Si stanno appena spegnendo gli echi del dibattito innescato da Umberto Eco sull’“eterno fascismo”. In compenso ardono ancora i fuochi del confronto infinito sull’eternità democristiana. Ieri, per esempio, Attilio Bolzoni ha tracciato un sapido ritratto di tal Giovanni Carlo Cancelleri, proconsole del M5s in Sicilia e già viceministro. La cui parabola trascorre a suo dire “da grillino a democristiano”. Laddove per la metà grillina si intende il suo essere un outsider. E per la metà democristiana, invece, il suo essere “l’essenza della mediocrità”, e cioè un furbo navigatore che fa del suo meglio per restare a galla quali che siano le circostanze. Una metà “democristiana” che peraltro prende forma tra le contrade siciliane, nei territori politici che furono di Sturzo, poi di Scelba, poi di Mattarella e Mannino. Tanto per dare l’idea.

Ora, il sullodato Cancelleri non meriterebbe forse tanta attenzione. Ma la sua tardiva trasmutazione in una sorta di caricatura democristiana autorizza almeno un’obiezione. È vero, per mezzo secolo la Dc è stata “il” governo. E quella lunga durata si spiega anche – anche, non solo – con la gestione del potere, l’attitudine a barcamenarsi, la vocazione a fagocitare alleati e avversari, la capacità di piegarsi alle circostanze più diverse.

E però tutte queste accortezze stavano dentro un disegno. Non era solo la vocazione a resistere alle intemperie. Era anche il tentativo di tracciare una rotta. Cercando di navigare alla larga da tutti quegli scogli che la lunga stagione delle ideologie antidemocratiche aveva disseminato lungo il percorso di quegli anni. Insomma, nel bene e nel male c’era un disegno e non solo un metodo. Una ragione e non solo una furbizia. Un’idea per il paese e non solo una comodità per sé stessi. Tant’è che poi quel mezzo secolo si rovesciò nel suo contrario. E venne la caduta e infine la scomparsa.

Dopo anni e anni spesi a tormentarsi, interrogarsi, inseguire improbabili palingenesi, promettere e ripromettere rinnovamenti di ogni tipo. Tutte cose che non evitarono la disfatta, ma le diedero quasi un senso. Voglio dire che perfino quel declino, che pure a noi sembrò così mesto, aveva una sua nobiltà. O almeno una sua originalità.

Nella sua imponenza e nella sua tragicità la fine della Dc meriterebbe a questo punto un trattamento più umano.

E cioè che non la si rimpiangesse troppo, dato che il passato è passato. E che però non la si chiamasse in causa per dar conto di situazioni, personaggi, modi di essere che non vi hanno molto a che vedere. Molti di noi democristiani siamo stati piuttosto critici verso i nostri difetti. Ma nessuno più di noi ci tiene a marcare una differenza con quanti hanno preso in prestito posture, parole d’ordine, tecniche politiche che sono universali e il cui copyright non è certo nascosto nelle segrete stanze di piazza del Gesù.

Di furbi è pieno il mondo, ed è pienissima la politica. Di gente che cambia idea al mutare delle circostanze e che si riposiziona appena fiuta un vento diverso da quello del giorno prima se ne trova in giro una gran quantità, un po’ da tutte le parti. Ma questo gioco dei quattro cantoni non è affatto tipicamente democristiano. Fa parte più semplicemente delle debolezze dell’animo umano e di miserie che si trovano suppergiù in ogni anfratto della politica di allora e di oggi. Per questo escluderei che Cancelleri possa essere raccontato come un democristiano. Piuttosto, temo che sia più facile il perpetuarsi di tutti i Cancelleri del mondo che non il ritorno della Dc sotto mentite spoglie.

 

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