Le avvisaglie continuavano a moltiplicarsi. Da mesi l’M23, la micidiale milizia gestita da tutsi congolesi fedeli al Rwanda che semina il panico nell’area dei Grandi Laghi, avanzava indisturbata e prendeva possesso una dopo l’altra di città del Kivu del Nord e del Sud, in pieno territorio della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Le ultime in ordine di tempo erano state Minova, Kivu del Sud, e Masisi, Kivu del Nord.

Poi, quello che si temeva ma che non si immaginava con tale rapidità e irruenza è successo. Lo scorso weekend il temibile gruppo armato è arrivato a Goma, la capitale del Kivu del Nord, città strategica per posizione e per le infinite risorse di cui è ricca, tra le quali il preziosissimo coltan, oro e diamanti, conquistandola quasi interamente.

Addio elettricità

C’è incertezza per quanto riguarda le vittime, fonti locali riferiscono che circa un centinaio di persone, tra cui soldati, sono state uccise e altre ferite durante gli scontri e aggiungono che le strutture mediche di Goma, ora prive di elettricità, sono sovraccariche e hanno superato di gran lunga la loro capacità. È possibile invece quantificare con una certa precisione la massa di abitanti in fuga che secondo l’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), solo dall’inizio del 2025, sarebbero più di 400 mila.

Vanno ad aggiungersi ai circa 4,5 milioni di sfollati che risiedono nelle sole province orientali del Nord e del Sud Kivu, un popolo che continua a muoversi senza sosta per sopravvivere e che, assieme al Sudan, entra per triste merito in testa alle classifiche delle crisi umanitarie peggiori del mondo, venendo, esattamente come il Sudan, sistematicamente ignorato dalla comunità internazionale.

Secondo fonti raggiunte con difficoltà, al momento l’M23 ha il controllo del 90 per cento della città di Goma. La situazione, quindi, dopo giorni di intensi combattimenti tra l'M23 e la coalizione Fardc-Wazalendo (rispettivamente le forze armate congolesi e le milizie fedeli ai governativi, ndr), è tornata a una relativa calma dalla mattina di mercoledì 29 gennaio.

La popolazione, stremata e inferocita, è scesa in piazza inscenando proteste in tutto il Congo. Ce l’ha certamente con Paul Kagame, presidente del Rwanda che ritiene il vero artefice dell’occupazione dell’est del paese. Ma anche con Felix Tshisekedi, presidente della Rdc, colpevole di assistere inerme al massacro. Sullo sfondo, l’infinita e mai sanata ferita dei conflitti nella regione dei Grandi Laghi, che comprende il genocidio in Rwanda del 1994 e la cosiddetta Guerra mondiale africana. Kagame nega che il Rwanda stia armando l'M23 e rilancia sostenendo che l'M23 sta semplicemente difendendo i diritti della minoranza tutsi del Congo, il suo gruppo etnico, sterminato nel genocidio del 1994. Tshisekedi attacca l’imperialismo rwandese ma deve difendersi da accuse pesanti.

«La popolazione – spiega Freddy Ruvunangiza, giornalista freelance di Goma, collaboratore della testata LaPrunelleRDC - protesta sia contro Tshisekedi che contro Kagame. La responsabilità è condivisa. I congolesi accusano Kagame di sostenere l'M23 mentre Kigali nega insinuando invece che il vero problema sia la collaborazione tra Kinshasa e le Fdlr, milizie che il Rwanda considera responsabili del genocidio. Ma una parte del nostro popolo non ne può più di Tshisekedi perché accusato di aver firmato accordi segreti che hanno indebolito il paese e di non aver mosso un dito per risolvere la crisi di sicurezza nell'est del Congo».

La Singapore d’Africa

l 22 gennaio, le scuole di Goma e Nyiragongo sono state chiuse a causa degli scontri in corso. Le strutture sanitarie, come detto, sono al collasso e faticano a curare i pazienti gravemente feriti a causa della carenza di energia elettrica e di acqua. L'aeroporto di Goma è chiuso dal 26 gennaio, con conseguente sospensione del traffico aereo, compresi i cargo umanitari. Anche la maggior parte delle strade che collegano Goma al resto del Paese sono state interrotte.

Oltre a Goma e centri limitrofi, i ribelli dell'M23 mercoledì 29 gennaio hanno preso il controllo dei villaggi di Kiniezire e Mukwija, Kivu del Nord, senza neanche combattere mentre sarebbero in procinto, come riferisce il giornalista Ruvunangiza, di conquistare anche il polo minerario di Nyabibwe, nel Kivu del Sud, un importante centro per l'estrazione di cassiterite e altri minerali strategici.

La questione dei minerali è ovviamente cruciale. Il Rwanda, ribattezzato il “Singapore d’Africa” per la sua spettacolare crescita economica e per l’aumentato peso internazionale raggiunti dopo un devastante genocidio occorso solo 31 anni fa, punta da decenni alle miniere dell’est del Congo. A questo fine, gli capita spessissimo di sconfinare e di farlo, come in questo caso, con molta violenza.

Le denunce della comunità internazionale, una volta compatte e resolute, si sono andate via via affievolendo. Come riporta il New York Times, il piccolo paese da 14 milioni di abitanti, nell'ultimo decennio ha rafforzato vistosamente la sua reputazione tra le potenze occidentali conquistando l’invidiabile posizione di riferimento per molti stati. In questa direzione si possono segnalare una serie significativa di eventi.

Innanzitutto, il controverso accordo, poi bocciato, trovato con l’Inghilterra per deportare i richiedenti asilo.

Poi il contributo che il Rwanda attualmente offre alle Nazioni Unite, fornendo il secondo maggior numero di Caschi Blu. È un contingente che gestisce situazioni molto delicate tra le quali il contrasto a una potente milizia jihadista nell’area di Cabo Delgado, in una zona del Mozambico dove, guarda caso, un gigante petrolifero francese ha un progetto di gas da 20 miliardi di dollari.

Nel 2024, infine, l'Unione Europea ha firmato un accordo strategico proprio sui minerali con il Rwanda, ben sapendo che molti vengono estratti illegalmente in Congo e guadagnandosi le ire di molti gruppi per la difesa dei diritti umani che accusano l’Unione Europea di alimentare il conflitto.

È un paese troppo utile per venire convintamente richiamato e sanzionato.

© Riproduzione riservata