Dopo mesi di dichiarazioni ambigue, finalmente è arrivato il tanto atteso chiarimento sulla posizione del governatore repubblicano della Florida, Ron DeSantis sul sostegno militare all’Ucraina.

DeSantis negli scorsi mesi era stato salutato da molti giornali e commentatori conservatori come il simbolo di un ritorno alla sanità mentale dopo gli anni trumpiani.

Il mondo mainstream conservatore sembrava dunque disposto a chiudere un occhio sui suoi recenti attacchi alla libertà accademica e sulle sue posizioni sui vaccini, quasi sovrapponibili a quelle del mondo No-vax.

Due giorni fa in un’intervista nello show serale di Tucker Carlson su Fox News, il governatore ha affermato che difendere l’Ucraina non è «un interesse vitale degli Stati Uniti», definendo quindi l’invasione russa dell’Ucraina una «disputa territoriale», senza condanne per l’invasore e rimarcando anzi che l’obiettivo americano dev’essere la pace.

Dato l’interlocutore scelto per la dichiarazione (Carlson è famoso per aver detto alla vigilia della guerra che «non capiva perché si dovesse sostenere l’Ucraina» in qualsiasi modo) è evidente il tentativo di sovrapporsi alla posizione trumpiana sul tema, ovvero forzare Kiev a venire a patti con la Russia.

Al netto delle implicazioni in politica estera (Putin potrebbe essere portato a tenere duro in attesa di un eventuale ritorno al potere dei repubblicani sia con Trump che con DeSantis), ci sono implicazioni ancora maggiori in politica interna: si assottiglia quella fascia di repubblicani che ha sostenuto senza riserve l’amministrazione Biden nel fornire diversi pacchetti di aiuti militari a Kiev. Non è però così netta la situazione.

L’affermazione di DeSantis ricorda che c’è una fetta trasversale di eletti repubblicani che sulla questione ha una posizione molto tradizionale di difesa degli interessi americani nel mondo.

Non stupisce quindi che il leader informale di quello che si potrebbe definire quale “caucus ucraino” sia proprio il leader al Senato, Mitch McConnell, eletto per la prima volta nel 1984, in piena epoca reaganiana.

McConnell ha votato per ogni misura di sostegno all’esercito ucraino per un totale di 113 miliardi di dollari, difendendo la sua scelta dicendo che la cifra corrisponde a una “minuscola” parte del Pil statunitense grazie al quale l’America evita guai peggiori ai suoi alleati europei.

Non solo: si dà un messaggio anche alla Cina sulle sue mire aggressive riguardo a Taiwan. Lo scorso ottobre McConnell aveva fatto un comunicato di carattere globale dove, dopo aver criticato le politiche energetiche di Biden, ritenute eccessivamente svantaggiose per l’economia americana, rimarcava il fatto che non bisognasse consentire ai «paesi revisionisti» di «inghiottire i vicini più piccoli».

Esitazione eccessiva

Se una critica viene fatta sull’argomento al presidente, già suo ex collega al Senato durante gli ultimi anni della Guerra fredda, è che è troppo esitante nella cessione di armi offensive, tra cui gli aerei da combattimento F-16.

Una posizione chiarissima che gli ha attirato le critiche di quella parte di partito repubblicana che non nasconde di avere un’affinità con le culture wars lanciate da Putin nei confronti della comunità Lgbt russa e verso il cosiddetto “globalismo cosmopolita” di cui farebbero parte anche i dem americani.

McConnell, che in questo periodo si sta riprendendo dalle conseguenze di una brutta caduta, non è solo: altri senatori come Marco Rubio della Florida e il texano John Cornyn hanno attaccato «l’inesperienza» di DeSantis in politica estera.

Altri, come Lindsey Graham, talvolta annoverato tra i più stretti alleati dell’ex presidente Trump, hanno ricordato la loro posizione critica dell’amministrazione Obama ai tempi dell’annessione della Crimea nel 2014-15, quando era un deputato facente parte del Freedom Caucus.

I numeri al Senato quindi ci sono eccome e rafforzano l’esile maggioranza dem.

Alla Camera la situazione è più complicata: lo speaker Kevin McCarthy ha sempre esitato a prendere una posizione netta sull’argomento, suggerendo soltanto che bisognerebbe smettere di dare «assegni in bianco» all’Ucraina, affermazione fatta forse per compiacere quella rumorosa ala estremista composta da deputati come Marjorie Taylor Greene e Matt Gaetz che sostengono che i soldi dati all’Ucraina andrebbero invece destinati a sostenere «gli interessi americani», ad esempio nella difesa del confine con il Messico.

Lo scetticismo dell’elettorato

Nonostante i dem non dispongano della maggioranza alla Camera, possono comunque contare sul canale di dialogo costituito da un gruppo informale di deputati bipartisan chiamato Problem Solvers caucus, del quale fanno parte trentun repubblicani che includono ex militari come Mike Gallagher del Wisconsin, capo della Commissione congressuale sull’influenza del Partito comunista cinese e veterano della guerra in Iraq, e Don Bacon, deputato del Nebraska con un lungo passato come ufficiale dell’aviazione. 

Altri quattro esponenti facenti parte della Commissione esteri, capeggiati dal texano Michael McCaul, molto vicino all’ex presidente Trump, sono andati a Kiev lo scorso 1° marzo per rassicurare il presidente Volodymyr Zelensky sul sostegno all’Ucraina.

Rassicurazioni che potrebbero non bastare, qualora il partito seguisse uno dei due probabili vincitori alle primarie del 2024. Al momento quindi Kiev deve sperare che Mitch McConnell continui a tenere duro sulle sue posizioni.

E sperare che uno tra Trump e DeSantis faccia un’inaspettata retromarcia, ignorando i sondaggi che vedono una base militante scettica sui risultati dello sforzo economico a favore dell’Ucraina.

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