«Se uno è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicare?» si domandava papa Francesco nel 2013. A sette anni di distanza, la risposta non è così scontata, se il 17 giugno Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli stati, si è presentato di persona all’ambasciata italiana presso la Santa sede, consegnando al primo consigliere una «nota verbale». Nel documento, svelato dal Corriere della Sera, il Vaticano si dice preoccupato per alcuni contenuti del ddl Zan, il disegno di legge che mira a contrastare le discriminazioni omobitransfobiche, approvato dalla Camera il 4 novembre scorso e ora in Commissione giustizia al Senato.

Dopo i vescovi italiani, è ora la Santa sede a prendere in mano la legge con una scelta senza precedenti, rischiando così di blindare il testo.

Una scelta inusuale

«La scelta del Vaticano di muoversi attraverso le vie diplomatiche è molto inusuale. Dobbiamo considerare le osservazioni poste in modo da poter approvare questa legge di civiltà, che ha uno scopo fondamentale, quello di proteggere e di dare libertà», ha commentato la deputata del Pd Rosa Maria Di Giorgi, cattolica e tra i primi firmatari dem del ddl. La scelta di Gallagher è singolare: recandosi di persona senza farsi annunciare, per di più consegnando la nota al primo consigliere e non brevi manu all’ambasciatore Pietro Sebastiani, il ministro degli Esteri vaticano ha rotto la prassi diplomatica delle note verbali, che solitamente sono trasmesse da ufficio a ufficio. Perché non annunciarsi all’ambasciatore? Esperti in materia si chiedono perché l’intervento della Santa sede non sia avvenuto in sede camerale, sette mesi fa, meravigliati da un’impellenza tale che ha ritenuto non necessario convocare l’ambasciatore.

Quale Concordato?

Secondo quanto riporta il Corriere, Oltretevere punta il dito all’articolo 7 del disegno di legge che, disponendo attività di sensibilizzazione in occasione della Giornata nazionale contro l’omobitransfobia, minerebbe de facto la libertà di opinione nelle scuole. La nota, però, non menziona l’articolo 4 del disegno di legge, proprio quello che concede libertà d’opinione. Per giunta, i precedenti mostrano che le solennità civili, regolate da leggi ad hoc, non suonano mai come un’imposizione obbligatoria nelle scuole. Non tutte le scuole del paese hanno aderito lo scorso 21 marzo la Giornata in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, stabilita per legge nel 2017.

Stando alla menzione del Corriere, la Santa sede teme che il ddl Zan possa ridurre «la libertà garantita alla chiesa cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato» che menzionano rispettivamente la libertà di organizzazione e la manifestazione del pensiero. Sebbene i Patti lateranensi siano inseriti in Costituzione, l’unico strumento del Concordato che gode ancora di copertura costituzionale è il Trattato, sottoposto a revisione nel 1984. Lo dimostra un precedente che ha coinvolto la stessa Santa sede durante il Giubileo del 2000.

Opponendosi al gay pride di Roma in nome della «sacralità di Roma» così com’era stata sancita dal Concordato lateranense del 1929, all’allora segretario di Stato, Angelo Sodano, il governo giudicò illegittima la rimostranza, perché scalzata dall’accordo di Villa Madama, firmato da Bettino Craxi e il cardinale Agostino Casaroli.

Una diplomazia debole

Dal 1984 a oggi, l’Italia ha recepito le norme dell’Unione europea e lo stesso ddl Zan è una legge che risponde a criteri del diritto unionale. Pertanto le osservazioni della Santa sede, immediatamente consegnate al gabinetto del ministero degli Esteri, potrebbero ora essere recepite dal ministro Luigi Di Maio come una violazione delle norme comunitarie e rispedite al mittente. Alla luce dei vani tentativi di opposizione della Conferenza episcopale italiana, adesso che la partita è tra Italia e Santa sede, la sua diplomazia potrebbe uscirne ridimensionata: «Come espressione molecolare nella società italiana, la chiesa è di fatto impegnata ampiamente su questi temi ed è cresciuta una sensibilità anche contro le discriminazioni verso le persone omosessuali. C’è qualcuno nella chiesa oggi, che concretamente assume iniziative per rimettere in discussione la legge sulle unioni civili? Probabilmente potrebbe accadere lo stesso anche per questo testo, se diventasse legge, nella versione attuale o in un’altra», dice Stefano Ceccanti, firmatario democratico del ddl.

Lo aveva compreso a suo tempo già papa Benedetto XVI che, pur osteggiando con ripetute visite apostoliche in Spagna la legalizzazione dei matrimoni omosessuali, tentò tutte le vie della moral suasion senza mai pensare a una nota diplomatica contro il governo spagnolo: conoscendo già la risposta, sarebbe stato un buco nell’acqua.

 

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