump, e l’ex vicepresidente Mike Pence, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo e l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, ovvero i falchi anti-Cina della prima amministrazione Trump. Il 18 settembre 2019 Apple Daily prese la clamorosa iniziativa di pubblicare una lettera che i lettori potevano inviare a Trump, per sollecitare l’intervento degli Stati Uniti e chiedere sanzioni contro la Cina e Hong Kong, in linea con lo Hong Kong Human Rights and Democracy Act varato nel 2019. Il sostegno degli Usa e di altri governi occidentali a quella protesta, a tratti violenta e indipendentista, è stato inefficace (così come a nulla è servita la comparsata in aula del personale di una dozzina di consolati), finendo per soffiare su un fuoco che non poteva che spegnersi nel più triste dei modi, con una riduzione delle autonomie, a cominciare da quella politica, della quale Hong Kong è stata totalmente spogliata. L’oasi delle librerie indipendenti, Hong Kong resiste alla censura Questo per il combinato disposto dell’ascesa economica della Cina continentale, mentre si avviano a scadenza (nel 2047) le autonomie previste dalla Basic Law, la “costituzione” negoziata con l’ex potenza mandataria entrata in vigore nel 1997. Trump già allora non poté che assistere impotente alla repressione del movimento ed è ancora più difficile che possa fare qualcosa oggi (si dice che della questione abbia discusso nel faccia a faccia con Xi Jinping del 30 ottobre scorso), dal momento che per la Cina quella di Lai è una condanna esemplare, mentre per Tariff Man (atteso a Pechino ad aprile) la priorità è quella di mantenere relazioni economico-commerciali stabili con Pechino. I suoi sostenitori raccontano che, essendo venuto dal nulla, Lai non aveva paura di perdere tutto: per questo, pur avendo passaporto britannico, piuttosto che riparare all’estero ha scelto di rimanere nella metropoli che gli ha permesso di diventare il “Murdoch d’Asia” e affrontare la dura legge di Xi Jinping. La strategia di Pechino per liquidare Hong Kong