Export, le paure dell’Ue per il boom della Cina. Ma sui dazi i leader restano divisi

Al governo tedesco non deve essere apparso eccessivo il surplus commerciale monstre della Cina nei primi undici mesi dell’anno: 1.076 miliardi di dollari, che ha superato il record precedente, 992 miliardi di dollari, relativo all’intero 2024. Buona parte di ciò che la fabbrica del mondo vende all’estero – generando ogni mese un avanzo di cento miliardi di dollari rispetto alle sue importazioni – si riversa, per effetto dei dazi trumpiani, sempre più nell’Unione. L’export di beni cinesi verso l’Europa a 27 il mese scorso è aumentato del 14,8 per cento, mentre quello verso gli Usa è diminuito del 28,6 per cento, dopo il meno 25,2 per cento registrato a ottobre. Eppure, per il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul, l’Europa deve essere «estremamente prudente», ossia evitare d’imporre dazi contro la Cina che potrebbero innescare una «spirale» protezionistica. Apparentemente un eccesso di zelo, quello del capo della diplomazia di Berlino, dal momento che gli stessi cinesi riconoscono il problema: la domanda interna, a causa di cambiamenti strutturali dell’economia, resta debole, la capacità produttiva gigantesca, e così le portacontainer della più grande potenza commerciale di tutti i tempi continuano a scaricare sempre più beni a basso costo nei mercati stranieri. La Cina può fare a meno degli Usa, per questo Trump ha fatto dietrofront Scetticismo tedesco Wadephul, che conclude mercoledì 10 la sua due giorni a Pechino con la quale ha preparato la visita che il cancelliere, Friedrich Merz, effettuerà nel nuovo anno, si è detto «scettico sul fatto che ulteriori dazi possano aiutarci. La Germania fondamentalmente non persegue una politica di protezionismo, che dovrebbe essere considerata solo come ultima risorsa». In questo modo Berlino ha smentito Emmanuel Macron che, a Pechino e Chengdu la settimana scorsa, ai cinesi aveva detto il contrario. «Questi squilibri che si stanno accumulando oggi non sono sostenibili. Comportano rischi di una crisi finanziaria, mettono in pericolo la nostra capacità di crescere insieme», aveva dichiarato in Cina il presidente francese. Una posizione condivisibile: la Cina limita le importazioni essenzialmente alle materie prime, mentre esporta ovunque i suoi prodotti, un mercantilismo intollerabile da parte di un’economia ormai avanzata, che danneggia i paesi più sviluppati. Rientrato a Parigi, il presidente francese aveva voluto suggellare la sua fermezza con le dichiarazioni riportate domenica da Les Echos: «Ho detto loro che, se non reagiranno, noi europei saremo costretti a prendere misure forti e a ridurre la cooperazione, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, ad esempio imponendo dazi sui prodotti cinesi». Il velleitarismo di Macron – che Xi Jinping ha fatto baloccare con i panda a Chengdu e a cui ha promesso più importazioni di prodotti di qualità francesi – ha raggiunto l’acme quando al presidente cinese ha chiesto un export fluido di terre rare in cambio della rimozione del blocco della vendita a Pechino di apparecchiature europee per produrre microchip avanzati. Peccato che su quel divieto – imposto da Washington alla compagnia olandese Asml – Macron non abbia voce in capitolo. Gli Usa non possono vincere la guerra commerciale con la Cina, Trump lo sa Diversità di interessi Con la visita di Wadephul invece i tedeschi si sono assicurati un trattamento preferenziale, con la promessa di un flusso «affidabile» di esportazioni verso la Germania di terre rare, indispensabili per l’industria dell’automotive. E chissà che Berlino – Merz ha definito «inaccettabile» parte della strategia di sicurezza nazionale di Donald Trump – in conseguenza del terremoto che sta scuotendo le relazioni transatlantiche, non decida di tornare a una politica merkeliana sulla Cina. Per quanto possa apparire sconcertante che la prima e la seconda economia del continente abbiano strategie divergenti su uno dei fenomeni che sta cambiando il mondo, ovvero l’ascesa della Cina, questo dato di fatto riflette la diversità d’interessi tra il capitale teutonico e quello transalpino. Berlino infatti, fin dai primi del Novecento, attraverso le varie Siemens, Basf, Volkswagen, ha costruito un rapporto simbiotico con la Cina che l’ha confermata il mese scorso primo partner della Germania e che si è tradotto in investimenti (basti pensare all’azzardatissimo rilancio di Volkswagen sul mercato dell’auto cinese) e interscambio commerciale che nessun altro paese può vantare (185,9 miliardi di euro nei primi tre trimestri del 2025). La Francia in confronto (come l’Italia) ha una posizione marginale, con un discreto export e qualche investimento, mentre dalla parte opposta le importazioni dalla Cina sono di ben altra magnitudine. Nuove tecnologie e più welfare, nel piano quinquennale la scommessa della Cina per superare gli Usa