Mentre il conflitto tra Israele e Palestina assume gradualmente i contorni di una guerra mediorientale, il Vaticano gioca la carta della mediazione. Con l’enciclica Fratelli tutti in una mano e il susseguirsi di strette con l’altra, papa Francesco cerca infatti di ricucire uno strappo sempre più ampio. Ieri mattina, il ministro degli Affari esteri dell’Iran, Mohammad Javad Zarif, si è trattenuto privatamente con lo stesso pontefice. Era stato Bergoglio che, dopo il Regina coeli domenicale, si era detto preoccupato per gli scontri tra la Striscia di Gaza e Israele: «Tra le vittime ci sono anche i bambini, e questo è terribile e inaccettabile. La loro morte è segno che non si vuole costruire il futuro, ma lo si vuole distruggere», aveva detto. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa del regime iraniano Irna, in Vaticano il ministro ha discusso della situazione dei palestinesi e dell’impatto delle sanzioni internazionali sull’Iran e il Libano.

Tre giorni fa Zarif, che all’ultimo momento ha disertato il vertice sull’accordo nucleare in corso a Vienna dopo il sostegno del cancelliere Kurz a Israele, si era rivolto all’Organizzazione della conferenza islamica (Oic), invitandola a condannare unanimemente Israele per i danni inferti alla Palestina, definendoli «atti barbarici». Dichiarazioni inaccettabili per l’ambasciata d’Israele in Italia, che, in una lettera ai diplomatici di Teheran a Roma, chiedeva al ministro di «smettere di diffondere odio»: «Ovunque vi sia caos, troveremo tracce del vostro regime. È il caso di Siria, Iraq, Libano e Yemen, così come di Gaza. Tutta la civiltà giudaico-cristiana è minacciata dal vostro regime sanguinario», recitava la missiva. Che le violenze possano destabilizzare il medio oriente è quanto teme il papa stesso, che negli anni ha fatto del dialogo religioso, unito al soft power politico, la cifra distintiva del suo pontificato.

Al telefono con Erdogan

Ieri mattina Bergoglio ha avuto un colloquio telefonico con il presidente della Turchia. Secondo fonti ufficiali, Recep Tayyip Erdogan ha chiesto al pontefice il suo aiuto per sedare gli attacchi. La Turchia è stata fra i primi paesi a invocare l’intervento della comunità internazionale nel sanzionare Israele. Il 15 maggio, insieme al presidente iraniano Hassan Rouhani, il leader turco si era rivolto alle 57 nazioni dell’Oic ospitate dall’Arabia Saudita, invitandole a una netta presa di posizione contro «gli atti di violenza israeliani e l’uso della forza da parte della polizia israeliana contro i manifestanti nella moschea di al Aqsa a Gerusalemme». Ora i medesimi attori mediorientali chiedono la mediazione del Vaticano, anche nel nome dei rapporti proficui che il pontefice ha instaurato con l’Oic: prima della Dichiarazione sulla Fratellanza umana firmata ad Abu Dhabi, nel 2018 il segretario generale dell’Oic, Yousef al Othaimeen, in visita in Vaticano, aveva ricordato l’impegno delle religioni nello scardinare qualsiasi attacco terroristico di matrice fondamentalista. Quelle stesse parole, unite alla ferma condanna verso ogni violenza, oggi suonano come l’unico terreno fertile in cui piantare semi di dialogo.

La pace col mondo arabo

Il recente viaggio in Iraq di papa Francesco ha segnato una tappa importante nelle relazioni con il mondo arabo, come ha ricordato lo stesso ministro iraniano lo scorso 27 aprile a colloquio con il patriarca dei cattolici caldei in Iraq, il cardinale Raphael Sako. Secondo quanto ha riportato l’Iraqi news agency, nel colloquio si è evidenziato il ruolo della diplomazia, l’unica arma che possa risolvere realmente i problemi. È emerso, infatti, un atteggiamento distensivo del ministro iraniano verso il governo iracheno, anche alla luce della storica visita tra il pontefice e il Grande ayatollah, Ali al Sistani. Quell’incontro a porte chiuse tra un leader cattolico e sciita nella città santa di Najaf ha mostrato al mondo arabo che il dialogo, pur partendo da dichiarazioni su carta, è possibile anche nei fatti: la stampa iraniana ha dato ampia copertura a quell’incontro, nonostante la differenza di vedute con l’ayatollah del paese, Ali Khamenei.

Il dialogo sul nucleare

Due settimane fa papa Francesco ha incontrato il ministro degli Esteri iracheno, Fuad Mohammed Hussein, in un colloquio sul dialogo interreligioso come punto di convergenza fra visioni opposte. È con il dialogo che la Santa sede ora spera di contribuire a risolvere l’altra, cogente questione internazionale nata in medio oriente: quella nucleare. Se poche settimane dividono l’amministrazione Rohani dalle prossime elezioni presidenziali, il governo iraniano sta cercando il sostegno dei paesi europei per rilanciare il trattato sul nucleare del 2015 e porre fine alle pesanti sanzioni dell’ex presidente Usa, Donald Trump.

Gli scontri in corso nella Striscia di Gaza e la conseguente polarizzazione internazionale rendono gli esiti delle trattative molto incerti. In questo marasma geopolitico, lo stato più antico del mondo può rappresentare l’ago di una bussola senza attuali punti di riferimento.

 

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