Le potenzialità delle nuove tecnologie informatiche (Ict) sono sempre state evidenti agli occhi di tutte le élite del mondo sia che si trattasse di avviare processi inclusivi della cittadinanza nei processi decisionali, sia come efficace strumento di mobilitazione e protesta, come nel caso delle opposizioni politiche ai regimi illiberali.

Anche il presidente Vladimir Putin, sin dal suo primo mandato, ha avuto un atteggiamento favorevole al potenziamento di queste tecnologie, puntando sulla riduzione del digital divide nel vasto territorio russo che ha consentito di passare dal 33 per cento di penetrazione territoriale di internet nel 2009 al 76 per cento del 2018. In questi decenni gli investimenti statali del governo russo nell’internet policy hanno determinato un’escalation del settore digitale nel paese dove circa l’84 per cento della popolazione possiede un computer. Mentre le vecchie generazioni guardano con sospetto le nuove tecnologie, l’85 per cento dei russi utilizza un accesso internet per collegarsi ai social media. Il più importante è VKontakte (primo social in Russia e quindicesimo nel mondo) che amalgama blogger e comunità di follower, seguito da Instagram, Twitter e WhatsApp.

La decisione dei proprietari di alcuni social media di bloccare gli account di Donald Trump, reo di aver istigato i suoi “seguaci” all’insurrezione politica contro il Campidoglio, sta costituendo oggetto di dibattito politico, giuridico ed etico.

In Russia questa decisione è stata commentata dai leder politici dell’opposizione e dai rappresentanti istituzionali come “un boomerang” per i promotori della democrazia nel mondo.

Com’ è gestita, quindi, la comunicazione social nella Russia di Putin? Quali sono stati i principali interventi legislativi per limitare l’accesso a Internet e qual è l’organo preposto al controllo del flusso di comunicazioni digitali?

La decisione dei proprietari di alcuni social media di bloccare gli account di Donald Trump, reo di aver istigato i suoi “seguaci” all’insurrezione politica contro il Campidoglio, sta costituendo oggetto di dibattito politico, giuridico ed etico.

In Russia questa decisione è stata commentata dai leder politici dell’opposizione e dai rappresentanti istituzionali come “un boomerang” per i promotori della democrazia nel mondo.

Com’ è gestita, quindi, la comunicazione social nella Russia di Putin? Quali sono stati i principali interventi legislativi per limitare l’accesso a Internet e qual è l’organo preposto al controllo del flusso di comunicazioni digitali?

Privato e pubblico

Dopo le rivoluzioni “colorate” all’estero e le prime significative proteste, avvenute all’indomani delle elezioni parlamentari del 2011, il presidente Putin, che non ha un suo profilo personale e non ama particolarmente i social, ha ritenuto opportuno intervenire, da un lato, prevedendo la formazione di specialisti nel settore, l’avvio dell’e-commerce e dell’e-government, e, dall’altro, varando norme per regolamentare il settore e perseguire specifiche azioni nella sfera digitale. Le sanzioni agli utenti (in maggior parte amministrative) vengono applicate per specifici atti: la criminalizzazione della calunnia, il discorso estremista, la prevenzione e la protezione dei bambini dai siti pornografici, la ricezione di fondi stranieri alle organizzazioni non governative (ong).

A partire dal 2016 l’entrata in vigore della legge sull’estremismo e alcune modifiche al codice criminale hanno potenziato gli strumenti di controllo a disposizione dello stato e hanno incrementato il numero dei siti e degli account bloccati per l’incitamento all’odio, all’ostilità, all’umiliazione della dignità umana di una persona affiliata a qualsiasi gruppo sociale, per la promozione del terrorismo, dell’estremismo politico e religioso e della violenza politica attraverso i media e online. Ma chi effettivamente può intervenire per chiudere i social e attivare le segnalazioni sulla base dei criteri delle leggi introdotte?

Il controllo statale

Nel 2008 è stata re-istituita un’agenzia governativa, Roskomnadzor, (“Servizio federale per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa”) che si occupa del controllo, del monitoraggio, del flusso di informazioni in rete e nei media, nonché della protezione dei dati personali dei cittadini russi. Tale organismo ha ampi poteri discrezionali, potenziati dalla modifica legislativa del 2019, che gli consente di intervenire immediatamente – ancora prima dell’intervento giudiziario – per chiudere o bloccare un sito/social se, per ben due volte in un anno, un media è stato richiamato.

L’organizzazione moscovita Roskomsvoboda ha denunciato la chiusura di ben 120.000 siti al 31 marzo 2017, aumentati a 411.328 oggi  per diverse motivazioni, molte delle quali, a onor del vero, potrebbero essere condivise anche nei regimi liberali: dalla propaganda al suicidio, dall’estremismo e dal richiamo alla protesta, alla pubblicazione di informazioni proibite, all’infrangimento del copyright e al gioco d’azzardo. A ciò si aggiungano, invece, le diverse denunce, espresse dagli oppositori al regime, di limitazione dei diritti civili e politici per affermazioni di alcuni cittadini russi riportate in alcuni social e atti di discriminazione, soprattutto nei confronti della comunità Lgbt con la chiusura di cinque account nel social VKontakte.

Queste accuse di inasprimento della libertà di espressione su internet trovano riscontro anche dal 2015 nell’indicatore della libertà della rete (freedom on the net) che posiziona la Russia tra i regimi illiberali.   

Nel frattempo, un disegno di legge, “Programma nazionale di economia digitale”, ha determinato la nascita di una rete informatica russa, RuNet, entrata in vigore a novembre 2019. Si tratta di un dominio alternativo che consente di isolare la rete russa dalla quella globale, ritenuta “ampiamente controllata dall’estero”, per prevenire attacchi cibernetici e creare un muro virtuale che possa difendere “la sovranità e il patriottismo digitale”, minacciato dagli agenti stranieri. Gestito da Roskomnazdor, questo strumento traccia, filtra e reindirizza il traffico online per bloccare anche forme di dissenso.  A tal riguardo, il governo russo ha stanziato 30 miliardi di rubli (400 milioni di euro) per attivare la rete russa prima delle prossime elezioni parlamentari del settembre 2021.

La televisione comanda

Il presidente Putin non ha bisogno di ricorrere ai social per mantenere il proprio consenso, essendo consapevole che la maggioranza dei russi riceve informazioni politiche dalla televisione che copre il 95 per cento del territorio federale. Ma è, altrettanto, consapevole che l’immediatezza del messaggio e la fruibilità gratuita ha consentito a personaggi come Aleksej Navalnyj di mobilitare migliaia di persone per contestare l’esito di alcune elezioni, anche a livello locale.

Sul piano internazionale, Putin ha concepito la rete digitale come uno strumento di soft power, utilizzato in una narrazione domestica che contrappone la Russia all’ovest (fake news, cybersecurity) per contrastare l’ostilità occidentale alla risurrezione della grande potenza russa.

La decisione di Mark Zuckerberg di chiudere l’account del presidente americano uscente Donald Trump è stata fortemente criticata da Navalnyj  che ha ritenuto inaccettabile «questo atto di censura fatto da persone che non conosciamo. Questo precedente sarà sfruttato dai nemici della libertà di parole in tutto il mondo. Anche in Russia. Ogni volta che dovranno mettere a tacere qualcuno, diranno: è una pratica comune, anche Trump è stato bloccato».

Il leader ceceno, Ramzan Kadyrov, ha dichiarato che «il blocco dell’account di Trump è una punizione di Allah per aver bloccato il suo account per non aver rispettato la democrazia e i diritti umani nel suo paese».

A livello istituzionale la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zacharova, ha ribadito quanto aveva già espresso lo scorso novembre il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, in riferimento al fatto che «il sistema elettorale negli Stati Uniti è arcaico, non soddisfa i moderni standard democratici, crea opportunità per numerose violazioni e i media statunitensi sono diventati strumento di lotta politica». Al contempo la Zacharova ha augurato «all'amichevole popolo degli Stati Uniti di attraversare con dignità questo periodo drammatico della loro storia». 

In attesa che gli Stati Uniti avviino un processo di regolamentazione del settore, prendendo spunto, magari, dal Digital service act dell’Unione europea, il paradosso a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi è stato che per proteggere la democrazia “più grande del mondo” da “una personalità autoritaria”, si è ricorso arbitrariamente a una limitazione della libertà di espressione del presidente americano da parte di attori privati (quis custodiet ipsos custodes?) in attesa di un intervento concreto a livello istituzionale e giudiziario.

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