Anche i risparmiatori turchi potrebbero rischiare la corsa agli sportelli bancari o ai bancomat per cercare di evitare il controllo dei capitali, così come avvenne a Cipro nel 2013 con un bail-in che spazzò via in un colpo solo 9,5 miliardi di euro (tra azioni, obbligazioni bancarie e conti correnti) e in Grecia nel 2015 dove l’allora premier Alexis Tsipras impose la domenica per il lunedì successivo un tetto di 60 euro al giorno di prelievo massimo per ciascun correntista per evitare la fuga dei capitali e l’azzeramento dei depositi? Possibile? Fanta-finanza? Eppure sono in molti tra gli analisti a considerare verosimile l’ipotesi se Ankara non cambierà rotta in politica monetaria.

Il licenziamento

Tutto ha avuto inizio con il licenziamento in tronco del terzo governatore della Banca centrale in due anni da parte di Erdogan, sostituzione decisa dopo che il responsabile della politica monetaria, Naci Abgal, aveva alzato i tassi al 19 per cento per ridurre la svalutazione della lira in presenza di un’inflazione annua al 16 per cento. «Il licenziamento in tronco del governatore Agbal è tra le azioni governative più controproducenti nella storia recente della Turchia», ha detto alla Cnbc, Erik Meyersson, economista senior presso Handelsbanken Macro Research a Stoccolma e uno dei massimi conoscitori dell’economia del paese sul Bosforo. Una voce isolata? Non proprio.

In un report del Credit Outlook di Moody’s del 25 marzo si legge: «Un indebolimento della valuta (turca, ndr) e un’inflazione elevata continueranno a erodere la fiducia dei depositanti nazionali, spingendo ad aumentare ulteriormente la già elevata presenza di depositi in valuta (ovvero il livello dei depositi detenuti in dollari Usa) pari al 54 per cento del totale dei depositi a febbraio 2021. In definitiva, il deprezzamento della lira frenerà gli afflussi di portafoglio e di investimenti e aumenterà lo scenario di rischio (tail risk) dei controlli sui capitali derivanti dalle politiche governative». Poi Moody’s aggiunge: «Questi rischi sono in qualche modo mitigati dal fatto che le banche turche hanno un’adeguata liquidità in valuta estera e hanno generalmente ridotto la loro dipendenza dai finanziamenti di mercato dalla crisi valutaria del paese del 2018, come indicato dal rapporto prestiti/depositi del sistema bancario che è aumentato al 108 per cento nel 2020 dal 126 per cento nel 2017. Tuttavia, le banche turche fanno ancora affidamento sui finanziamenti di mercato, con finanziamenti di mercato delle grandi banche compresi tra 15 e 32 per cento di immobilizzazioni materiali a dicembre 2020 e sono quindi esposti a uno shock per la fiducia degli investitori».

Ma la Turchia ha sempre le sue ampie riserve di valuta straniera per fronteggiare le avversità. Eppure la banca americana Goldman Sachs ha messo in guardia anche su questo fronte: «La nostra stima di riserve di valuta estera della Turchia è pari a 35,7 miliardi di dollari – non abbastanza consistente per sostenere gli interventi continui di sostegno». Senza contare che secondo la Reuters lo stesso presidente turco Erdogan avrebbe il 24 marzo invitato, nel corso di un discorso tenuto ai membri del suo partito Akp, i cittadini turchi a vendere assets denominati in valute straniere, oro e a comprare strumenti finanziari denominati in lire. Un segnale di presa di coscienza che la situazione rischia di sfuggire di mano. Un cambio di tono opportuno visto che finora Erdogan aveva creduto di avere la capacità di imporre le proprie condizioni anche di fronte alla sfida dei mercati internazionali.

La madre dei mali

Erdogan sostiene da tempo che i tassi alti sono la «madre di tutti i mali» e si rifiuta di seguire l’ortodossia che vuole il rialzo dei tassi in presenza di un alto tasso di inflazione dei prezzi. Le turbolenze finanziarie a cui si è assistito negli ultimi giorni sul Bosforo hanno mostrato al presidente turco tutta la pericolosità del suo operare ma Erdogan, come hanno detto fonti diplomatiche britanniche alla Bbc, si è circondato di personalità che gli dicono solo quello che vuole sentirsi dire. Ma un paese chiave nel Mediterraneo orientale con un debito estero di 180 miliardi di dollari, ridotte riserve di valuta estera e un calo di fiducia degli investitori esteri, rischia di avviarsi ad affrontare una crisi dei pagamenti.

Nuovi equilibri

Questa però è proprio l’ultima cosa di cui ha bisogno Ankara in cerca di nuovi equilibri sia con l’amministrazione Biden sia con l’Europa stanca di continue tensioni nel Mediterraneo orientale. Molti analisti ritengono che la sostituzione del banchiere centrale del paese insieme alle politiche non ortodosse favorite da Erdogan, stiano portando la Turchia verso una fase di instabilità. E non è escluso che questa fase si concluda con i controlli sui capitali. Erdogan da anni si sta preparando a festeggiare il centenario della repubblica turca previsto nel 2023, ma le celebrazioni potrebbero trasformarsi in uno scenario opposto ai suoi desideri con l’aggravarsi della crisi monetaria e richieste di aiuti al Fondo monetario internazionale.

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