La giustizia maltese ha riconosciuto il ruolo del clan Ta’ Maksar nella pianificazione dell’attentato condannando all’ergastolo Jamie Vella e Robert Agius. Ma pur essendo «un passo importante verso la piena giustizia», restano le ombre sui mandanti: l’imprenditore Yorgen Fenech, accusato dal collaboratore Melvin Theuma, è oggi libero su cauzione dopo il rifiuto degli esecutori materiali di testimoniare contro di lui
L’esplosivo per l’attentato che il 16 ottobre 2017 ha ucciso la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia fu procurato dal clan Ta’ Maksar, uno dei più potenti gruppi criminali del paese. Dopo un lungo processo la giudice Edwina Grima ha riconosciuto colpevoli Jamie Vella e Robert Agius, condannandoli all’ergastolo. Due pene che si aggiungono a quelle già arrivate negli scorsi anni per i tre esecutori materiali: i fratelli George e Alfred Degiorgio, condannati a 40 anni dopo aver confessato, e Vincent Muscat, che grazie alla sua collaborazione dovrà scontare solamente 15 anni.
Il processo
È stato proprio Muscat a rivelare per la prima volta il coinvolgimento nell’attentato del potente clan nato nei sobborghi di Malta. La sua scelta di collaborare con la giustizia, e svelare i retroscena di uno dei delitti più cruenti della storia del paese, ha permesso agli investigatori di mettere insieme i pezzi di un puzzle fino ad allora avvolto nel silenzio e nell’omertà.
Nelle sue deposizioni, Muscat ha indicato i nomi di coloro che avevano organizzato la logistica dell’attentato: Robert Agius, leader del clan, e Jamie Vella, esperto di armi ed esplosivi.
I fratelli Degiorgio, condannati nel 2022, erano dunque solo la punta dell’iceberg di una rete più ampia e articolata, fatta di legami familiari, interessi economici e coperture politiche. Muscat ha raccontato come Vella fosse il fulcro nella gestione degli esplosivi mentre Robert Agius si sia occupato di coordinare il complesso intreccio di contatti a vari livelli che permisero le realizzazione dell’attentato.
Nella pianificazione dell’attentato si era inizialmente deciso di procedere con un raid con armi semiautomatiche. Ma un omicidio del genere, in una zona abitata, avrebbe comportato troppi rischi. Si decise così di cambiare piano virando su un attentato dinamitardo. Vella si attivò per acquistare ingenti quantità di un esplosivo plastico, il Semtex, trasportato ed assemblato successivamente insieme ad Agius in un garage di Zebbug. L’ordigno venne poi posizionato sotto il sedile dell’auto della giornalista e azionato a distanza tramite un sms.
Poco prima della condanna Therese Comodini Cachia, legale della famiglia di Daphne Carauna Galizia, aveva preso parola in aula per sottolineare come quel brutale attentato avesse anche un ulteriore obiettivo. «Hanno attaccato il quarto pilastro della democrazia – ha detto – con lo scopo di intimorire i giornalisti a Malta e non solo». Un attacco brutale con cui si voleva mandare un segnale forte a tutti i media: chi denuncia le attività mafiose a Malta rischia di fare questa fine.
La sentenza, pronunciata dopo che la giuria si è espressa con otto voti favorevoli e uno solo contrario, conferma in toto l’impianto accusatorio riconoscendo Vella ed Agius colpevoli per la parte logistica. Una sentenza che «porta un passo più vicini alla giustizia», commentano i familiari di Daphne Caruana Galizia, e mette in chiaro come l’attentato non sarebbe stato ipotizzabile senza l’appoggio logistico della malavita maltese.
Ta’ Maksar
La banda Ta’ Maksar ha, infatti, agito da cerniera tra l’establishment maltese e il sottobosco criminale. Senza il suo ruolo sarebbe mancato un apporto logistico e relazionale fondamentale per la riuscita dell’attentato.
Nata nei primi anni ’90 nel sobborgo da cui prende il nome, in una zona segnata da disagio sociale e povertà, la banda era inizialmente composta da giovani criminali che cercavano di controllare il territorio. Negli anni, però, si è rapidamente evoluta trasformandosi da una forma di criminalità di strada in una organizzazione strutturata, specializzata in traffico di droga, estorsioni e riciclaggio di denaro. Un’ascesa criminale irresistibile favorita da una serie di faide ed omicidi che tra il 2010 e il 2015 hanno decimato i clan rivali permettendo agli Agius di proliferare senza concorrenti. Grazie ad una combinazione di violenza mirata, alleanze strategiche e sfruttamento delle debolezze altrui, la banda Ta’Maksar è così diventata la più potente organizzazione criminale a Malta.
In pochi anni, il gruppo ha esteso il proprio raggio d’azione ed influenza arrivando ad avere rapporti stabili con altre organizzazioni criminali, tra cui clan siciliani, e ad intessere importanti relazioni con figure di spicco della società e della politica maltese. Si è così inserita in una rete criminale ben più ampia, legata a sfere politiche ed economiche di alto livello.
Strutturatasi con una forma gerarchica, al cui vertice ci sarebbero i fratelli Robert ed Adrian Agius, la banda sembra aver appreso tecniche e strategie dalle principali organizzazioni mafiose utilizzando dai primi anni il narcotraffico come forma di arricchimento per poi fare il salto di qualità.
L’omicidio Chircop
Ma il processo conclusosi oggi lega in modo chiaro e definitivo l’omicidio di Daphne Caruana Galizia a quello dell’avvocato Carmel Chircop, freddato la mattina dell’8 ottobre mentre si trovava bordo della sua auto. A collegare i due casi sono i protagonisti: gli esecutori del raid che uccise Chircop furono Vincent Muscat, George Degiorgio e Jamie Vella.
Tutti condannati anche per l’omicidio di Daphne. Dopo aver concesso un prestito a Adrian Agius, Chircop aveva iniziato a chiedere indietro i propri soldi all’uomo. Uno sgarro insopportabile per il clan che, per ribadire il proprio potere e la propria capacità di controllare il territorio, aveva deciso di eliminarlo.
Forte di quel «clima di totale impunità» che circondava la criminalità maltese, come ha denunciato la Commissione d’inchiesta indipendente sull’omicidio di Daphne, la banda Ta’ Maksar aveva alzato il livello della violenza con un omicidio in pieno stile mafioso.
E proprio la mancata reazione istituzionale ed investigativa avrebbe portato due anni dopo a colpire con un’autobomba chi stava provando a denunciare un’establishment politico-mafioso definito, dalla stessa commissione, come «una piovra che ha tentacoli ovunque: governo, polizia, sistema finanziario».
Il silenzio sui mandanti
E chi ci sia al centro di quell’establishment rimane il grande interrogativo che circonda la vicenda di Daphne Caruana Galizia. A quasi otto anni di distanza la giustizia ha fatto il suo corso con le condanne di Agius e Vella, responsabili della parte logistica, e dei tre esecutori materiali individuati nei fratelli Digiorgio e in Vincent Muscat. Ma chi ordinò quell’omicidio ancora non ha un volto e i motivi che portarono alla morte di Daphne Caruana Galizia restano ancora da accertare in sede giudiziaria.
Qualcosa era sembrato smuoversi nel 2021 con l’incriminazione dell’imprenditore Yorgen Fenech, indicato come mandante da Melvin Theuma, l’altro grande collaboratore di giustizia sull’omicidio della giornalista.
Ma se il clima di impunità che avvolgeva quella rete criminale si sta sgretolando un pezzo alla volta, persiste forte il muro dell’omertà. L’8 aprile 2024 i fratelli Digiorgio si sono rifiutati di testimoniare contro Fenech ritardando così il processo e ostacolando le indagini.
Una scelta che è costata loro l’incriminazione per oltraggio alla Corte, essendo a Malta obbligatorio testimoniare quando si è chiamati a farlo. Ma sul piatto della bilancia, probabilmente, la fedeltà all’establishment politico-mafioso pesa più di una nuova condanna. Così Fenech a gennaio 2025 è potuto tornare libero dietro il pagamento della cauzione al termine del periodo massimo di detenzione preventiva. Il processo non è ancora partito e, si stima, rischia di non iniziare ancora per diversi anni.
Così, commentano amaramente i familiari di Daphne in una nota, «i fallimenti istituzionali che hanno portato alla sua morte restano irrisolti. Ma nonostante abbiano provato a metterla a tacere, l’eredità di Daphne vive nella nostra richiesta di verità e giustizia».
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