La guerra dell’informazione attorno all’invasione dell’Ucraina, come tutte le guerre trionfo di propaganda da ogni direzione, tocca un punto mai raggiunto prima in un conflitto: ieri il procuratore generale della Federazione russa ha presentato un’istanza per mettere al bando Meta e Instagram e bollarle come organizzazioni estremiste. Per la prima volta uno stato assimila le piattaforme digitali a una organizzazione terroristica.

Dopo che il Cremlino ha bloccato l’accesso a Facebook come ritorsione al bando della propaganda del Cremlino, Meta ha modificato la sua policy per «permettere alle persone colpite dalla guerra di esprimere i propri sentimenti nei confronti delle forze armate», permettendo «espressioni come “morte agli invasori russi” che normalmente violerebbero le nostre regole».

Sul social network si può inneggiare alla morte di Putin, di Lukashenko, il dittatore bielorusso fiancheggiatore di Mosca a patto, ha fatto sapere Meta in un comunicato, «di non indicare luogo o il metodo per la loro uccisione».

La policy è applicata solo all’Ucraina, ha precisato il responsabile agli affari globali di Meta, Nick Clegg, per un periodo temporaneo e in condizioni che non hanno mai avuto precedenti per permettere ai cittadini ucraini di esprimersi senza rimuovere i contenuti.

La Russia ha risposto tramite la sua ambasciata negli Stati Uniti e chiesto alle autorità di Washington di «assicurare i colpevoli alla giustizia» e ha definito la politica di Meta «aggressiva e criminale». Un «incitamento all’odio razziale» che equivale all’estremismo, ha detto il numero due del comitato russo per le telecomunicazioni, Anton Gorelkin.

La risposta di Mosca è stata quindi il bando di Meta e Instagram, lo spegnimento, tra le altre cose, della fonte di redditi degli influencer di Mosca e di San Pietroburgo. Una dichiarazione di guerra alla società che negli Stati Uniti è stata, invece, messa sotto accusa per non essere riuscita a frenare la violenza dell’assalto a Capitol Hill, il 6 gennaio 2021.

I meccanismi della piattaforma, come sta emergendo proprio dalle indagini del Congresso americano, sono tali da incentivare la diffusione dei messaggi violenti e quindi più congeniali ad augurare la morte a Putin che a sedare gli animi degli assalitori trumpiani.

Il ruolo di Facebook

Nei giorni dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe, dello strazio dei profughi in fuga, del sangue sui letti degli ospedali, dei cadaveri stipati nelle fosse, è facile essere portati parteggiare per la decisione di Zuckerberg.

Al netto della propaganda putiniana, della repressione e della censura russa, al momento ai massimi livelli, questa storia però dice molto altro. Zuckerberg può decidere chi merita di essere odiato dal mondo e chi no. Chi è il dittatore, l’autocrate, il capo militare che merita di essere mandato all’inferno e quello che può essere salvato.

Di certo non si può dire che questa sia una scelta di coerenza della società di Zuckerberg, il quale da anni ha un socio come Peter Thiel, sostenitore e finanziatore di Donald Trump, l’ex presidente statunitense che di Putin è noto ammiratore. Coinvolto nello scandalo Cambridge analytica, Thiel ha deciso di abbandonare il board di Facebook alla fine del 2022 proprio per seguire le sue inclinazioni politiche e sostenere la parte del Partito repubblicano statunitense filo Trump. Zuckerberg gli ha dedicato parole di stima definendolo un pensatore unico, il consigliere a cui rivolgersi nei momenti difficili.

Piuttosto, anche se in questo frangente se ne possono condividere le posizioni, è l’ennesima dimostrazione della forza di quelle società digitali per molto tempo assimilate ai media che invece si sono rivelate delle vere e proprie infrastrutture pubbliche in mano a privati.

Morte a Putin e morte a Lukashenko si può dire quindi, su Facebook in Ucraina e non altrove, stabilisce Zuckerberg. E così l’ambasciata di Mosca ha qualche argomento dalla sua quando dice che «gli utenti di #Facebook e #Instagram non hanno concesso ai proprietari di queste piattaforme il diritto di determinare i criteri di verità».

Quando la Commissione europea ha messo al bando i media del Cremlino Russia Today e Sputnik in molti hanno correttamente fatto notare che la decisione avrebbe limitato la nostra capacità di avere informazioni sulla propaganda, ma almeno in quel caso era ancora un decisore pubblico a decidere limiti e contorni della nostra sfera pubblica.

 

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