Byun Hee-soo, prima soldatessa transgender della Corea del Sud, è stata trovata morta. Lo riporta la Bbc. L’attivista per i diritti Lgbt aveva 23 anni ed era stata congedata dall’esercito dopo aver subito l’intervento per il cambio di genere. Le cause della morte non sono ancora note, ma era scomparsa dalla sua abitazione il 28 febbraio. Ad allertare i servizi di emergenza per iniziare le ricerche è stato il suo psicologo, il quale si era preoccupato non avendola più sentita. 

Chi era Byun Hee-soo

A gennaio dell'anno scorso aveva lanciato una storica sfida alle forze armate della Corea del Sud, paese estremamente conservatore in tema di identità sessuale, ma a luglio la sua richiesta di essere reintegrata nell'esercito era stata respinta dopo l’operazione. A dicembre, la Commissione sudcoreana per i diritti umani ha invece stabilito che la sua espulsione dall'esercito non aveva basi legali.

Byun era stata presa da mira anche dai movimenti anti-Lgbt, i quali quando la sua storia era venuta fuori avevano organizzato manifestazioni per chiedere all'esercito di cacciarla via.

Caccia alle streghe

Nel 2017 diverse associazioni per la difesa dei diritti Lgbt hanno denunciato una vera e propria persecuzione, all’interno dell’esercito sudcoreano, nei confronti di chi dichiarava di essere omosessuale o transgender. L’ordine emesso dal generale Jang Jun-kyu era quello di identificarli, per poi punirli o più semplicemente espellerli. I militari hanno stilato una lista di circa 50 nomi, come ha riportato all’epoca dei fatti il Military Human Rights Centre of Korea (Mhrck, un’organizzazione di difesa dei diritti umani all’interno dell’esercito).

Qualora i sospetti non riuscivano a essere accertati, i militari avevano l’autorizzazione di procedere per vie traverse. Come riportato sempre da Mhrck sono stati infatti creati diversi account falsi su siti di incontri coreani per svelare l’orientamento sessuale dei colleghi presi di mira, prima di essere denunciati. 
L’omosessualità all’interno dell’esercito nella Corea del Sud è vietata dalla legge, ai sensi dell’articolo 92 del codice penale militare, secondo il quale ogni «rapporto sessuale fra persone dello stesso sesso viene individuato come stupro» e punito con una condanna che può raggiungere i due anni di reclusione. 
L’esercito sudcoreano ha sempre negato la persecuzione degli omosessuali e dei transgender al suo interno, nonostante diverse denunce anonime fatte a media internazionali e raccolte dalle associazioni Lgbt da parte di commilitoni che erano stati espulsi o si trovavano sotto inchiesta da diversi mesi. 

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