Continua l’escalation fra Israele e i militanti palestinesi con un nuovo capitolo di violenza e distruzione. Sono sei gli israeliani rimasti uccisi finora dal lancio di razzi. I militanti di Gaza poco prima delle ore 21 israeliane hanno cominciato a bersagliare Tel Aviv – la città cuore pulsante del paese – e tutta la zona di “Gush Dan”, cioè l’Israele centrale. Ci sarebbe un morto civile a Rishon Letzion. Quattro feriti a Givataym. A Holon, un sobborgo popolare di Tel Aviv, un razzo ha colpito un autobus. Secondo una testimonianza estemporanea di un portavoce del Maghen David Adom, i servizi di emergenza israeliani, l’autobus sarebbe stato vuoto al momento dell’impatto. Sarebbero tuttavia almeno 7 le persone ferite, fra cui una bambina di 5 anni.

A Tel Aviv e in tutte le cittadine circostanti, come Ra'anana, Ramat Gan, Herzliya and Ramat Hasharon, gli allarmi anti-missilistici hanno svuotato le strade, i ristoranti e bar affollati di persone – la popolazione è quasi completamente vaccinata e non ci sono più restrizioni anti-Covid. Durante la giornata erano stati uccisi due israeliani ad Ashkelon, una città nel sud del paese.

Gli attacchi di Israele

Gli attacchi su Tel Aviv fanno presagire una reazione ancora più dura da parte dell’aviazione israeliana, che ha già colpito centinaia di obiettivi nella striscia di Gaza dalla giornata di lunedì. Diversi palazzi nei centri cittadini sono stati presi di mira dall’aviazione.

Sarebbero 43 – di cui 13 bambini – finora le vittime palestinesi nella striscia. Un bilancio destinato a salire velocemente ora che Hamas e il gruppo finanziato dall’Iran “Jihad Islamica” hanno alzato il livello dello scontro.

A Gaza City, il “capoluogo” della striscia, un palazzo di 13 piani è collassato in seguito a un raid israeliano. Si chiamava “torre Hanadi”. Secondo Al Jazeera non ci sarebbero state vittime palestinesi perché i residenti si erano allontanati in vista dei raid. Le forze di sicurezza israeliane solitamente telefonano agli abitanti civili - affidandosi ad agenti dei servizi che parlano arabo – avvertendo quando stanno per colpire. Segue poi un colpo di avvertimento sul tetto, qualche minuto prima del bombardamento definitivo.

Non è mai accaduto che Tel Aviv e il centro del paese fossero esposti ad un attacco di questa intensità da parte dei militanti di Gaza. Da poco Israele ha celebrato l’anniversario di 10 anni dall’entrata in servizio dell’Iron Dome, il sistema di difesa missilistico capace di abbattere i razzi. Ma il meccanismo si sta rivelando non del tutto efficace in queste ore. Da quando è entrato il servizio, l’Iron Dome ha reso l’esercito israeliano più restio a compiere operazioni di terra nella striscia, visto che il lancio di razzi palestinesi è divenuto più tollerabile.

L’ultima operazione via terra risale al 2014, ma se l’offensiva dell’aviazione si rivelasse insufficiente, non si può escludere questa eventualità che causerebbe un numero molto alto di vittime da entrambe le parti. Nel frattempo, voli diretti a Tel Aviv stanno invertendo la rotta virando su Cipro. La televisione israeliana suggerisce che l’aeroporto potrebbe essere chiuso.

Nella tarda serata di martedì si è registrato un altro sviluppo anomalo. In svariate città miste fra arabi ed ebrei dentro i confini di Israele sono iniziati scontri su base etnico-religiosa sullo sfondo della guerra in corso a Gaza. Il sindaco di Lod ha chiesto in diretta TV al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di dichiarare lo stato di emergenza e mandare l’esercito a ristabilire l’ordine. Netanyahu ha inviato la polizia di frontiera e dichiarato tanta parte della città zona militare chiusa. Un video condiviso sui social della città mista di Acco (Acri) nel nord, una di quelle in cui si sono verificati gli scontri di strada, sembrerebbe mostrare che il famoso ristorante di pesce Uri Buri (ebraico) sia stato danneggiato e dato alle fiamme. Sul canale televisivo israeliano numero 12 fa capolino l'espressione "guerra civile", usata di alcuni analisti, un modo di descrivere gli eventi forse prematuro ma che restituisce un'idea di come la situazione stia sfuggendo di mano.

Come si è arrivati qui

L’escalation in corso fra l’esercito israeliano e la striscia è iniziata a Gerusalemme. Il primo motivo di tensione, lo scorso mese, è stato il divieto imposto dalla polizia israeliana di sostare sulla scalinata di pietra che conduce alla porta di Damasco nella città santa, uno degli ingressi alla città vecchia. È un tradizionale luogo di ritrovo durante il Ramadan. Le transenne – inizialmente giustificate come misura per evitare assembramenti in tempo di pandemia – hanno scatenato la protesta di piazza, inducendo le autorità israeliane a rimuoverle. Ma un circolo vizioso di violenze fra palestinesi e israeliani – indignati per il passo indietro delle autorità – era già stato innescato.

In questa dinamica già rovente si è inserita la resa dei conti sul quartiere palestinese di Sheikh Jarrah, nel cuore di Gerusalemme est, dove vivono circa 330.000 palestinesi che non hanno cittadinanza israeliana, Il quartiere è rimasto nella parte giordana della città dopo la guerra del 1948 ed è stato poi riconquistato da Israele nel 1967, insieme a tutta la parte orientale.

Nel 1948 tutte le famiglie ebraiche che abitavano oltre la linea del cessate il fuoco con la Giordania sono state costrette a riparare in Israele – e parallelamente si consumava la tragedia dei profughi palestinesi costretti a fuggire nei paesi arabi dalle zone rimaste sotto sovranità israeliana.

Sulla base dell’antico legame fra le famiglie ebraiche e il quartiere, organizzazioni israeliane spesso legate al mondo ebraico o cristiano-evangelico negli Stati Uniti conducono da anni una battaglia per una rinnovata presenza ebraica nelle zone contese. Sono complicatissime disfide legali che, per mascherare i risvolti politici, coinvolgono spesso un numero infinito di intermediari, prestanome, società straniere. Ma in fin dei conti l’obiettivo è molto semplice: quello di sostituire il più possibile la popolazione palestinese di Gerusalemme est con coloni israeliani. Proprio in queste settimane gli annosi appelli giudiziari dei residenti palestinesi rischiavano il diniego definitivo e inappellabile della Corte suprema israeliana, il che avrebbe reso esecutivo il mandato di sfratto.

Il commento

«Sarebbero espulsioni ingiuste e illegali. Situazioni come questa mettono d’accordo tutti i palestinesi, da quelli di Gaza a quelli della Cisgiordania, da quelli di Gerusalemme est a quelli che abitano nel nord e sono tecnicamente cittadini di Israele», dice Shahin Nasser, un attivista arabo-israeliano di Haifa. Ecco allora che le proteste contro le espulsioni hanno coinvolto tutti gli strati della popolazione palestinese, soprattutto quando la polizia israeliana ha cercato di reprimerle spingendosi fin dentro le moschee della spianata di Gerusalemme, il luogo più sacro per i musulmani nel paese. Le operazioni della polizia israeliana sulla spianata delle moschee hanno mobilitato palestinesi fin nella Striscia – finché i miliziani di Gaza sono intervenuti, lanciando razzi verso Gerusalemme, avviando l’escalation in corso.

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