Il presidente ha bisogno di risultati da mostrare alla sua base elettorale. Ma il tempo scarseggia. Intanto esenta smartphone e computer dalle tariffe. E il suo inviato vuole «spartire» l’Ucraina
Non sono passati neanche tre mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca, ma per Donald Trump il tempo comincia già a scarseggiare. I fronti aperti sono diversi e ha bisogno di raggiungere qualche risultato nel breve periodo per dimostrare alla propria base elettorale di avere una strategia chiara.
Perché i piccoli malumori interni e i primi segnali di una perdita di consenso non possono essere sottovalutati. Specie se il paese si appresta a entrare in recessione.
La sfida dei 90 giorni sui dazi
Il primo fronte, aperto in maniera spregiudicata da Trump, è quello dei dazi e della guerra commerciale contro la Cina. Il circolo vizioso di rialzi tra Pechino e Washington sembra si sia fermato, anche perché Xi Jinping ha detto che incrementarli ancora sarebbe inutile. Trump è comunque fiducioso: «Sono sempre andato d’accordo con Xi. Penso che verrà fuori qualcosa di positivo con la Cina».
Anche perché, nella girandola di dietrofront, è arrivato dalla Casa Bianca un primo emblematico alleggerimento delle tariffe. Sono stati infatti esentati – almeno temporaneamente – computer, smartphone e altri dispositivi, come hard disk e macchinari per i semiconduttori, dai dazi definiti “reciproci”.
Un sospiro di sollievo sia per i consumatori americani, preoccupati dall’aumento dei prezzi, sia per i grandi dell’industria elettronica, Apple, Samsung e Nvidia in testa. Lontani dai riflettori, i contatti quindi continuano.
Così come iniziano a entrare nel vivo le trattative con gli altri paesi, quelli per cui Trump ha annunciato una sospensione per tre mesi. «Stiamo parlando con molti paesi: siamo in una buona posizione», ha detto il presidente degli Stati Uniti. Tuttavia, i negoziatori americani hanno davanti un compito arduo: raggiungere una novantina di accordi bilaterali nei 90 giorni di pausa. Recuperando così credibilità sui mercati finanziari.
Un’impresa quasi impossibile, secondo l’ex capo negoziatore del Rappresentante per il commercio Usa, Wendly Cutler. Troppo poco tempo a disposizione. E quindi non bisogna escludere un’ulteriore proroga. Lunedì a Washington arriverà il commissario europeo Maros Sefcovic per cominciare a discutere i termini di un accordo tra le due sponde dell’Atlantico.
Se da settimane la strategia commerciale di Trump sta sollevando diversi dubbi, ora ne emergono altri sulla sua onestà. Alcuni senatori democratici, infatti, hanno scritto una lettera alla Sec (Securities and exchange Commission) chiedendo un’indagine sul presidente Usa per un possibile caso di insider trading. È stato lo stesso Trump – come si è visto da un video pubblicato dal suo staff – a vantarsi con alcuni imprenditori e amici nello Studio ovale per i loro ingenti guadagni avvenuti grazie al rimbalzo delle Borse nel giorno dell’annuncio della sospensione dei dazi.
Quello stesso giorno, il presidente aveva esortato pubblicamente a comprare azioni statunitensi. Per questo i senatori democratici vogliono capire se «gli amici dell’amministrazione» o i membri della famiglia del presidente si siano arricchiti in maniera illegale.
Ultimatum e Ucraina “spartita”
Il tempo è un elemento decisivo anche per il dossier Ucraina, specie dopo le aperture della Casa Bianca ai russi. Le 24 ore entro le quali Trump aveva promesso di concludere la guerra erano materiale da campagna elettorale, ma il termine di fine aprile che si è dato per arrivare a un cessate il fuoco è ormai alle porte.
Il colloquio di venerdì tra l’inviato americano Steve Witkoff e Vladimir Putin non è andato come si sperava. Di fronte alle continue richieste russe Trump ha dato un ultimatum a Mosca: i combattimenti dovranno cessare entro fine aprile oppure scatteranno nuove pesanti sanzioni. Poco più di due settimane, quindi.
Il Cremlino intanto ha bocciato l’idea di Keith Kellogg, l’altro inviato Usa per l’Ucraina, di fatto depotenziato da Trump perché sgradito a Mosca. L’ex generale, in un’intervista al Times, ha paventato la possibilità di un’Ucraina divisa in zone «quasi come Berlino dopo la Seconda guerra mondiale»: a ovest – al di qua del fiume Dnepr – le forze di rassicurazioni britanniche e francesi, a est – nelle regioni occupate – i russi, mentre nella zona più centrale gli ucraini e una piccola area smilitarizzata.
Non una vera spartizione, ha rettificato subito Kellogg viste le critiche piovute sia da Kiev sia da Mosca, ma aree sotto responsabilità diverse. Qualunque cosa significhi. L’importante, per gli Usa, è che non ci siano propri soldati.
Ancor più importante per Washington è trovare il modo per recuperare i soldi spesi per sostenere Kiev. Oltre all’accesso alle risorse minerarie, nel vertice di venerdì con i funzionari ucraini la delegazione statunitense avrebbe chiesto ancora di più, rivendicando il controllo di un gasdotto che porta gas dalla Russia all’Europa. Un’infrastruttura critica, tra la città russa di Sudza e quella di Uzhorod in Ucraina, al confine con la Slovacchia. Kiev e Volodymyr Zelensky, però, non vogliono svendere gli asset del paese.
Il dialogo con l’Iran
Witkoff dopo i colloqui a San Pietroburgo non si è potuto riposare, ma è volato in Oman per i primi colloqui, seppur indiretti, con l’Iran riguardo il nucleare. Una questione non nuova, su cui però Trump, oltre ad alzare la posta minacciando raid contro Teheran, fatica a trovare una soluzione.
Il ragionamento del presidente Usa è: «Voglio che l'Iran sia un paese felice, ma non può avere armi nucleari». I negoziati sono stati mediati dal ministro degli Esteri dell’Oman, Badr al-Busaid, e solo alla fine le delegazioni iraniane e americane hanno parlato direttamente per pochi minuti. Nessun passo avanti concreto ma segnali di apertura.
Teheran ha reso noto che l’atmosfera è stata «positiva e costruttiva» e che il dialogo continuerà la prossima settimana. L’Iran non sembra avere fretta. Trump non può dire lo stesso.
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