Dalla Casa Bianca arrivano messaggi discordanti. E non è una novità negli ultimi mesi. Ma nelle ultime ore, forse per la prima volta dall’inizio della guerra commerciale scatenata a colpi di dazi, l’amministrazione di Donald Trump si è lasciata andare ad alcuni segnali più che distensivi nei confronti di Pechino.

Tariffe da tagliare

Negli scorsi giorni sia il presidente Trump sia il segretario al Tesoro Scott Bessent si sono infatti detti possibilisti sul riuscire a trovare un accordo con la Cina che possa placare la tensione e la spirale dei dazi. E soprattutto sulla possibilità che la soglia del 145 per cento, cifra attuale dei dazi statunitensi nei confronti di Pechino, possa essere rivista al ribasso. Certo, nessuno dei due ha parlato di tempo brevi, ma erano state timide aperture.

Poi un’indiscrezione del Wall Street Journal ha dipinto una situazione in movimento, con una Casa Bianca che starebbe studiando una possibile riduzione dei dazi sui prodotti cinesi. In certi casi addirittura dimezzandoli. In sostanza Trump potrebbe dare luce verde per portare le tariffe a Pechino tra il 50 e il 65 per cento. I funzionari statunitensi avrebbero vagliato un’alternativa per differenziare le tipologie dei dazi: 35 per cento su quei prodotti che Washington non pensa possano danneggiare la sicurezza (economica e non) statunitense, mentre fino al 100 per cento su quei beni che invece sono strategici per gli Usa. Un approccio specifico per mitigare le tensioni con la Cina.

Trump, mercoledì 23, ha parlato della questione dazi e dei rapporti con Pechino, non entrando nel dettaglio né commentando il retroscena del Wsj. «Avremo un accordo equo con la Cina», ha affermato davanti ai giornalisti fuori la Casa Bianca, facendo intendere che vi sia una trattativa in corso dalla quale «non la faranno franca». Una risposta netta, se la si spoglia dalla solita retorica che il presidente utilizza da settimane per sostenere che il proprio paese sia stato nel tempo derubato dai suoi partner commerciali.

E a fargli eco è stato uno dei suoi portavoce, Kush Desai: «Il presidente Trump è stato chiaro: è la Cina che deve raggiungere un accordo con gli Stati Uniti». «Quando saranno prese decisioni sui dazi - ha proseguito Desai - arriveranno direttamente dal presidente».

Le parole di Donald

Washington vuole quindi trovare un’intesa con Pechino, anche perché la Cina ha reagito alzando i propri dazi fino al 125 per cento sui prodotti made in Usa. E i pesanti contraccolpi economici subiti dagli Stati Uniti dall’inizio della guerra commerciale, uniti alla pressione dalla Borsa e dai gruppi di potere finanziario, sembrano aver convinto Trump a ritrattare.

Davanti ai giornalisti il presidente Usa ha sottolineato un elemento rilevante, parlando di «colloqui attivi» tra Washington e Pechino. Al momento, però, i negoziati non sono partiti. Ad affermarlo è stato Bessent, che ha smentito l’inizio sia di trattative sia di un generico dialogo con Pechino sulla questione dazi. Una discordanza, quella tra Bessent e Trump, che fa capire non solo che uno dei due abbia mentito ma che faccia tutto parte della confusionaria comunicazione di questa amministrazione.

Inoltre, il segretario al Tesoro, in una conferenza stampa, ha anche negato le indiscrezioni su una possibile riduzione unilaterale dei dazi da parte di Trump. «Assolutamente no», ha risposto Bessent seccamente che quindi ha rilanciato la palla nell’altro campo. Per poi aggiungere: «Penso che entrambe le parti stiano aspettando di parlare con l’altra». Perciò: sì alla riduzione dei dazi, a patto che anche la Cina faccia lo stesso.

Washington vorrebbe minare il modello economico di Pechino, fortemente incentrato sulle esportazioni. Un modello definito «insostenibile» dallo stesso Bessent, che ha detto di sperare in un riequilibrio dell’economia cinese con un aumento dei consumi interni e allo stesso tempo di una maggiore produzione interna statunitense.

Ad ogni modo, il segretario al Tesoro crede di poter arrivare a una de-escalation con Pechino nel prossimo futuro. Non è ancora chiaro se prima dei colloqui ci dovrà essere una riduzione dei dazi da parte di entrambe le parti oppure tale scenario si verificherà strada facendo. Quel che sembra sicuro è che non rimarranno al 145 e al 125 per cento.

Il gioco delle borse

Intanto, le aperture di Washington sui dazi - ma anche le dichiarazioni di Trump sul non voler rimuovere Jerome Powell da presidente della Fed - hanno fatto scattare le Borse americane: segno più che positivo per il Dow Jones, per l’S&P 500 e per il Nasdaq. In rialzo anche il dollaro, specie dopo l’indiscrezione del Wsj sull’allentamento della guerra tariffaria, mentre ha chiuso in rialzo anche Piazza Affari. Tuttavia, le parole di Bessent hanno frenato l’andamento giornaliero, segno che anche i mercati non hanno apprezzato le differenti dichiarazioni del governo americano.

Le richieste dell’Europa

Lo stesso si può dire per il Vecchio Continente. In Europa, infatti, i malumori non accennano a diminuire. Innanzitutto per l’aggressiva politica commerciale degli Usa e poi per come è gestita anche oggi dall’amministrazione Trump l’intera vicenda, tra dazi e negoziati.

L’Unione europea, infatti, tramite il commissario per l’Economia Valdis Dombrovskis ha chiesto «maggiore chiarezza» a Washington sulle loro priorità e aspettative nei negoziati, in modo da facilitare i tentativi di arrivare a una soluzione. Anche sui negoziati, quindi, i messaggi dalla Casa Bianca continuano a essere contrastanti.

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